I primi passi verso una pace possibile per l’Ucraina

Il nodo delle elezioni presidenziali. L’invito di papa Leone XIV a una giornata di preghiera e di digiuno da tenersi domani 22 agosto.

Al termine dell’incontro del 18 agosto alla Casa Bianca con Donald Trump e i leader europei, Volodymyr Zelensky ha pronunciato una frase alla quale non è stato dato adeguato rilievo dai media, frase che – questo almeno si spera – potrebbe significare una svolta nella crisi ucraina.

In questa occasione, il presidente Zelensky ha affermato che nuove elezioni non sono possibili in Ucraina finché perdura lo stato di guerra. Trump ha liquidato l’espressione con una delle solite battute di spirito, ma al di là di questo è interessante notare come la frase di Zelensky si presti a un’interpretazione ambivalente che, probabilmente, tale voleva essere nelle intenzioni di chi l’ha pronunciata.

Se per un verso questo poteva significare che al momento attuale è esclusa ogni possibilità di indire le elezioni presidenziali in Ucraina, dall’altro non si escludeva che gli elettori ucraini possano essere chiamati alle urne appena cessate le ostilità. E cosa vuol dire questo? Vuol dire forse che ci sarebbero elezioni non necessariamente dopo un definitivo trattato di pace ma anche nell’ipotesi di un semplice cessate il fuoco? Tante sono le cose da chiarire. Bisogna comunque riconoscere che queste incertezze sono già un passo avanti rispetto a una situazione in cui non è chiaro niente. Da chiarire, per esempio, è quali elettori sarebbero chiamati alle urne. Anche quelli dei territori contesi tra Russia e Ucraina? Questioni troppo complesse che, in questo momento, non possono trovare una risposta.

Per ironia della sorte, il primo a cui preme che si tengano queste benedette elezioni è proprio Vladimir Putin. A determinate condizioni, ovviamente. La principale delle quali è che sia data concreta possibilità agli oppositori di Zelensky di sfidarlo ad armi pari e che i suoi competitor abbiano buone probabilità di vittoria.

Bisogna ricordare che una delle giustificazioni portate da Putin all’inizio di quella che chiamò “operazione militare speciale” era proprio l’obiettivo di rimuovere colui che veniva definito, senza mai nominarlo per nome, un “comico” a capo di “una banda di drogati e neonazisti”. Parole pesantissime; si può dire che questo ha sempre rappresentato, nelle parole di Putin, l’obiettivo principale.

Che Zelensky sia sconfitto per via democratica non impedirebbe alla propaganda russa di presentare comunque il risultato come una vittoriosa conclusione dell’operazione militare. Sebbene questo non sia, di per sé, un sillogismo del tutto convincente. Una conferma ulteriore di ciò è che la disponibilità di Putin, se non a intraprendere un percorso di pacificazione, almeno ad avviare preliminari colloqui di mediazione, ha coinciso con la fine del mandato presidenziale di Zelensky, mandato giunto alla naturale scadenza il 20 maggio scorso.

Tra l’altro, bisogna dire che la fine dell’era Zelensky è piuttosto concreta e che non è vista negativamente nemmeno dai partner occidentali dell’Ucraina. Non è improbabile che Zelensky venga effettivamente sconfitto alle prossime elezioni. Soprattutto dopo lo scivolone della  legge anticorruzione che dava al presidente ucraino la più ampia discrezionalità di intervenire sulle inchieste anticorruzione che tradizionalmente sono condotte da organismi indipendenti. Una legge che non è piaciuta agli occidentali, non è piaciuta a chi ancora crede dell’equilibrio dei poteri, ma soprattutto non è piaciuta alla popolazione ucraina. E lo si è visto chiaramente quando folle di abitanti delle principali città dell’Ucraina sono scese in piazza per protestare contro il governo.

Altro elemento importante, cui nei media occidentali non viene dato adeguato risalto, è che il “grande oppositore” di Zelensky esiste realmente, che è popolarissimo, che è disponibilissimo a farsi avanti. Si tratta di Valerii Zaluzhnyi, ex Capo di Stato maggiore delle forze armate ucraine, allontanato da Zelensky da Kiev e spedito in malo modo a Londra con l’incarico di ambasciatore, ruolo notoriamente poco consono a un militare di carriera. Scriveva Nello Scavo su Avvenire del 5 luglio scorso che «secondo i ricercatori, il 73% degli ucraini si fida di Zaluzhnyi», superando nettamente in popolarità il presidente in carica.

Non è escluso che una soluzione del genere possa essere vista di buon occhio perfino dallo stesso Putin che, sul campo di battaglia, ha visto contrapporsi il generale Zaluzhnyi come il più temibile dei generali avversari, l’unico che è riuscito a condurre con successo una controffensiva ucraina, allontanando i russi dalla linea del fiume Dnepr e di fatto bloccando l’avanzata di quell’esercito. Tra l’altro, questo generale è l’unico tra i generali ucraini a non essersi formato nelle scuole militari di Mosca. Anche Syrskij, attuale Comandante in capo delle forze ucraine, non solo si è formato nell’Accademia militare di Mosca, ma in passato ha anche servito l’Unione Sovietica.

Comunque sia, per come Putin ha impostato la sua propaganda, chiunque riuscirà a sconfiggere Zelensky sarà sempre meglio di Zelensky. E questo non è l’unico dei paradossi in un campo, come è quello delle guerre, in cui sono proprio i paradossi a portare verso la sospirata pace e a piegare le pretese dei potenti.

