Il cessate il fuoco – la tanto decantata tregua – ha avviato un miglioramento per la condizione del popolo Palestinese? I fatti dicono di no

Mentre per noi occidentali si avvicina il Natale, con le luminarie che addobbano le città e i mercatini riempiono le piazze di ogni prelibatezza e di oggetti natalizi, non è così per quei luoghi in cui imperversa la guerra con le sue atrocità. Il linguaggio e le parole diventano sempre più aggressive, da cancellare ogni possibilità di dialogo.

Il cessate il fuoco avrebbe dovuto restituire la vita. Invece, nella terra di Palestina, a Gaza e in Cisgiordania la pace è lontana: è tornata la disperazione che accompagna vite sospese, senza futuro, una sopravvivenza nel fango. Le famiglie cercano di fermare l’acqua con stracci e abiti, di proteggere i bambini sollevandoli da terra, di asciugare coperte e vestiti che non potranno essere utilizzati per giorni. Le latrine tracimano e i cattivi odori penetrano ovunque, le malattie si diffondono. Si può chiamare questo “vivere”. Che cosa resta ad un popolo quando gli viene negata la dignità, il potersi lavare, il dormire decentemente, proteggere i propri figli, come è per noi occidentali?

Cosa drammatica è constatare che il mondo guarda altrove, e l’esercito israeliano continua ad avanzare. Viene chiamata “linea gialla” ed è un confine mobile che ridisegna Gaza ogni giorno. Come funziona?  Un’area viene dichiarata zona militare, pertanto le case vengono demolite, i quartieri spianati, i terreni occupati, e la linea si sposta un po’ più in là. E si procede in un’altra area. Il dramma è per chi prova a tornare nella propria abitazione, quella che dovrebbe essere fuori dalla zona controllata, rischia di essere abbattuto. Tutto viene fatto in maniera arbitraria senza annunci ufficiali, senza spiegazioni. È una strategia silenziosa, efficace e inumana: ridurre lo spazio vitale finché non resta più nulla da rivendicare.

Non si cancella tutto subito, ma giorno dopo giorno, in maniera criminale per annientare un popolo. La popolazione cerca di resistere. Occorrerebbero migliaia di camion di aiuti al giorno. Gli israeliani attraverso il loro esercito ne fanno entrare pochi. Le attese per qualcosa si allungano, le difficoltà aumentano, ciò significa che un anziano muore di freddo, un bambino muore di fame, e una madre non ha nulla per poter curare i propri figli. Quello che sta accadendo dopo la cosiddetta tregua, non dipende dalla burocrazia o disorganizzazione, ma è una scelta precisa e determinata di Israele: rendere impossibile e invivibile la vita, distruggere un popolo con una azione di logoramento continuo.

Questo atteggiamento non fa altro che confermare quanto dichiarato all’ONU da Netanyahu: “non ci sarà mai uno stato palestinese”. Tutto questo accade per responsabilità di Israele, che si definisce democratico, che rivendica il riconoscimento internazionale mentre nega il riconoscimento di un intero popolo, i palestinesi. Non si parla molto di tutto questo, dell’ingiustizia, del dolore di bambini, donne e uomini. I giornali parlano d’altro, le riunioni internazionali dopo la falsa tregua, hanno abbandonato i palestinesi al loro destino.

La “grande” Europa è latitante, pensa al riarmo e alla guerra, e in molti paesi, in primis la Germania, si vuole ripristinare il servizio di leva. Ne parla anche il governo italiano. Ma a Gaza le donne continuano ad accudire a i propri figli nel fango, i padri vanno in cerca per ore di acqua potabile, mentre i bambini continuano a dormire con la preoccupazione che la linea gialla arrivi al loro letto. È nostro dovere, come cattolici, come cittadini, continuare a raccontare, i fatti, le voci, la verità, è il minimo che dobbiamo a un popolo che non vede la pace da generazioni e che continua, ostinatamente, a resistere, a esistere.

In conclusione riportiamo una parte dell’Intervista di Giuseppe Caffulli al Card. Pizzaballa sul sito Terra Santa.Net – 1 novembre 2025: “La situazione umanitaria, intanto, resta disastrosa. Le immagini che arrivano da Gaza non raccontano tutto. C’è distruzione, sì, ma non solo fisica. Il tessuto umano, sociale, è stato completamente lacerato. Nessuno vive più dove viveva: famiglie sfollate, scuole e ospedali distrutti, servizi inesistenti. La vita quotidiana è saltata. Due milioni di persone vivono senza i beni essenziali, in una condizione di precarietà totale. In questo contesto, si è visto anche il lato oscuro della crisi: accaparramenti di aiuti, mercato nero, mafie locali. Ma Pizzaballa chiarisce: Questo però non toglie che la gente sia alle strette. La popolazione della Striscia vive nella privazione più assoluta. Per aprire davvero un nuovo capitolo, però, sarà necessario un cambiamento profondo nelle leadership. Se vogliamo davvero qualcosa di nuovo, servono volti nuovi. È evidente che chi ha portato il conflitto a questo punto non può essere l’unico a guidare il futuro. Senza una nuova visione dentro Israele, e senza una leadership palestinese forte e riconosciuta, sarà difficile arrivare a una soluzione stabile”.

Con quale stato d’animo ci faremo gli auguri di Buon Natale?

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Marino Trizio

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