Veglia di preghiera per la pace: “Da Gorizia, invochiamo la pace”

Alle ore 20 si è tenuta a Gorizia la Veglia di preghiera, introdotta da alcuni saluti istituzionali e dalla firma dell’Appello per la pace delle Chiese in Italia, Slovenia e Croazia. Riportiamo il testo dell'omelia del Card. Matteo Zuppi, presidente della CEI ed il testo integrale dell'Appello firmato dai presidenti delle tre Conferenze episcopali.

L’omelia del card. Zuppi è un accorato appello alla pace, alla fraternità universale e al disarmo interiore. Essere cristiani significa sentirsi parte di una famiglia senza confini, chiamata alla comunione e all’amore reciproco. I muri — fisici, culturali o interiori — devono essere abbattuti, perché solo il perdono e la memoria purificata portano alla vera pace.

La guerra nasce dall’orgoglio, dall’egoismo e dalla paura; perciò bisogna disarmarsi, cioè rinunciare alla pretesa di avere sempre ragione, accogliere l’altro, imparare a convivere. La pace si costruisce con umiltà, riconciliazione, ascolto e gentilezza, a partire da ciascuno di noi.

Non possiamo restare indifferenti o sentirci impotenti: anche nei grandi mali, la speranza e il bene resistono nei giusti, negli umili, nei riconciliati. La pace è possibile — ed è l’unica vera via per un’umanità pienamente viva.

Riportiamo traccia dell’intera omelia del Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI

Sento tanta emozione a ritrovarci proprio qui. Sento la grazia di essere cristiani, di appartenere a questa famiglia senza confini, chiamata ad andare sempre fino ai confini della terra, quindi a superarli tutti. Contempliamo una fraternità che è anticipo di futuro perché in cielo, lo sappiamo, non ci sono e non ci saranno confini. Saremo una cosa sola. Non uguali: insieme, come quando ci si ama. Ogni persona porta con sé un pezzo unico dell’unico Dio e l’altro lo completa e fa capire l’utilità di quel pezzo che sono io.

La verità di ognuno non è un possesso individuale, ma sempre una relazione viva. Non dobbiamo mai dare per acquisita l’amicizia, ma cercarla e rinnovarla sempre, perché il divisore è proprio nel sonno che semina la zizzania. È il sonno della ragione e dell’amore, il sonno della fede, quello del benessere che stordisce. Restiamo svegli, risvegliamoci dal sonno. Vediamo le cicatrici orribili degli ultimi conflitti bellici e civili, le conseguenze delle ideologie totalitarie, di nazionalismi che hanno reso l’altro solo un nemico, un oggetto di cui disporre o da distruggere.

Gesù abbatte i muri che il male e gli uomini costruiscono, perché di due continua a fare una cosa sola, abbatte il muro di separazione che divideva, cioè l’inimicizia. All’inizio può sembrare un rischio buttar giù i muri, fa sentire indifesi, fa perdere identità. L’amicizia non ha difese, disarma i cuori, gli occhi, le mani, le menti. Buttiamo giù i muri, specialmente quelli invisibili e ugualmente pericolosi dei torti e delle ragioni, non per dimenticare ma per purificare la memoria, perché solo il perdono, da dare e da chiedere, permette la pace. Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono, perché questo sana il passato, non lo ignora. Senza memoria ci condanniamo a ripeterlo. Sentiamo questa sera la voce dei morti caduti “nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo”, sentiamo le vittime il cui sangue oggi viene sparso dalla follia delle inutili stragi. Sentiamo l’invocazione di chi è colpito dalla violenza cieca e sempre fratricida della guerra, il grido delle sofferenze terribili che questa provoca e che durano per sempre nei cuori e nel corpo delle persone colpite.

Chiediamo pace per la Striscia di Gaza, pace per l’Ucraina, pace per tutti i conflitti pezzi tutti di quell’unica guerra mondiale, pace per coloro di cui non conosciamo neanche i nomi perché la loro sofferenza si consuma in un villaggio isolato del Kivu o della Nigeria. Dio cerca sempre Abele. “La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!”. Ecco dove sta Dio. È l’uomo che è perso. La pace è indivisibile, solo imparando a convivere la troviamo, credendo nel diritto e dotandosi di strumenti adeguati.

