Don Antonio Lopatriello: grande partecipazione all’Eucaristia per i dieci anni di sacerdozio. Il vescovo: “Ti auguro che tu possa essere divorato dall’amore per Dio e per gli altri”

Messa solenne interparrocchiale il 31 ottobre a “Mater Ecclesiæ” (Bernalda) per il decimo anniversario di sacerdozio di don Antonio. Tante le esperienze in questi anni di vita presbiterale di don Antonio: quella di vicario nella “Santa Famiglia” di Matera, poi di parroco a Craco, Tinchi e, ora, a Bernalda, oltreché di direttore dell’Ufficio Tecnico Diocesano.
Processione di ingresso. Foto: Filippo Fuina.

Una celebrazione estremamente partecipata: tanti fedeli per festeggiare don Antonio sono giunti non solo dalle due parrocchie di Bernalda, ma anche da Pisticci, città nativa di don Antonio, e da Tinchi e Craco, dove don Antonio ha prestato il suo ministero sacerdotale in questi anni: qualcuno è dovuto rimanere al di fuori dell’ingresso!

Ben 23 i sacerdoti della Diocesi che, accanto al festeggiato, hanno concelebrato; il vescovo Benoni, inoltre, ha assistito alla liturgia e tenuto l’omelia. Non mancavano i rappresentanti delle istituzioni civili: i sindaci di Bernalda e Craco, nonché il questore e diverse altre autorità civili. Le corali “Alleluia” e “San Bernardino” delle due parrocchie si sono unite, assieme all’orchestra, per offrire un’animazione liturgica consona all’evento.

Sempre vitale e incisiva l’omelia dell’arcivescovo, ispirata alla solennità di Tutti i Santi. Mons. Ambarus ha avviato il discorso coinvolgendo alcuni ministranti perché esprimessero l’atteggiamento di un santo: mani giunte e faccia sorridente è stato quello che, buffi, i ragazzini hanno mostrato.

L’omelia, con il coinvolgimento dei ministranti. Foto: Filippo Fuina.

Mons. Ambarus: “È la felicità l’aspetto caratterizzante la vita di ogni santo”

“È la felicità l’aspetto caratterizzante la vita di ogni santo – ha spiegato il vescovo –, non la manifestazione di una vita frustrata. ‘Mani giunte e colli storti non so’ boni né vivi né morti’, dice un proverbio romano. La santità è una cosa molto più bella e grande di quello che potremmo immaginare: sono santi coloro che si sono lasciati consumare nell’amore e attirare nell’oceano immenso dell’amore di Dio, contemplando chi sono alla luce di Dio e spendendo la vita perché anche gli altri conoscano questo oceano di amore infinito”.

Oggi celebriamo i santi delle nostre famiglie: quello che sono oggi lo devo a tutti i miei antenati, che si sono ammazzati di lavoro e preghiera. E magari hanno pregato per la mia vocazione.
Celebriamo oggi i santi non cristiani che pur non avendo mai conosciuto il Cristo hanno vissuto secondo i criteri della giustizia, dell’equità, dell’attenzione all’altro.
Celebriamo i santi miserabili: un alcolizzato che è riuscito ad astenersi dall’alcol per generosità verso i suoi famigliari compie un atto di santità.
Celebriamo i santi “vulnerabili”: i “parenti” del buon ladrone, che pur avendo conosciuto le prevaricazioni e le ingiustizie su di loro hanno resistito a non riprodurre il male tale e quale.
Celebriamo i giovani che abbiamo pensato di riempire di mille cose e oggi sono completamente sperduti, non trovano il senso della vita e sono estremamente smarriti.
Celebriamo oggi i santi non capiti nella vita.
Santi sono coloro che nella loro vita operano con rettitudine, che spendono la loro vita nel costruire una società più giusta e onesta: “Di essi sarà il Regno dei Cieli”. Ma il Paradiso non inizia nell’aldilà: già qui ne abbiamo un anticipo.

E ancora il vescovo: “La santità è uno stile di vita da cristiano adulto. Tutti vi siamo chiamati. Non importa dei risultati: importa sentirci pienamente in comunione con questo infinito numero di santi che ci hanno preceduto e sentirci sintonizzati all’opera di Dio che si compie in noi e attorno a noi, anche grazie a noi”.

