“I poveri, maestri di fede e di speranza” era il tema dell’incontro dal grande valore umano, culturale e spirituale avente come ospite relatore l’arcivescovo di Matera-Irsina mons. Benoni Ambarus.

È stato don Marco Di Lucca, docente di Religione Cattolica al Pentasuglia, che ha organizzato la mattinata e non è mancata la presenza di altri sacerdoti materani: don Angelo Tataranni, direttore della Caritas diocesana, e don Biagio Plasmati, presidente dell’Associazione “Don Giovanni Mele”. Alle due mense della fraternità di Matera sono stati destinati gli alimenti che hanno portato i ragazzi e, per dare ancora maggiore concretezza all’iniziativa, hanno riportato la loro esperienze tre ragazze che stanno svolgendo il servizio civile presso la mensa don Giovanni Mele. Non solo sensibilizzazione alla solidarietà in questa giornata prenatalizia, ma anche al talento: un complesso musicale del Pentasuglia ha allietato l’assemblea con la propria musica. Non meno significativa la presenza della terza elementare del Fermi, che frequenta la parrocchia San Giacomo in cui don Marco è parroco.
Ospite istituzionale il sindaco di Matera Antonio Nicoletti che ha portato i saluti dell’Amministrazione comunale, plaudendo all’iniziativa. Il cuore organizzativo della manifestazione, unitamente ai vari docenti referenti, è stato il prof. don Marco Di Lucca che ha sapientemente moderato i lavori.


Il Dirigente scolastico dell’I.I.S Pentasuglia Michele Ventrelli, dopo i saluti con i quali ha dato il benvenuto agli ospiti, ha illustrato il senso della bellissima mattinata che si accingevano a vivere tutti evidenziando il lavoro svolto dalle docenti (Patrizia Appio, Francesca Annicchiarico e Francesca Perrone) e ringraziando il Dirigente scolastico Isabella Abbatino dell’I.C. Fermi per aver voluto aderire alla manifestazione.
Nell’Aula Magna, prima dell’inizio dell’incontro, vi era un vociare come sottofondo che si è prima trasformato in brusio nelle fasi introduttive dei lavori scomparendo del tutto poi, presi dalla voglia di ascoltare l’arcivescovo nel suo messaggio di apertura.

L’inizio della mattinata è stata segnata dal coro dei bambini della primaria del Fermi, diretto da Enza Fumi, e poi, tra i vari step dell’incontro, è stata animata dal complesso musicale formato da ragazzi dell’IIS Pentasuglia che hanno suonato e cantato con molta bravura dei pezzi musicali impegnativi.
Ma, sapientemente organizzata la manifestazione, dopo i convenevoli iniziali, si è passati al cuore dell’incontro con gli studenti che, sotto la guida attenta della professoressa Patrizia Appio, hanno posto una serie di interessantissime domande all’arcivescovo Benoni.
L’arcivescovo ha risposto con il cuore del Pastore ma anche con l’autenticità di uomo che conosce i problemi della vita e le miserie del mondo. Questa sua peculiarità si è molto evidenziata nelle risposte che ha dato alle domande dei ragazzi ma, soprattutto, è emersa la sua profonda fede in Dio che lo porta ad amare il prossimo così come Cristo ha amato tutti gli uomini.

