I migliori anni della nostra storia

Il valore politico dell’unità della Chiesa nel Medioevo di Basilicata. La forza identitaria dei santi patroni.

L’hanno chiamata “l’età dell’oro” perché c’è stato un tempo, molti secoli fa, in cui il nostro territorio regionale ha avuto un ruolo centrale nella storia del mondo allora conosciuto. Lo abbiamo accennato in un precedente articolo su questo stesso giornale, spostandoci a considerare i secoli dell’Alto Medioevo. Secoli bui; nel caso dell’Alto Medioevo secoli veramente bui, per la scarsità di conoscenze ancora a nostra disposizione.

Per quanto tutto questo, oggi, possa sembrarci poco credibile, quel tempo è stata realmente una delle pagine migliori della storia meridionale. E particolarmente la nostra Chiesa locale ha rappresentato il fulcro di quel passaggio epocale che porterà tutto il meridione italiano verso la dominazione normanna; quando, superando la naturale tendenza alla frammentazione che purtroppo caratterizza tutta la storia politica italiana, il Sud raggiungerà una stabile unità. A differenza del resto della penisola italiana, infatti, tutto il Mezzogiorno manterrà la sua unità politica, per oltre mille anni e fino al compimento finale dell’Unità d’Italia del 1861.

Ciò che ha permesso questo prodigio è qualcosa che è accaduto nella nostra storia, in una Chiesa locale che più di dieci secoli fa e fino agli anni Cinquanta del secolo scorso è stata l’Arcidiocesi di Acerenza e Matera. La cosa più incredibile, tra le tante, è che tutto questo si realizzerà grazie all’arrivo nel meridione italiano dei longobardi. Proprio quei longobardi che sono ricordati come “i più barbari dei barbari”. 

Ne ha parlato Alessandro Di Muro, docente di Storia medievale presso l’Università della Basilicata, nel corso di un’interessante lezione dal titolo “Tra Longobardi, Bizantini e Normanni: l’età dell’oro di Acerenza”, tenuta il 13 settembre scorso presso il Museo diocesano di Acerenza.

I longobardi, spiega Di Muro, sono presenti nel meridione italiano certamente a partire dall’anno 570 quando fondano il Ducato di Benevento. Di qui ben presto si espandono e nel 600 hanno già sottomesso gran parte delle aree interne del Mezzogiorno. Acerenza si impone subito come importante punto di riferimento di questa nuova entità politica.

Nel 663 l’imperatore romano d’Oriente, Costante II, parte alla conquista di quello che un tempo era stato il centro dell’Impero romano con l’obiettivo almeno di sottomettere l’Italia meridionale sottraendola al dominio dei longobardi e riportarla così sotto il controllo imperiale – da duecento anni mancava un imperatore a Roma, ricorda Di Muro. Costante sbarca a Taranto, punta su Lucera, la città più fortificata del meridione, e la conquista. Sa che deve conquistare Benevento, centro del potere politico longobardo, ma è consapevole che prima deve necessariamente neutralizzare Acerenza, se non vuol rischiare di vanificare il successo finale dell’impresa.

Giunto sotto le mura di Acerenza, l’imperatore la cinge d’assedio ma non riesce a espugnarla. «L’esercito più forte della cristianità» commenta Alessandro Di Muro, «non riesce a conquistare Acerenza». Costante II cerca di raggiungere ugualmente Benevento, ma l’esercito imperiale, nonostante la schiacciante superiorità, viene sconfitto e l’imperatore deve ritornarsene in Oriente.

La battaglia di Acerenza è stata uno degli eventi più clamorosi del tempo e i primi a rimanerne sorpresi furono gli stessi longobardi che, attribuendo evidentemente il successo dell’impresa alla fede degli acheruntini, si convertirono al cattolicesimo. Per loro si trattava del passo definitivo di un percorso di avvicinamento al cristianesimo durato almeno un secolo e che ha visto i longobardi passare attraverso l’eresia ariana.

Ciò che maggiormente sorprendeva della Chiesa cattolica era, agli occhi dei longobardi, indubbiamente l’unità del popolo cristiano. I barbari, guerrieri formidabili, quando si muovevano alla conquista di nuove terre, erano inarrestabili nella loro avanzata. Ma, forse proprio per questa aggressività, non era facile trovare elementi di coesione al proprio interno, tanto che non riuscirono mai ad avere un orientamento politico unitario, non hanno mai avuto un re da tutti riconosciuto; di conseguenza, ogni ducato faceva storia a sé.