Vivere è convivere. Convivere non è vivere di meno o rinunciare a se stessi, anzi, al contrario è la dimensione vera della vita, l’unica possibile perché l’uomo non è un’isola. È infantile, adolescenziale, ignorante, essere se stessi senza o contro gli altri! Lo vediamo cosa comporta! I muri indeboliscono e ci rendono fragili e pieni di paure, perché stiamo bene quando amiamo il prossimo, quando, come il Patriarca Athenagoras, combattiamo la guerra più dura, l’unica che dobbiamo compiere e l’unica che porta la pace perché ci fa dominare l’istinto che poi finisce per dominarci e per diventare omicida del fratello. La guerra è contro sé stessi, per essere se stessi e liberarci dall’idolatria dell’egoismo. “Bisogna arrivare a disarmarsi. Ho perseguito questa guerra per anni, ed è stata terribile. Ma sono stato disarmato. Non ho più paura di niente, perché l’amore caccia il timore. Sono disarmato della volontà di aver ragione, di giustificarmi squalificando gli altri. Non sono più sulle difensive, gelosamente abbarbicato alle mie ricchezze. Accolgo e condivido. Ho rinunciato al comparativo. Ciò che è buono, vero e reale è sempre per me migliore. Ecco perché non ho più paura. Quando non si ha più nulla, non si ha più paura”. Ecco, disarmarci per disarmare il mondo, per iniziare noi! Non si può essere fratelli, se non si è umili, perché è l’orgoglio, la cupidigia, provoca tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, di quello che Paolo VI chiamava “il colonialismo dell’egoismo”. Si arriva a disprezzare tanto il dialogo che uccidiamo coloro con i quali stiamo parlando! Disarmarsi significa semplicemente amare e non possedere, liberarsi dal seme dell’odio e della vendetta, che rende arido il cuore e finisce per giustificare la violenza, fosse pure solo nelle parole, nella freddezza, nell’imbarazzo, nel pregiudizio.

Disarmarsi significa gentilezza, esercizio di tanta pazienza e della capacità di dare fiducia, non essere indifferenti o aggressivi, immedesimarsi nel dolore dell’altro, capirne le domande e le paure, non fare mancare il nostro aiuto.  Altrimenti si finisce inevitabilmente per armarsi, per portarsi i confini nel cuore, con repulsioni e paure. Un uomo di pace la spande intorno a sé. Certo il mondo sembra cercare guerra. Si globalizza l’indifferenza e la impotenza. Cosa posso fare io, davanti a mali così grandi?. Ha detto Papa Leone: “La globalizzazione dell’impotenza è figlia di una menzogna: che la storia sia sempre andata così, che la storia sia scritta dai vincitori. Allora sembra che noi non possiamo nulla. Invece no: la storia è devastata dai prepotenti, ma è salvata dagli umili, dai giusti, dai martiri, nei quali il bene risplende e l’autentica umanità resiste e si rinnova”. La preghiera è la prima smentita dell’impotenza. Alla globalizzazione dell’indifferenza Papa Francesco oppose la cultura dell’incontro, a quella dell’impotenza Papa Leone ha chiesto la cultura della riconciliazione, il contrario di quella del sospetto, dell’odio, delle ideologie che fanno scavare trincee e tracciare altri confini. “Oggi dobbiamo incontrarci curando le nostre ferite, perdonandoci il male che abbiamo fatto e anche quello che non abbiamo fatto, ma di cui portiamo gli effetti. Tanta paura, tanti pregiudizi, grandi muri anche invisibili ci sono tra noi e tra i nostri popoli, come conseguenze di una storia ferita. Il male si trasmette da una generazione all’altra, da una comunità all’altra. Ma anche il bene si trasmette e sa essere più forte!”

Tutti possiamo diventare esperti di riconciliazione, perdonando e chiedendo perdono. “Bisogna riparare ciò che è infranto, trattare con delicatezza le memorie che sanguinano, avvicinarci gli uni agli altri con pazienza, immedesimarci nella storia e nel dolore altrui, riconoscere che abbiamo gli stessi sogni, le stesse speranze. Non esistono nemici: esistono solo fratelli e sorelle”. Ecco la pace che vogliamo. Da Gorizia, con le sue ferite ma anche con la sua storia e l’esperienza che ha reso le frontiere delle cerniere, i muri dei ponti invochiamo la pace. Pensando ai confini che non ci sono vogliamo dire a chi è nella disperazione e nell’angoscia: la pace è possibile.

Noi non vogliamo che la pace diventi di nuovo una tregua, quasi sia ineluttabile la guerra. Allora diciamo: la pace è possibile!. “È il messaggio che sale dai campi delle due guerre mondiali e dagli altri recenti conflitti armati da cui è stata insanguinata la terra; è la voce misteriosa e formidabile dei Caduti e delle vittime dei conflitti passati, è il gemito pietoso delle tombe innumerevoli dei cimiteri militari e dei monumenti sacri ai Militi Ignoti: la pace, la pace, non la guerra. La pace è la condizione e la sintesi dell’umana convivenza”. La pace è possibile e inizia da me. La giustizia, il diritto sino la regola dei rapporti tra le nazioni. Bisogna avere coraggio della pace.

L’Appello della pace delle Chiese in Italia, Slovenia e Croatia:

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