Giubileo Diocesano. 270 i fedeli della Diocesi nella Città Eterna dall’1 al 3 maggio. Don Filippo: “Da pellegrini di speranza diventiamo portatori di speranza” | 3^ parte

Questa terza parte del servizio sul pellegrinaggio giubilare diocesano conclude il racconto della bella esperienza vissuta che ha per ultime tappe la Basilica di S. Giovanni in Laterano, cattedrale di Roma, e la vicina Scala Santa. E raccoglie alcune delle risonanze dei pellegrini presenti.

Terza tappa giubilare: l’Eucaristia in San Giovanni in Laterano

L’ultima mattinata è stata dedicata alla celebrazione eucaristica nella Cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano, con il formulario della festa dei Santi Filippo e Giacomo.

Ai sacerdoti già presenti nelle giornate precedenti si sono aggiunti don Davide Fusiello e don Giuseppe A. Lavecchia.

Ha presieduto don Filippo Lombardi che, ha ricordato all’inizio dell’omelia, in San Giovanni veniva ordinato diacono il 30 ottobre 1982 e qualche anno prima aveva partecipato alla messa dei funerali di Aldo Moro celebrata da San Paolo VI.

Don Filippo nell’omelia:

Siamo qui per raccogliere il testimone quasi al termine di questo pellegrinaggio giubilare: da pellegrini di speranza diventiamo portatori di speranza, testimoni di speranza. La speranza che ci è chiesto di portare al nostro ritorno alle nostre comunità è una sola, Gesù Cristo, il suo Vangelo

“Molto più della scelta del giusto papa, l’evangelizzazione è l’urgenza della Chiesa di oggi, chiamata a camminare nel nostro mondo disorientato, incapace di ritrovare il senso dell’esistenza, che ha tradito non solo la gioia del Vangelo ma anche il senso dell’umanità”, così don Filippo lasciandosi ispirare dalla prima lettura (1Cor 15,1-8) che parlava di Paolo che sente la responsabilità di proclamare il Vangelo che lui stesso ha ricevuto.

Attrae tutti la Scala Santa

Ultima tappa un po’ per tutti, la Scala Santa, a due passi da San Giovanni, sulla quale, secondo la tradizione, salì Gesù per raggiungere l’aula dove ha subìto l’interrogatorio di Pilato prima della crocifissione e, come gli studi hanno verificato, è costituita da materiali provenienti dalla Palestina e risalenti a quei tempi. Alcuni pellegrini sono saliti devotamente in ginocchio, come la tradizione suggerisce (ma è dura!), altri – per limiti di tempo o età avanzata, ma pur sempre con tanta devozione – in piedi, ma tutti hanno ritenuto questa tappa un’opportunità a cui non potersi sottrarre.

A seguire, del tempo libero, che è stato impiegato da alcuni per qualche altro momento turistico dentro Roma e da altri all’Outlet di Valmontone o per altre tappe sulla via di ritorno.

I pellegrini che si sono aggiunti al pellegrinaggio il secondo giorno, invece, hanno utilizzato il pomeriggio per recarsi a Santa Maria Maggiore. Lì “abbiamo vissuto un tempo di preghiera silenziosa e profonda, in particolare davanti alla tomba di Papa Francesco”, racconta una pellegrina della Parrocchia “Maria Madre della Chiesa”.

Alcuni pellegrini del gruppo diocesano, sullo fondo a destra la Scala Santa

Il Giubileo ci ha ricordato che siamo pellegrini chiamati a camminare insiemee con la Chiesa che è in cielo

“È stato un cammino di fede, illuminato dalla consapevolezza di essere attesi e accolti da Colui che è capace di trasformare il nostro fardello di peccati, sofferenze e ansie in nuova forza per affrontare le fatiche quotidiane, con lo sguardo fisso alla meta. E anche un cammino di speranza, di condivisione e di testimonianza, dove ognuno ha potuto nutrirsi dell’esperienza dell’altro anche solo con uno sguardo, una presenza, in un reciproco scambio di fede viva”, commenta una signora.

Tutti i pellegrini hanno applicato l’indulgenza giubilare a sé e a qualche caro defunto. Ci piace riportare, a proposito, la testimonianza di un’altra pellegrina: “Ho sentito forte la presenza di mio marito che non c’è più in particolare nel momento in cui sono passata attraverso le diverse porte sante. Ma ancor più quando, incontrando don Pierdomenico, inaspettatamente, mi sono sentita dire: ‘Sì, tu sei la moglie di Pasquale’. E, poi, è stata una sorpresa quando un’ex alunna di mio marito, a lui molto affezionata, mi si è avvicinata dicendo che le faceva piacere avermi incontrata, finalmente parlarmi. E ci siamo abbracciate”. La Chiesa militante che incontra la Chiesa purgante e quella trionfante: anche questo uno dei doni del Giubileo.

Tanti pellegrini sono stati “traino” – o, forse, meglio sarebbe dire mediatori della grazia – per altri che altrimenti non avrebbero preso parte a questo pellegrinaggio. E ancora, dopo aver osservato la grande spiritualità che ha accompagnato queste giornate, prima di scendere dal bus, la stessa pellegrina si è premurata di aggiungere: “Il vero Giubileo comincia ora”.

“Questa bellissima esperienza è il frutto di bambini, giovani, adulti, ‘diversamente’ giovani e intere famiglie che hanno voluto mettersi in gioco e, nella notte del 2 maggio – racconta M. Teresa Mormando, una giovane di Ferrandina –, si sono messi in viaggio per la Città Eterna.

