
Il Meeting di Rimini si avvia alla conclusione e gli approfondimenti delle varie tematiche si avvicendano sotto i riflettori degli incontri alla Fiera di Rimini. Il 24 agosto si sono incontrati i relatori Javier Cercas, scrittore; Colum McCann, scrittore; Paolo Ruffini, prefetto Dicastero per la Comunicazione e Linda Stroppa, giornalista Rai, che ha moderato il dibattito. Il tema in discussione è uno dei più attuali ed anche cruciali nel rapporti tra comunità e popoli. Senza un’opportuna comunicazione non si riesce a creare quel necessario dialogo grazie al quale si possono affrontare le tematiche più scottanti con un positivo valore aggiunto che alla fine può condurre all’incontro tra popoli per arrivare ad un obiettivo ancora più grande che è la pace tra le nazioni.
In un mondo sempre più segnato da conflitti e polarizzazioni, fake news e semplificazioni bugiarde, hate speech e silenzi astiosi, la comunicazione rischia di essere ridotta a polemica, propaganda e notizie falsificate. È urgente, quindi, l’impegno per una comunicazione capace di favorire dialoghi e confronti basati sulla realtà, una comunicazione in grado di creare relazioni, condivisione e comunione fra persone e fra popoli, che rifiuta l’omologazione e riconosce nella diversità una fonte di arricchimento reciproco. Solo una comunicazione tesa alla ricerca del vero e del bene può costruire una rete di relazioni vere, di legami autentici e duraturi, una rete di verità e di libertà.

Linda Stroppa apre l’incontro con una frase tratta dal libro Apeirogon di Colum McCann “Non finirà finché non parliamo. Non finirà finché io e te non metteremo in comune la nostra storia, non ci offriremo l’uno all’altro, perché in qualche modo è una comunicazione che salva, è un uscire da sé, è rompere i propri schemi a patto però di essere veri”. Era questa un’esigenza che scaturiva da una richiesta di Papa Francesco ai comunicatori. Poi passa ad un’altra provocazione, una frase che qualche settimana fa ha espresso il cardinale Pizzaballa: “La pace si fa anche con il linguaggio, con le parole. Se tu deumanizzi l’altro con il linguaggio, crei tutte le premesse per passare alla violenza fisica.”
“Raccontare la verità vi renderà liberi”. Sono numerosi gli spunti di riflessione scaturiti dall’incontro dal titolo “Una comunicazione che costruisce comunione”. “Ci sono due modi per fare informazione come nel modo di comunicare – ha sottolineato lo scrittore Javier Cercas – uno di questi, di cui oggi si abusa, è raccontare bugie. Le bugie hanno un potere enorme, senza controllo, potenziato dai social: questa è una evidenza ed è uno dei pericoli del nostro tempo. Sì, oggi è possibile comunicare con verità, ma occorre pulire lo sguardo. Io non sono credente, ma quando sono andato in Vaticano o quando ho accompagnato papa Francesco nel viaggio in Mongolia per raccontare la Chiesa, ho dovuto pulire il mio sguardo”.
“Nell’immaginario – ha aggiunto – il Vaticano è luogo di segreti, misteri, ermetico, ma dopo duemila anni di storia la chiesa è ancora lì, ci sarà una ragione. La colpa non è delle tecnologie ma di come le utilizziamo. Lo stesso problema era sorto con la scoperta del linguaggio, della stampa a caratteri mobili, l’era Gutenberg, della televisione e si ripropone oggi con i sociali e la IA. Dipende se le utilizziamo bene. Le storie che racconto nei miei libri? Non scelgo mai, sono le storie le storie che mi scelgono. Quando mi raccontano una storia le scrivo per sapere, per conoscere, spinto dalla curiosità, tutto diventa per me un’ossessione. Come il racconto di mia madre, alla morte di mio padre disse che lo avrebbe visto dopo la vita. Ne era convinta. Quando ho incontrato Papa Francesco, al Papa la prima domanda che gli ho posto è stata questa sulla resurrezione della carne. Ho visto i volti sconcertati dei colleghi, ma per me era la verità che volevo sentire. Concludo. La Chiesa odierna ha un problema di linguaggio, manca di vitalità, è vecchio, mentre il cristianesimo comunicato da Gesù è un messaggio rivoluzionario, attraente. La parola chiave del dicastero di Francesco è sinodalità che la Chiesa non ha ancora spiegato. Sinodalità, la creazione di spazi in cui sia possibile ascoltare chiunque abbia qualcosa da dire, al fine di discernere insieme quello che lo Spirito ci sta suggerendo. In questa parola è racchiusa la verità della comunicazione che costruisce comunione”.