I longobardi compresero allora che, per la stabilità dei regni, la vera forza non sta tanto negli eserciti di cui si può disporre, quanto nell’unità di un popolo. I longobardi sono stati i primi, nella storia, a comprendere il valore politico dell’unità della Chiesa.

Compresero anche l’importanza di rendere forte e visibile questa unità. Essendo naturalmente dei conquistatori, non potevano pensare di realizzare tutto ciò se non conquistando qualcosa. Quello che pensarono di conquistare erano le reliquie dei santi e tanto più potenti erano considerati i santi – pensavano – tanto più forte sarebbe stato il loro potere identitario.

Nell’anno 722, i longobardi erano sbarcati in Sardegna riuscendo a impossessarsi nientemeno dei resti mortali di Sant’Agostino che erano custoditi a Cagliari, portandoli a Pavia, in quel momento il più importante centro del potere longobardo del nord.

Proprio in quell’anno in Friuli, che era stata la prima tappa della discesa dei longobardi nella penisola italiana, nasceva un certo Sicone che sarà uno dei più brillanti condottieri longobardi. Sicone riuscirà in età adulta a ottenere la carica di Gastaldo di Acerenza, carica che evidentemente doveva essere considerata tra le più ambite. Egli era stato probabilmente segnato da quell’evento straordinario che fu la conquista delle reliquie del santo di Ippona. Tanto che, una volta al sud, nella Langobardia Minor, cominciò ad accarezzare l’idea di realizzare l’impresa più audace che allora si potesse concepire.

Ben presto, per Sicone, diventò un’idea fissa il piano di attaccare Napoli, la città più ricca del Tirreno. Ma non per conquistarla. Nel saggio intitolato “Uso politico delle reliquie e modelli di regalità longobarda da Liutprando a Sicone di Benevento”, Alessandro Di Muro scrive che Sicone «si contraddistinse per un’aggressività senza precedenti nei confronti di Napoli», assediando la città per ben tre volte, fino a quando non riuscì a entrarvi e a raggiungere il suo scopo. Lo scopo era quello di sottrarre le reliquie di San Gennaro e di traslarle nella cattedrale di Benevento, città che, come Pavia era stata per i longobardi del nord, era la capitale del ducato meridionale.

Nell’831 Sicone rientrava a Benevento. Portava con sé, riferisce Di Muro, «il corpo del patrono principale della città partenopea, Gennaro appunto, che era stato vescovo di Benevento, un ritorno, dunque, dall’enorme valore simbolico. Il protagonista assoluto del corteo che attraversa la città sannita è Sicone, che avanzava al clangore delle trombe con le reliquie, “lieto come se avesse ridotto in suo potere Napoli”, tra l’esultanza dei beneventani».

Le reliquie di San Gennaro torneranno a Napoli soltanto sette secoli dopo, nel 1497. 

Inutile dire che Sicone, gastaldo di Acerenza, sarà acclamato duca di Benevento. Dovrà – per la verità – eliminare fisicamente altri pretendenti per ottenerne la carica, ma queste erano cose cui il popolo non dava molto peso allora. Almeno, non  tanto come poteva essere ottenuta la protezione di un santo potente come San Gennaro. E comunque non sono cose che possano far dubitare che quelli furono gli anni migliori della nostra storia meridionale.

La centralità di questo territorio regionale sarà evidente anche nella seconda metà del X secolo, quando Bisanzio cercherà di tornare in possesso delle terre del meridione italiano. In questo momento il Patriarca di Costantinopoli, dice Alessandro Di Muro, crea una grande metropolia che ha al centro Otranto e nella quale inserisce la grande diocesi acheruntina, con tutto il suo territorio che comprendeva quasi interamente l’attuale Basilicata. Nello stesso tempo, per contrastare il disegno egemone dell’imperatore d’Oriente, il Papa di Roma inserisce quella di Acerenza nella grande arcidiocesi di Salerno.

Sono vicende che rendono bene l’idea dell’importanza di questa realtà regionale agli occhi dei principali centri della cristianità di quel tempo. Il contendersi il controllo della diocesi di Acerenza e Matera sarà una delle ragioni che concorreranno non poco ad accentuare gli attriti tra Oriente e Occidente. E il fatto che ancora oggi questa regione abbia una doppia denominazione, Lucania e Basilicata, a seconda che si voglia sottolineare il suo legame storico con l’Occidente o con l’Oriente, è un segno di queste contese; un segno delle cicatrici che queste vicende hanno lasciato nella storia.

Traslazione delle reliquie – Avorio di Treviri
“Chris 73” Wikimedia Commons https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Elfenbeintafel_mit_Reliquienprozession,_Konstantinopel,_5._Jahrhundert.jpg

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Paolo Tritto

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