
“Se ci dimenticassimo dei giovani dove sarebbe il futuro?”. Con queste parole l’arcivescovo ha aperto l’incontro promosso dal Servizio di Pastorale Giovanile dell’Arcidiocesi di Matera-Irsina in occasione della Giornata Diocesana dei Giovani di quest’anno.
Un pomeriggio intenso di riflessione, testimonianze e condivisione, che ha visto numerosi ragazzi di tutta la Diocesi riunirsi nel salone della Parrocchia Maria SS. Addolorata di Matera per interrogarsi sul proprio cammino umano e spirituale. Conduttori della serata tre dei giovani presenti: Stefano Nicoletti, Giorgia Coretti e Andrea Barbaro.

Cuore dell’incontro il messaggio ai giovani di Papa Leone XIV, articolato attorno a tre grandi temi: essere amici di Dio, vivere la missione nella quotidianità e, soprattutto, avere il coraggio di non omologarsi, scegliendo una vita autentica e controcorrente.
Particolarmente significativa la presentazione della figura del giovane venerabile Matteo Farina, esempio concreto di come la santità possa essere vissuta anche nella semplicità della vita quotidiana. La sua storia ha rappresentato un invito a non rinunciare alla propria vocazione, qualunque essa sia.
Bello ripercorrere alcuni momenti del Giubileo degli Adolescenti e dei Giovani dell’estate appena passata. Spazio, poi, alla testimonianza di Nicola Zaffarese e Gabriella Lauria di Marconia che, sempre nella scorsa estate, assieme ad altri ragazzi hanno vissuto un’esperienza missionaria in Burundi, a Ciriteka. Settimane trascorse a contatto con le popolazioni locali, tra servizio, condivisione e scoperta di nuove tradizioni. «Siamo partiti pensando di dover donare qualcosa e siamo tornati con il cuore colmo di ciò che abbiamo ricevuto», hanno raccontato, sottolineando quanto quell’esperienza abbia trasformato profondamente il loro modo di vedere la vita.

Non è mancato un momento introspettivo, in cui ogni giovane si è confrontato in silenzio con alcune domande.
Infine, l’intervento di Mons. Ambarus, che ha risposto a una serie di domande a lui rivolte dai giovani stessi. Una sincera attenzione e un sano ottimismo ha manifestato il vescovo per la loro preoccupazione per il futuro, per il loro desiderio di senso, di comprensione autentica di cosa sia la fede, riconoscendo in loro la speranza e la forza capace di salvare la società. Ha esortato i presenti a non arrendersi, a credere in se stessi e a vivere senza paura la propria autenticità, nella coscienza realistica che la fatica è insita in ogni esistenza e “non esistono muri, ma solo impedimenti. Tutto si supera, nonostante la fatica. L’importante è quanto sei disposto ad esprimere te stesso veramente”.
L’arcivescovo ha infine posto l’accento su un altro grande male del nostro tempo: la solitudine giovanile e la difficoltà di entrare in contatto con la parte più profonda di sé. Da qui l’invito a un esercizio di silenzio per entrare in connessione con se stessi, a occhi chiusi: una sorta di training autogeno, in cui i giovani sono stati invitati a chiedersi: “Io cosa desidero? Cosa il Signore vuole donarmi?”. “Annunciate il Vangelo con la vita, se necessario con le parole, come diceva san Francesco ai frati – la risposta del nostro pastore a un giovane che gli chiedeva come essere testimone oggi –. Parlate all’altro di Gesù solo se ve lo chiede. Così incuriosirete l’altro”.
Un richiamo forte anche contro la comodità che spesso paralizza il coraggio di vivere pienamente, ricordando le parole evangeliche rivolte al paralitico: «Vuoi guarire?». Un interrogativo che diventa provocazione personale per ogni giovane, chiamato a scoprire il proprio potenziale, consapevole che Dio crede in lui semplicemente perché esiste.


Scrivi un commento