Siamo stati guidati da ben due sacerdoti, Mons. Pierdomenico Di Candia, nostro parroco, che sin da subito ha creduto in questo Giubileo, e don Ennio Tardioli, nostro compaesano, che – ha sottolineato chiaramente – non è solito fare pellegrinaggi, ma per il Giubileo ha fatto un’eccezione, portando con sé in pellegrinaggio anche la sua famiglia.

Abbiamo vissuto momenti di gioia, fraternità e vera grazia. Noi pellegrini, seppure completamente diversi, abbiamo sentito che qualcosa ci univa e abbiamo scoperto che, in realtà, questo qualcosa era un Qualcuno: Gesù Cristo, nostra Speranza!”

“Il Giubileo diocesano che abbiamo vissuto – testimonia Carmela Micucci, coordinatrice del gruppo di Ferrandina – è stato un dono di grazia: un tempo favorevole per guardare al passato con gratitudine, vivere il presente con passione e abbracciare il futuro con speranza.

Siamo stati invitati a rinnovare la nostra fede e a lasciarci riconciliare con Dio che è tra noi.

Un pellegrinaggio, questo, che è stato occasione per riscoprire la nostra identità di comunità che cammina insieme sotto la guida dello Spirito, all’interno della Diocesi: un invito a ritrovare il senso più autentico dell’essere Chiesa, non come somma di realtà isolate ma come corpo vivo dove ogni comunità parrocchiale e ogni persona è un tassello insostituibile nel grande mosaico dell’amore di Dio. In un mondo spesso segnato dalla solitudine e dalla frammentazione, la nostra unità è stata già di per sé una testimonianza potente. Il Giubileo ci ha ricordato che siamo pellegrini chiamati a camminare insieme. Ogni gesto di condivisione, ogni scelta di perdono, ogni apertura all’altro è un segno del Regno che viene”.

L’intero gruppo diocesano in pellegrinaggio giubilare
Basilica “S. Giovanni in Laterano”, 03/05/2025

“Per me, il Giubileo è stato anche una festa”, continua Carmela Micucci. “Celebrare insieme ha rafforzato i legami, ha rinnovato la gioia di appartenere a una grande famiglia ricordandoci che la santità si costruisce nel quotidiano, nelle piccole fedeltà vissute insieme.

“Porto con me la bellezza di questo pellegrinaggio non solo nei luoghi visitati, ma soprattutto nei volti incontrati, nei silenzi condivisi, nelle preghiere sussurrate, nei sorrisi donati. Il pellegrinaggio è terminato, ma il cammino interiore continua, più forte e consapevole”, aggiunge una signora.

Ritorniamo arricchiti e invitati alla missione: portatori di speranza

“Il cammino giubilare – continua Carmela – non è solo per noi. È anche missione. Il Signore ci invita a portare il suo amore oltre i confini sicuri delle nostre chiese.

La carità, l’ascolto, il servizio sono il linguaggio del Giubileo vissuto, la forma concreta della misericordia di Dio che si fa vicina”.

Risuonano come un mandato le ultime parole di don Filippo nell’omelia:

Chiediamo di portare questa grazia ma soprattutto di diventare testimoni di speranza

“Auguro a noi tutti pellegrini di speranza, che questo tempo di grazia che abbiamo vissuto, lasci in noi un segno duraturo e che possiamo essere, come comunità, più ‘sale della terra e luce del mondo’ (cf Mt 5,13-14)”.

“Noi, giovani amici – racconta ancora M. Teresa Mormando – abbiamo aspettato con trepidazione questo momento e continuiamo a viverlo nel nostro piccolo, portandolo nella nostra quotidianità; forse per la prima volta dopo tanta strada insieme, abbiamo potuto condividere anche momenti di fede che sicuramente ha rinforzato quei legami già esistenti tra noi, gli altri e soprattutto Dio.

Stasera, a conclusione del pellegrinaggio, come intero gruppo, ci riuniremo per un momento di condivisione. Siamo partiti come pellegrini, portando al Signore, varcando quella Porta Santa, tutto ciò che avevamo nel nostro cuore, tutto ciò che siamo e che gli altri prima di partire ci hanno spiritualmente consegnato, oggi sentiamo di essere davvero tornati ‘pellegrini di speranza'”.

E quanta speranza sgorga dalla testimonianza di carità discreta ma concreta di tanti laici che accanto ai loro parroci si sono spesi per curare la logistica del pellegrinaggio prima di partire e momento per momento durante il viaggio!

Soprattutto a loro ma a tutti i pellegrini va il ringraziamento per aver reso possibile questa esperienza diocesana, in cui è stato evidente il valore di una comunità che rafforza e sostiene la fede, come anche il nostro amministratore ha avuto modo, più di una volta, di sottolineare.

E proprio con un pensiero di don Angelo nel viaggio di ritorno ci piace concludere questo servizio su questa esperienza diocesana che speriamo sia portatrice di grazia per tutti:

E così, senza neanche saperlo o accorgercene, ritorniamo da dove siamo partiti un po’ più sereni, un po’ più in pace, un po’ più felici di aver conosciuto persone nuove, un po’ più convinti che la chiesa è bella quando la si scopre nella sua veste universale, un po’ più pronti a pregare gli uni per gli altri, un po’ più concentrati su ciò che ci unisce, un po’ più motivati nel credere che la speranza è possibile perché ci sono io e ci sono altri che insieme a me guardano avanti, un po’ più indulgenti con gli altri perché si è ricevuto indulgenza. Per questo non ci stancheremo di rendere grazie perché la nostra vita potrà aver scoperto di essere seme e segno di quella Speranza che non muore mai.

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