“Una speranza tradita”

È accorato il tono di Papa Leone XIV, nel suo Messaggio “Migranti, missionari di speranza” per la 111ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2025. Di esso riprendo un passaggio assai significativo: «In un mondo oscurato da guerre e ingiustizie, anche lì dove tutto sembra perduto, i migranti e i rifugiati si ergono a messaggeri di speranza. Il loro coraggio e la loro tenacia è testimonianza eroica di una fede che vede oltre quello che i nostri occhi possono vedere e che dona loro la forza di sfidare la morte nelle diverse rotte migratorie contemporanee».
Il Santo Padre definisce i migranti, “missionari di speranza”. Eppure, la speranza è stata spezzata definitivamente per quattro di loro, lavoratori stagionali, che, sulla strada Statale Val d’Agri, hanno perso la vita. Viaggiavano in dieci su un’auto omologata per sette, e dei dieci, oltre ai quattro morti, uno è in fin di vita all’ospedale di Potenza e altri cinque versano in condizioni gravi all’ospedale di Policoro. I dieci braccianti stavano tornando a Corigliano, in Calabria. Facevano ogni giorno complessivamente 170 chilometri tra andata e ritorno per venire a lavorare nei campi della nostra Basilicata. Partiti chissà quanto tempo fa dalle loro terre natali e animati da un’aspirazione non solo legittima e ammirevole di poter realizzare la propria vita, hanno invece trovato la morte con la terribile aggravante di essere lontani da casa. Alle famiglie di origine non arriveranno più le “rimesse”, ciò che avrebbe loro assicurato pane, vita, speranza, e un futuro migliore, ma avranno solamente una notizia brutta che genererà strazio e disperazione, fallimento e alienazione.
A queste famiglie esprimiamo il cordoglio e la vicinanza delle nostre Chiese di Basilicata.
Se per lungo tempo alla “missione” abbiamo associato il “partire”, verso terre lontane che non avevano ancora conosciuto il Vangelo o versavano in situazioni di estrema povertà, oggi le frontiere della missione non sono più tanto quelle geografiche, dal momento che la povertà, sofferenza e desiderio di una speranza migliore, sono loro a venire verso di noi. Ce lo testimoniano la storia di tanti nostri fratelli migranti, il dramma infinito della loro fuga dalla violenza e spesso dalla persecuzione, la sofferenza indicibile che li accompagna, la paura di non farcela, il rischio molto concreto di pericolose traversate lungo le coste del mare, il loro grido di dolore e di disperazione: sono fratelli e sorelle, quelle barche che sperano di avvistare un porto sicuro in cui fermarsi e quegli occhi carichi di angoscia e speranza che cercano una terra ferma in cui approdare, non possono e non devono trovare la freddezza dell’indifferenza o lo stigma della discriminazione!”, come ha sostenuto Papa Leone nell’omelia per il Giubileo del Mondo Missionario e Giubileo dei Migranti, lo scorso 5 ottobre.
La “strage dei braccianti” ci deve interrogare sentitamente sulle responsabilità a monte, quelle che vanno ben oltre o sono ben prima la dinamica dell’incidente: precarietà conclamata, sfruttamento senza troppo scrupolo, condizioni alloggiative informali o indegne per un essere umano, mancanza di servizi a volte anche minimi, assenza di assistenza sanitaria e, poi quella tremenda inosservanza delle norme di sicurezza.
Abbiamo la responsabilità di guardare quegli “occhi carichi di angoscia e speranza” e di operare con insistenza e determinazione perché l’attuale sistema di accoglienza che, così purtroppo è fallimentare, giacché ha come risultato un posto precario, diventi invece capace di garantire integrazione, dignità, inclusione.
Abbiamo la responsabilità di superare ogni forma di “freddezza e indifferenza” perché questi fratelli non restino invisibili, non risultino solo “utili” durante certe stagioni, affinché prodotti alimentari di eccellenza arrivino sulle nostre tavole, ma apriamo “loro le braccia e il cuore per accoglierli come fratelli, essere per loro una presenza di consolazione e speranza” (Omelia Papa Leone per il Giubileo del Mondo Missionario e Giubileo dei Migranti, domenica 5 ottobre).
Quanto accaduto sabato scorso interroga e deve interrogare di continuo la coscienza dei credenti ma anche la coscienza civica di tutti affinché ci sia un salto di qualità nella speranza che deve animare questo frangente e cioè dall’indifferenza alla dignità da riconoscere a tutti. Ci serve un cambio di paradigma vero e radicale; un cambio di prospettiva che deve poter generare risposte strutturate e integrate e non solamente soluzioni emergenziali, affinché possa essere costruito un tessuto nel quale ognuno di noi si sperimenti trama e ordito allo stesso tempo, una rete non per intrappolare quanto piuttosto per salvare, per tirare fuori dal mare e dal male questi nostri fratelli.
Questa tragedia può essere- lo speriamo- la scintilla che fa scoppiare un autentico cambiamento culturale, capace di accrescere nel cuore di ciascuno il desiderio di speranza e di un futuro dignitoso e pacifico per tutti gli esseri umani.
Potenza, 5 ottobre 2025
Giubileo del mondo missionario e dei migranti
Don Antonio Polidoro
Ufficio Migrantes Arcidiocesi Matera-Irsina
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