La Chiesa e l’Arte – Don Donato Di Cuia

Proseguiamo nel dibattito sul "rapporto tra la Chiesa e l’Arte", con riferimento all’omelia di Paolo VI nella “Messa degli Artisti” celebrata nella Cappella Sistina in occasione della Solennità dell’Ascensione del 7 maggio 1964. Oggi dialoghiamo con Don Donato Di Cuia.

Ecco la prima domanda:

Parla di te ai lettori di Logos

Con piacere, prima di rispondere all’intervista dirò qualcosa di me perché chi legge abbia presente se pur sommariamente chi parla.

Attualmente sono parroco di San Paolo Apostolo nel rione Villa Longo di Matera dove qualche anno fa fui mandato come giovane viceparroco con appena due anni di messa trascorsi ad Irsina a servizio delle Parrocchie cittadine e degli studenti del locale Liceo Scientifico, dove ho insegnato Religione. Chiamato anche al Servizio diocesano per il Settore Giovani dell’Azione Cattolica, ho avuto modo di inserirmi sempre più a fondo nel Servizio di Pastorale Giovanile della nostra diocesi ed in particolare della Pastorale Universitaria di cui sono stato Direttore oltre che Assistente spirituale del gruppo F.U.C.I., ricostituitosi in Città dopo tanti anni. Sempre qui a Matera ho conosciuto ed apprezzato la sensibilità del movimento vedovile “Speranza e vita” del quale sono poi divenuto Assistente diocesano. L’esperienza dell’insegnamento è proseguita poi per un decennio presso il Liceo Artistico di Matera che tra l’altro io stesso ho frequentato da liceale e che ha contribuito non poco ad affinare il gusto artistico e la passione per l’arte che tuttora mi caratterizzano.

Quali riflessioni ti ha suscitato l’Omelia di Paolo VI, in cui affronta il rapporto tra la Chiesa, l’arte e gli artisti?

La prima cosa cui ho pensato, rileggendo l’omelia della “messa degli artisti” pronunciata da Paolo VI nell’ormai lontano 1964, è che come succede in qualsiasi rapporto di amicizia, nel momento in cui si prende consapevolezza che le cose non filino più per il verso giusto, si cerchi di ristabilirlo e renderlo ancora più forte.

Trovo che il Papa abbia avuto il coraggio di scendere dalla gestatoria annullando le distanze che tante volte separano ancor oggi la gerarchia dall’uomo comune e di avvicinarsi con umiltà, discrezione e profonda umanità a quanti semplicemente ha riconosciuto come figli amati.

Ribadendo il bisogno per la Chiesa di avere come alleati e collaboratori nell’annuncio del Vangelo l’arte e gli artisti che la generano, penso abbia riconosciuto esplicitamente che il ministero dell’evangelizzazione, per rimanere profetico, necessiti del linguaggio artistico se non vuol rimanere “balbuziente e incerto”.

Infine, sarà perché mi sento direttamente chiamato in causa, leggo tra le righe un invito ai sacerdoti: essere più “artisti” nell’esercizio del ministero affidatoci, attraverso una predicazione capace di rendere accessibile, comprensibile e per usare le sue parole “commovente” il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio.    

Il dialogo avviato da Paolo VI nel 1964 ha prodotto un cambiamento o tutto si è fermato?

Il dialogo avviato da Paolo VI è stato certamente un buon inizio.

Il cambiamento però necessita di tempi lunghi. Si procede silenziosamente alternando accelerazioni a brusche frenate.

Purtroppo, come ricordato dallo stesso Paolo VI, da parte della Chiesa c’è stato un vero e proprio abbandono degli artisti ai quali “non si è più spiegato i misteri di Dio che fanno balzare il cuore dell’uomo di gioia, di speranza, di letizia, di ebbrezza. Non li si è avuti più allievi, amici, conversatori; perciò non ci hanno più conosciuto”.

Colmare questa lacuna che in certi casi ha generato anche malessere e contrarietà in quanti hanno avvertito l’abbandono, non è certamente facile nonostante tutti i tentativi fatti in questi decenni.