Il vescovo Benoni a don Antonio: “L’umanità sofferente e piangente ti sia sorella di vita”

Non meno belle le parole che l’arcivescovo ha rivolto a don Antonio in conclusione dell’omelia. La presenza del folto popolo nella celebrazione era “sì” per ringraziare don Antonio per la sua disponibilità, ma ancor più per esaltare la bontà del Signore che ancora oggi riesce a sedurre i cuori e a dire: “Va’ e con la tua vita annuncia lo spirito delle Beatitudini; va’ e annuncia a quest’umanità di oggi di non disperare; va’ e sintonizza il tuo cuore con l’umanità sofferente e piangente, e questa ti sia sorella di vita. E se ti sintonizzerai con loro, loro scopriranno me”. E poi l’augurio, a nome di tutti, a don Antonio:

Che tu ti lasci divorare dall’amore per Dio e dall’amore per gli altri, perché l’amore costa, consuma. Ci consuma. Ma è solo così che si nutrono le persone: più riusciamo a consumarci, più le persone riescono a incontrare la grazia inaudita di Dio che ci salva.

Don Antonio, instancabile fautore di interparrocchialità: stima e affetto per lui dalle comunità di Bernalda

Espressioni di profonda gratitudine per don Antonio da parte della sua comunità parrocchiale, per la sua “guida salda e misericordiosa, radicata profondamente nell’amore di Cristo”, per il prezioso cammino che sta compiendo al loro fianco. “Il tuo ‘sì’ a Dio è diventato per noi fonte di luce e guida sicura, come quella di un buon pastore che si prende cura del suo gregge con amore, dedizione e instancabile presenza. Ti ringraziamo per la cura attenta e le premure che riservi a ciascuno di noi, facendoci sentire accolti, ascoltati e valorizzati. Hai saputo conquistare i nostri cuori con discrezione e rispetto, avvicinandoti ad ognuno di noi in punta di piedi, facendo sentire ogni persona importante così come lo è agli occhi di Cristo”.

Non meno evidenti gli apprezzamenti dall’altra parrocchia bernaldese, San Bernardino: “Nel tuo servizio, umile e perseverante, vediamo l’azione della grazia di Dio, che opera attraverso la tua umanità e il tuo cuore donato. La fraternità e l’amicizia che vivi nell’interparrocchialità con i tuoi confratelli, presenti e passati (il nostro pensiero non può non andare al compianto don Mariano – nominato il quale si è levato un fragoroso applauso –), sono segno di una Chiesa che cammina unita, cresce nella stima, nella collaborazione condivisa, sostenendosi nella preghiera, nella condivisione e nella gioia del Vangelo, nonché nella gioia e nelle fatiche del ministero. In te riconosciamo un fratello che incoraggia, ascolta e accompagna. In questo giorno, e non solo, preghiamo il Signore perché continui a guidare i tuoi passi e rafforzi la tua vocazione. Il tuo ministero sia sempre illuminato dalla sua Grazia perché tu possa portare frutti abbondanti nella tua e nostra vita”.

E il dono del calice, con l’incisione di un pellicano, l’uccello che dà la sua stessa carne in pasto ai propri figli, raffigurato tra l’altro sul tabernacolo di Mater Ecclesiæ: un segno di unione, identità tra le due parrocchie, un legame in più. Invece, la Parrocchia Mater Ecclesiæ ha donato a don Antonio la casula che ha indossato durante la celebrazione e la cornice della pergamena con la benedizione papale che don Antonio aveva ricevuto mercoledì scorso.

Don Antonio traccia un bilancio di questi dieci anni

Don Antonio, nel suo saluto di ringraziamento, ha ripercorso gli inizi, e non solo, del suo ministero sacerdotale. Ha ricordato gli incontri con don Leonardo Selvaggi nella “disordinata sagrestia, ma pur sempre una casa accogliente”: lì ha sperimentato il sapore della paternità, già appresa nelle mura domestiche, con i suoi, che gli hanno insegnato a vivere nella semplicità e nell’umiltà. Altre figure “paterne”: don Michele Leone, che ha ringraziato per averlo saputo sostenere con saggezza e fermezza in tanti momenti belli e difficili, e don Mariano Crucinio: “Dopo il suo funerale, tanti extracomunitari che di solito frequentano la nostra Caritas, mi hanno detto di lui. Quell’uomo non ci ha mai chiuso la porta di casa sua: sono certo che allo stesso modo Dio gli abbia aperto le porte della sua di casa”.

