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      Scienza e senso religioso. La posizione del premio Nobel Giorgio Parisi

      14 Ottobre 2021
      Paolo Tritto
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      A proposito dell'espressione «Per me Dio non esiste nemmeno come ipotesi» (Seconda puntata)

      (Link della puntata precedente)

      È opportuno soffermarsi sulla frase pronunciata da Parisi «per me Dio non esiste nemmeno come ipotesi» e anche sulla sua espressione di dissenso riguardo alla visita del 2008 di Papa Benedetto XVI alla Sapienza. Anche perché lo scienziato non si è sottratto, come qualcuno potrebbe pensare, al confronto scienza-fede. Nel dibattito tenuto al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 2009, lo scienziato volle confrontarsi su questo tema insieme a padre Coyne.

      In fondo, Papa Benedetto nel suo intervento alla Sapienza si sarebbe limitato sostanzialmente a incoraggiare l’università a «essere custodi della sensibilità per la verità» e a «non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità». E non c’era ragione di temere che il Papa volesse distogliere l’università dal suo compito proprio.

      Padre George Coyne, gesuita americano, è stato un autorevole astronomo e soprattutto, per quasi trent’anni, direttore della Specola Vaticana, l’osservatorio astronomico pontificio. C’è da aggiungere, per completezza, che Coyne e Nicola Cabibbo, maestro di Parisi, lavorarono insieme, gomito a gomito si potrebbe dire, alla riabilitazione di Galileo. Trattando il tema “Modelli cosmologici: scienza e fede”, i relatori Coyne e Parisi si confrontarono in quella occasione sulle leggi della fisica, sulla prevedibilità o imprevedibilità dell’evoluzione del cosmo e sulla posizione dello scienziato di fronte a ciò. Ma non solo.

      Inevitabile era, in questo contesto, porre la domanda: per quale ragione, ancora ai giorni nostri, scienza e fede continuano a essere in conflitto? Sorprendentemente, la risposta più categorica è venuta proprio da padre Coyne per il quale questo contrasto sarebbe da attribuire soltanto all’ignoranza, da parte di alcuni scienziati, ma anche da parte di alcuni uomini di Chiesa. Padre Coyne ha detto: «Ci sono scienziati che predicano un certo scientismo, secondo cui le scienze naturali sono l’unico modo di ottenere una verità di cui ci si possa fidare. Sono scienziati che non sono altro che scienziati, ma capita talvolta che questi fuoriescano dalle scienze per fare dichiarazioni filosofiche o teologiche».

      Per questo, nell’ambito della scienza, Dio non può essere considerato come un’ipotesi. In tal caso si uscirebbe dall’ambito della scienza. È questa un’affermazione che ovviamente chiamava in causa Giorgio Parisi che, nel corso del dibattito al Palazzo delle Esposizioni, poteva spiegare il suo pensiero: Dio non può intervenire ordinariamente nel determinare i fenomeni che sono oggetto di studio della scienza – un caso a parte sono i miracoli – perché Dio ha creato un mondo a cui non poteva dare che leggi perfette. Non può di conseguenza intervenire per correggerle, altrimenti questo significherebbe che le leggi di cui ha dotato l’universo sarebbero imperfette. E Dio non può fare nulla di imperfetto.

      La posizione dello scienziato si ferma qui. Ma se è vero che l’uomo non può arrivare alla fede attraverso la via della ragione umana, è altrettanto vero che la stessa ragione comprende che la verità non può essere racchiusa tutta intera all’interno del mondo finito. Una volta toccato il limite estremo della realtà conoscibile, l’uomo desidera conoscere anche ciò che va oltre quello che può essere esplorato. Sebbene questa sete di conoscenza della totalità, nel quale consiste il senso religioso dell’uomo, davanti al mistero sia destinata a fermarsi.

      Questo è proprio quello che Benedetto XVI avrebbe voluto dire alla Sapienza. Il suo intervento doveva essere un invito a non rimanere nell’ambito limitato della scienza. In quella occasione, il Papa avrebbe ricordato, come si è poi saputo, che secondo Sant’Agostino c’è «una reciprocità tra “scientia” e “tristitia”: il semplice sapere rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa».

      Giorgio Parisi – Università La Sapienza, Archivio fotografico
      L’immagine è sotto licenza 
      CC BY-NC-SA 2.0
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