Colum McCann ha ribadito di credere “nella speranza”, ma è anche consapevole di vivere “in un’epoca dove è difficile crederci fino in fondo. Oggi l’uomo è come di fronte a uno specchio rotto. Ripararlo sembra impossibile; per farlo occorre rallentare i ritmi del quotidiano. Concentrarsi sulla guarigione interiore, comunicare con altri, relazionarci per poterci ascoltare, in maniera umile ascoltare l’altro. Il ruolo della chiesa è questo, delle nostre comunità, un dialogo che dal locale si estende globalmente: l’essenza della speranza. In un mio libro ho scritto del dialogo fra un padre palestinese ed uno israeliano, ho dedotto che possiamo non piacerci, possiamo pensarla diversamente, ma se non dialoghiamo è finita. Papa Francesco ha compreso l’importanza del ruolo dei comunicatori. Le storie possono lavare i piedi del mondo…le relazioni umane sono tutto. La tecnologia è buona o cattiva? Può essere entrambe le cose. Qui subentra l’aspetto educativo. Ringrazio gli insegnanti nella scuola, sono loro che istillano domande, curiosità. Nello scegliere le storie non ho un solo metodo. Occorre saper ascoltare, oggi pensiamo di possedere le certezze, non è cosi aperti a chi la pensa diversamente; mentre nelle scuole, nelle università si è più aperti e curiosi. E poi essere umili nel raccontare le storie, la professione del giornalista è molto importante: la prima regola, scrivere la verità. Per farlo si può uscire in strada, incontrare le persone, ascoltare. Per noi romanzieri la regola è raccontare nella maniera più potente possibile”.
Per Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione presso il Vaticano, “è difficile vedere la speranza intorno, siamo come accecati, anche nel raccontare la guerra non possiamo fermarci ai dati, alle analisi, ma far vedere, emergere qualcosa che sfugge; facciamo un servizio al mondo se riusciamo a costruire condivisione. Pensate se ci fossero stati i social duemila anni fa, quando Gesù sceglie Pietro, cosa sarebbe successo nella storia della chiesa. I social comunque non vanno demonizzati ma vanno usati con ragione, privilegiare il dialogo, la condivisione, altrimenti distruggiamo il senso delle parole e della storia, Mettersi insieme aperti al mondo e non contro qualcuno. Noi siamo nati in un’epoca senza computer, oggi i giovani devono aiutarci nel modo di comunicare. Solo una comunicazione tesa alla ricerca del vero e del bene può costruire una rete di relazioni vere, di legami autentici e duraturi, una rete di verità e di libertà”.
Però Ruffini è conscio della realtà odierna, di un mondo che cammina con ritmi evolutivi imprevedibili per cui afferma: “Ora, ahimè, secondo me, purtroppo la Chiesa ha un problema che non è solo di linguaggio, questo è il punto. E la Chiesa, e qui penso che questa parola la capiate, è ancora più cara a voi. O è comunione o non c’è la Chiesa, o siamo un corpo solo o non c’è la Chiesa. E questo corpo solo e questa comunione non riguarda soltanto la Chiesa, riguarda credere che siamo tutti figli e figlie di Dio”.
Linda Stroppa conclude l’incontro chiedendosi: “Ma che cosa abbiamo visto in quest’ora? Che è un’umanità che si comunica, una catena ininterrotta di storie raccontate che, venendo raccontate, penso ai vostri libri, penso a tutto il lavoro del Dicastero Vaticano per le Comunicazioni, che venendo raccontate trasformano la vita” Pertanto, afferma con forza: “Vieni a vedere e ti racconto che cosa è accaduto”. Questo è il compito dei giornalisti, degli scrittori, di tutti noi.
Il video integrale dell’incontro:
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