Ma accanto alla paternità, la cifra distintiva del sacerdote per don Antonio è la fragilità: diversamente da dieci anni fa, nel tempo “ho sperimentato che, come il Signore, proprio attraverso la nostra miseria e le nostre cadute ci fa essere degli altri portatori di misericordia. Quella misericordia che permette a tanti, e a me per primo, di sentirsi amati, sorretti e abbracciati da Dio”.

Don Antonio ha riferito che con gioia ha incontrato tante persone che lo hanno aiutato a crescere, con il loro affetto, la loro preghiera e tante altre che, con umiltà e dedizione, nel loro “nascondimento” lo aiutano nel suo ministero.

Ha ricordato poi l’importanza dell’amicizia nella vita di un sacerdote: ecco i suoi tre amici fedeli, come i tre moschettieri, don Antonio di Leo, don Mattia Albano e don Leonardo Sisto, oltre al caro don Michele Leone.

Un pensiero è stato rivolto anche all’ex-arcivescovo, mons. Caiazzo, che sempre ha valorizzato i giovani preti: ad esempio, don Antonio è stato inserito nell’Ufficio Tecnico, di cui ora è direttore: un compito da lui accolto per obbedienza, come tutti, ma “anche quando pensi di non farcela, il Signore ti dona capacità e serenità per compiere ciò che ti viene chiesto”. E non è mancato un pensiero a mons. Ligorio – che puntuale gli aveva fatto gli auguri – “padre attento e premuroso che mi ha accompagnato all’ingresso in Seminario fino al giorno dell’ordinazione, dieci anni fa nella sua parrocchia di Cristo Re”.

Un momento della celebrazione. Foto: Filippo Fuina

La testimonianza di una parrocchiana di Craco

Ma la prima comunità che don Antonio ha servito da parroco è stata Craco, dove don Antonio giungeva otto anni fa appena ventottenne, piccolo di statura e di età: sembrava troppo giovane per il quel ruolo.

Mi piace riportare la mia testimonianza personale, a questo punto: ho imparato a conoscere don Antonio, grazie anche a mons. Caiazzo che mi chiese di seguirlo nei suoi spostamenti nei grandi eventi della Diocesi. In quegli anni frenetici, interrotti dalla pandemia di Covid-19, ho visto don Antonio crescere e fortificarsi nel suo ministero; ha saputo incarnare il ruolo del Padre, del fratello, dell’amico, sostenendo incessantemente la parrocchia, essendo da stimolo per tutti noi e, in particolare, per i giovani. Nella sua umiltà, don Antonio ha costruito, intessuto e vivificato rapporti con tutta la comunità crachese; ci ha tenuto compagnia nel periodo del covid con messaggi, benedizioni e dirette streaming della Messa.

È stato capace di creare una vera e sincera amicizia, di cui mai si perderanno le tracce. Ho sempre creduto in lui, come padre, sebbene per età potesse essermi figlio. E quando appresi che doveva essere trasferito, ho vissuto con fragilità quel momento: mi sembrava di perdere non solo un padre, ma un fratello con cui avevo camminato insieme per cinque lunghi, ma pur sempre brevi, anni. Quando si insediò a Bernalda piansi, ma allo stesso tempo ero felice: don Antonio sarebbe stato lì, come a Craco, a casa sua.

E come tutti i salmi finiscono in Gloria, così anche questo importante anniversario è terminato con un vivace momento conviviale, allietato tra l’altro dalla proiezione di un bel filmato che hanno realizzato i giovani della parrocchia.

Don Antonio e gli amici sacerdoti pisticcesi con l’Arcivescovo

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

For security, use of Google's reCAPTCHA service is required which is subject to the Google Privacy Policy and Terms of Use.

Anna Maria Bruna Nicoletti

Latest videos