Zaluzhnyi è un vero leader, con un indiscusso carisma, un leader che mostra di essere ben preparato, che ha una chiara visione della realtà e un solido progetto politico – tutti campi nei quali Zelensky non ha mai mostrato particolare padronanza.

Ma ciò che rende Zaluzhnyi popolare agli occhi degli ucraini è il modo in cui egli ha condotto le operazioni militari come Capo di Stato Maggiore dell’esercito. Non soltanto per i successi conseguiti sul campo di battaglia, cui abbiamo già accennato, ma per la saggezza dimostrata nelle operazioni militari. Innanzitutto per il suo realismo che lo ha portato a impostare una campagna militare prettamente difensiva, lontana da tentazioni offensive in suolo russo, tanto care a Zelensky.

Zaluzhnyi conosce bene la natura della guerra; sa che oggi le armi di difesa sono molto più efficaci delle armi di offesa. E sono di gran lunga più economiche – cosa che ovviamente va incontro al problema della scarsità delle risorse ucraine. Zaluzhnyi inoltre, proprio perché militare, conosce le sofferenze dei soldati, oltre alla palese inferiorità numerica degli ucraini rispetto ai russi, e ha mostrato di essere molto attento a limitare al massimo le perdite umane. Ha perciò evitato accuratamente operazioni ad alto rischio, risparmiando ai suoi uomini inutili sofferenze. Insomma, ha mostrato tratti di umanità che forse il protagonismo di Zelensky ha dovuto talvolta mortificare.

Come militare, dunque, sa quanto siano cari a tutti il valore della pace e la difesa del bene comune. Tutte cose che mai l’ambizione di effimere vittorie dovrebbe compromettere.

Zaluzhnyi sa inoltre che il tempo è galantuomo. Che cioè col tempo la verità viene a galla e che sarà soltanto la verità, non tanto la forza, ciò che avrà il potere di sconfiggere Putin. E questo tempo della verità per Putin si avvicina sempre più. Come si avvicina per la Russia lo spettro inglorioso di un nuovo Afghanistan come si vide nel 1988.

Infatti, la propaganda russa continua a insistere sulle conquiste dell’esercito russo. Conquiste che non consistono se non nel guadagno di qualche villaggio o di territori di pochi chilometri quadrati. La realtà è che in una guerra non conta tanto avanzare o indietreggiare di qualche chilometro; conta piuttosto la capacità di sfondare le fortificazioni avversarie. L’Ucraina ha mostrato di saper costruire una rete di fortificazioni difensive formidabili alle quali l’esercito russo in tre lunghi anni non è riuscito ad avvicinarsi significativamente.

Il lettore avrà notato che qui non ci si è soffermati molto sul vertice in Alaska tra Trump e Putin. E non perché si sapeva bene che questo vertice non avrebbe prodotto alcun concreto risultato. C’è però una considerazione che riguardo al vertice in Alaska bisogna fare. Cioè, Putin ha rifiutato, per l’ennesima volta, un cessate il fuoco. Perché?

In realtà, la ragione è molto semplice. La Russia nel 2022 deliberava di annettere le regioni ucraine di Donetsk, Luhansk, oltre agli oblast di Zaporizja e di Kherson, con la discutibile ragione che si tratterebbe di regioni abitate dai russi e perciò russe. Quelle stesse regioni, però, oggi sono di fatto per il quaranta per cento in mano agli ucraini. Sarebbe difficile presentare questa perdita come una vittoria per la Russia. Perfino per la propaganda russa, pur così abile nel manipolare le narrazioni e nel negare l’evidenza dei fatti.

L’unica vittoria cui può ragionevolmente aspirare Putin è la rimozione di Zelensky. Cosa su cui non è necessario l’intervento dell’esercito russo, né della propaganda russa. Il mandato di Zelensky è scaduto da tre mesi e l’unica cosa che mantiene ancora al potere Zelensky è l’inutile prolungarsi di questa stupida guerra su cui insiste insensatamente Putin. Un trascinarsi inutile e dannoso per la Russia stessa la cui economia, a causa dei costi della guerra e delle sanzioni, è stata spaventosamente ridimensionata. Basti pensare che oggi il prodotto interno lordo pro capite in Russia è la metà di quello della Grecia, un paese che pure preoccupa non poco per la tenuta della sua produttività.

Tutti sanno che, cessata la guerra, è poco probabile che Zelensky possa essere rieletto. Magari poi sarà vero il contrario ma non si può dimenticare che nemmeno Churchill, che pure vinse la Seconda guerra mondiale, fu riconfermato. Neppure George Bush senior, dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda, fu riconfermato.

Questo perché tutte le guerre, anche le guerre vinte, lasciano troppi lutti, troppe ferite, troppe lacerazioni nel tessuto della società. Tutte cose che nessuna vittoria militare, in nessun modo, può riuscire a rimuovere.

Che il futuro dell’Ucraina sia Zelensky o Zaluzhnyi o altri ancora, in fondo conta poco. Quello che conta davvero è che quel piccolo spiraglio che si apre possa realmente condurre alla sospirata pace. Papa Leone XIV mostra di sperare questo. Il fatto che abbia voluto indire per venerdì 22 agosto una giornata di preghiera e digiuno è indice di questa speranza. Che ogni uomo di buona volontà sicuramente vorrà sostenere.

Volodymyr Zelensky e Valerii Zaluzhnyi
Dal post del profilo X-Twitter di Volodymyr Zelenskyy 8 feb 2024

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Paolo Tritto

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