L’etica dello stupore: la comunicazione tra virtù e mestiere

Il messaggio per la 59° Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, celebrata quest'anno il primo giugno, invita a "comunicare con mitezza", aggiungendo un tratto distintivo alla figura del buon comunicatore.

La recente intitolazione della sede RAI di Potenza al giornalista e poeta lucano Mario Trufelli, primo caporedattore della TGR Basilicata, offre uno spunto ulteriore per riflettere sul tema della comunicazione.

Cambiano i tempi, i linguaggi e gli stessi strumenti della comunicazione (dalla macchina da scrivere ai social) ma la domanda fondamentale rimane la stessa: qual è il ruolo e il contenuto della comunicazione? Ed ancora: esiste una comunicazione capace di lasciare un segno, nella storia personale e di un popolo?

Carlo Bo, nella prefazione alla raccolta poetica “Visita guidata” (1985) di Mario Trufelli manifestava la sua meraviglia per dei versi in cui ritrovava “tutta la generosità e quel senso della vita che ti ha sempre guidato e sostenuto”, giocando al limite dell’indispensabile, evitando il di più e l’inutile, il fatuo e il gratuito restituendo un momento di ritorno che sa di confessione, non compiaciuta ma “semplice parola che si rivolge a un cuore e a uno spirito liberi“.

A me sembra che una tale descrizione, pur riferita all’ambito specifico della produzione letteraria, sottolinei il carattere autentico della comunicazione.

Nel primo evento dell’anno giubilare (25 gennaio 2025), significativamente dedicato al mondo della comunicazione, papa Francesco si rivolse così ai giornalisti:

Il vostro lavoro è un lavoro che costruisce: costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero. Padre, io sempre dico le cose vere…” – “Ma tu, sei vero? Non solo le cose che tu dici, ma tu, nel tuo interiore, nella tua vita, sei vero?”

Riflessioni simili, con l’apporto di esperti in settori diversi della comunicazione, sono state al centro anche del Giubileo del mondo della Comunicazione che si è svolto a Potenza il 20 maggio scorso.

Prima del dibattito a più voci, condotto sul palco del Teatro Stabile dalla giornalista del TGR Cinzia Grenci, ha portato il suo saluto mons. Ciro Fanelli, delegato dei vescovi lucani per la comunicazione, che ha richiamato la necessità che si condividano esperienze per “far sì che la comunicazione sia strumento di costruzione di comunità e di promozione del bene comune“.

Da parte sua mons. Davide Carbonaro, Arcivescovo metropolita di Basilicata, ha sottolineato che “comunicare ha a che fare con amare. Chi è chiamato a questo alto sevizio, carico di umanità, ha nelle radici della sua vocazione il concetto biblico di conoscenza” fondata su quella “intelligenza affettiva che mette insieme i fatti con il cuore, le interpretazioni con la verità, la conoscenza con la carità“.

Se tutta la realtà è segno, rimando al “misterio eterno dell’esser nostro” di leopardiana memoria, cosa ci permette di interpretarla e quindi di saperla raccontare?

Ogni buon giornalista e comunicatore sa mettere in campo una risorsa: la “curiosità intellettuale“, frutto insieme di educazione e di esperienza.

Ma c’è qualcosa che viene prima di ogni attività: è lo stupore, la capacità di commuoversi di fronte alla realtà, alla natura, alle persone, a ciò che accade.

Se l’analisi introspettiva esprime il bisogno di far emergere le verità di sé, come esigenza di bellezza, di giustizia e di felicità, il raccontare ed il raccontarsi sono espressione matura della persona che realizza se stessa gettando ponti e costruendo relazioni.

Il comunicare assume cosi quella dimensione sociale, diventa un dovere morale, una etica che ha nello stupore il primo barlume e origine, l’etica dello stupore per l’appunto.

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Erasmo Bitetti

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