Occorrerebbe lavorare molto a ricreare una cultura umanistica e nello specifico artistica, amica della fede, come anche una fede alleata dell’arte e della cultura in genere. L’arte potrà ritrovare fiducia nella Chiesa e nel suo messaggio universale solo quando si sentirà protagonista dell’annuncio stesso. Allo stesso modo, la Chiesa tornerà ad apprezzare l’inestimabile ruolo e valore dell’arte solo quando le riconoscerà la sua alta dignità senza ricorrere più a surrogati di poco conto.  

Le Università cattoliche e non, gli Istituti di Scienze religiose, le Accademie, i Licei Artistici, gli Istituti d’arte e quanti si occupano a vario titolo di formazione e di educazione dovrebbero agire in sinergia per conseguire una crescita integrale della persona percorrendo la via della bellezza.        

Quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere nel nostro “camminare insieme a coloro che con la loro opera generano bellezza e trasporto dell’anima”?

Parafrasando un altro grande Papa, Giovanni XXIII, credo che i passi da compiere indicati dallo Spirito debbano essere orientati a riconoscere i “segni dei tempi” dando valore più a ciò che accomuna che a quello che tiene distanti.

Un dialogo schietto, alla pari, che esprima stima reciproca e disponibilità all’ascolto credo possa aiutare la Chiesa a camminare al fianco di quanti generano bellezza. 

A volte i parroci sono chiamati a prestare la loro opera in chiese importanti sotto l’aspetto dell’architettura e per la presenza di opere d’arte di immenso valore, per le quali occorrerebbero conoscenze specifiche. Sarebbe utile che i parroci seguissero un corso di preparazione sulla materia arte, per meglio comprendere la storia, il luogo e le opere, onde evitare interventi che potrebbero provocare danni irreparabili alle opere o non in sintonia con lo stile architettonico della chiesa?

Ritengo che la formazione del clero in genere, e non solo dei parroci, sia non solo utile, ma indispensabile. Ogni sacerdote dovrebbe amare la Bellezza come ama Dio stesso. Ogni giorno ha a che fare con la Bellezza per eccellenza-Dio che gli si manifesta sotto i tratti nobili e semplicissimi della Liturgia che celebra. L’Arte del Celebrare com’è noto, non si limita alla semplice osservanza delle rubriche dei libri liturgici ma ci permette di calarci nella dimensione mistica dove anche il luogo sacro e la comunità orante si fondono in un unicum che rivela la Presenza divina. In quanto custodi di un patrimonio tramandatoci da chi prima di noi ha vissuto una fede limpida che resta scolpita nelle pietre o impressa sulle tele variopinte che adornano i nostri altari, abbiamo bisogno di essere educati già durante gli anni di formazione al sacerdozio alla cura, alla custodia e alla tutela di questi luoghi che parafrasando Papa Francesco non sono solo musei ma luoghi nei quali Dio continua ad incontrare la sua gente e perciò stesso splendidi.

Sappiamo che le parrocchie non versano in floride condizioni economiche per poter affrontare le spese per la realizzazione di opere d’arte. Il Vaticano, attraverso le strutture dedicate all’arte e alla cultura, potrebbe intervenire dedicando delle risorse?

Sulla questione delle risorse da destinare alla realizzazione di opere d’arte, personalmente ritengo che non ci si possa attendere granché dal Vaticano e che ogni Chiesa diocesana, e mi permetto di aggiungere anche ogni Parrocchia, con un’attenta gestione della sua economia per quanto modesta, potrebbe e anzi dovrebbe, progettare investimenti in tal senso magari anche a lungo termine, mirando ad arricchire il suo patrimonio artistico. Del resto la storia ci insegna che per secoli si è fatto così quando sono state edificate chiese meravigliose contando solo sull’impegno di sacerdoti zelanti, confraternite, laici benefattori e fedeli, il più delle volte poveri ma che mai hanno fatto mancare il proprio contributo perché la propria chiesa fosse sempre più accogliente per Colui che l’abita. Una educazione all’autonomia economica anche in questo ambito credo sia necessaria per tirarci fuori da una mentalità atavica basata sull’assistenzialismo è diffusa purtroppo anche nelle nostre comunità. 

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Marino Trizio

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