Introduzione del vescovo
Mons. Ambarus ha messo in evidenza nel discorso introduttivo che nel giro di visite che sta facendo in questi giorni nella Diocesi un grande problema è emerso prepotentemente e cioè quello dell’accoglienza in generale ed in particolare quello dei ragazzi minori non accompagnati. Si è soffermato nella descrizione dei momenti tragici e travagliati che hanno vissuto questi ragazzi durante il loro spostamento dai Paesi di origine fino a noi, attraversando regioni desertiche, territori infidi, incontrando ostilità e ricatti da parte delle bande delinquenziali della tratta degli essere umani. Ed ha precisato quando sia importante per queste persone l’accoglienza, in particolare proprio per i minori non accompagnati.
Le sette domande poste dai ragazzi al vescovo:
Chiamata del Signore e cammino di fede.
In risposta a questa domanda, don Ben ha ricordato un episodio della sua vita di infanzia quando, dopo un marachella, fu punito severamente. Il parroco lo aiutò a superare la punizione che gli avevano comminato e quei gesti di accompagnamento del parroco lo aiutarono tantissimo che nel suo cuore nacque forte la vocazione di aiutare gli altri così come il suo parroco aveva fatto con lui.
Domanda sull’educazione
Il vescovo risponde citando la dissennatezza degli uomini di oggi: debiti PNRR, inefficienza sanità e comportamento non responsabile all’interno delle Istituzioni sono tutti elementi che alla fine determineranno una situazione che si scaricherà sulle future generazioni con debiti ma soprattutto con un Paese invivibile per le persone fragili della società civile. E qui, sottolinea l’arcivescovo, bisognerebbe incoraggiare i giovani a reagire, a dare un sussulto di cambiamento.
Intenzioni di preghiera
Le intenzioni di preghiera dovrebbero essere sempre dirette verso le persone con vuoti di bisogni, fragili. Non bisognerebbe farsi abbagliare dalle luci di festa, dal marketing della festa, bisognerebbe evitare i luoghi comuni e dare attenzione ai principi umanitari. “Natale non è una festa bella per tutti perché può essere triste per tante persone: per chi sta a letto ammalato in ospedale, per chi non ha famiglia, per le persone anziane con i figli in giro per il mondo che passano il Natale da soli, per uno straniero solo, per chi sta nel carcere, per chi non ha casa e non ha lavoro. Per queste persone che Natale é? Quindi lo sprizzare energia da tutte le parti per me è un falso racconto”, ha aggiunto mons. Ambarus.
Intanto chi ha famiglia, ha lavoro e ha tutto trova il tempo per sentirsi insoddisfatto: non vuole stare in famiglia a Natale, vuole andare in montagna, ecc. Il Natale non è solo quello delle feste è anche quello di chi sta solo ma sta pienamente in compagnia perché Gesù sta con lui, dandogli la più grande consolazione.
Le sfide più urgenti per la Chiesa locale
L’arcivescovo riferisce che la Chiesa si è adeguata ai tempi. “Non siamo più alla Chiesa venuta fuori dal Concilio di Trento dove si stabilì che bisognava seguire e obbedire le regole stabilite”. “La pastorale non funziona più come una volta, va reinterpretata, la pastorale dalle campane è diventata quella dei campanelli (citazione don Pino Caiazzo), ma bisogna andare verso la gente”. “Oggi occorre andare nelle case dalle persone, stare con i poveri dove poter convogliare energie positive, andare verso gli abitanti fragili, avere spazio di confronto autentico con la gente. Favorire i momenti di dialogo, di incontro, di confronto per dire che senso ha la vita da credente. Credere in Dio significa avere maggiore consistenza nella vita”, ha sostenuto ancora il vescovo.
Ricerca della vera felicità
“Non bisogna essere troppo concentrati su se stessi. uno dei modi per cercare la felicità – sostiene mons. Ambarus – è quello di dedicarsi agli spazi di gratuità, fare qualcosa per qualcuno senza alcun tornaconto. Fare qualcosa per qualcuno allarga il cuore, ti dice che in qualcosa servi e dà anche stabilità nella vita.
Come persona che si è dedicato per anni alla Caritas
Partendo dal problema casa, bisognerebbe arrivare ad un situazione favorevole per i giovani perché pagare un fitto esoso e mandare avanti la famiglia con uno stipendiuccio come si può fare? “Ed ancora, sostiene l’arcivescovo, bisognerebbe mandare avanti un progetto di abitare sociale dove il credito di fiducia sia mediato a relazioni corti del tipo avere il parroco della parrocchia con gli operatori delle Caritas parrocchiali e con tutti i parrocchiani rendersi garante di fiducia, incoraggiare per far avere alle persone fragili una casa dignitosa. La spesa più grossa di una famiglia è proprio il costo dell’abitazione”.
Qual è il suo sogno da realizzare
“Nella Diocesi nei prossimi 10 anni dovremmo sognare tutti insieme. Non ci si rende conto della bellezza che c’é qui, le grandi opportunità che ci potrebbero essere e non ci si rende conto abbastanza che la società del futuro sarà diversa su tre aspetti. Il primo è che le file delle persone povere si stanno ingrossando tanto per cui se non si farà qualcosa di significativo ci saranno più persone fragili che non quelle che stanno bene, e sarà veramente un dramma. Quindi è necessario mettersi insieme per fare qualcosa. Avere due mense nella città va bene perché soddisfano 500 persone al giorno ma se non faremo niente tra poco saranno mille o più ad averne bisogno. Secondo aspetto la dimensione interculturale. Non so quante persone qui non sono di Matera ma a livello nazionale è il 10% la popolazione non italiana. Questo cambierà il volto della nostra società, perché l’amore non ha nazionalità, un ragazzo e una ragazza che si mettono insieme e si sposano, i loro figli non saranno più figli italiani ma saranno più europei. Non avere consapevolezza di questa complessità culturale e interculturale che è già in atto per me significa non aver visione del futuro. Secondo me dobbiamo metterci mano adesso senza farci manipolare dai politici e su questo sono un pò arrabbiato coi politici perché approfittano della distrazione culturale della gente. La manipolazione è veramente tremenda è quasi mancanza di rispetto verso la gente. Quindi la sfida interculturale è assolutamente necessaria da prendere in considerazione. Chi viene da fuori ha un modo di celebrare il Natale, anche se cristiano, un pò diverso rispetto a me per cui, che lui sia qui, per me è una ricchezza e non una minaccia. Come Comunità europea abbiamo lottato per avere l’Erasmus e poi su alcune cose tendiamo a “difendere i confini”. Allargare gli orizzonti penso sia l’unico modo per salvare il futuro anche da noi. Girando i paesi delle Diocesi sento le persone dire che i ragazzi vanno via, per gli studi o per lavoro, e non c’è più nessuno che si dedica alle attività locali. I ragazzi forestieri che ci sono e rimangono bisogna aiutarli a crescere, a imparare la lingua, insegnare un mestiere e loro si faranno carico di lavorare la terra e fare i vari mestieri. Infatti se andate negli alberghi e ristoranti i lavori umili tipo lavare i piatti o fare le pulizie li fanno loro. La terza cosa che mi sembra essenziale, e da fare insieme, è: che tipo di Chiesa vogliamo essere perché oggi non regge più la pastorale solo delle novene, delle processioni e delle feste patronali ma serve altro, serve molto altro: maggiore dialogo”.
Dopo le risposte dell’arcivescovo alle domande dei ragazzi tutti si sono recati verso il presepe, allestito dall’IIS Pentasuglia nell’androne dell’Aula Magna, il cui significato simbolico richiama i valori dell’accoglienza, della fraternità e della speranza che sono propri del Santo Natale. Don Ben ha poi proceduto alla benedizione del presepe.
La manifestazione si è poi conclusa con altri momenti di animazione musicale da parte del complesso del Pentasuglia.



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