La Palestina e il mistero dell’iniquità

Il realismo cristiano guida i passi verso la vera pace. Per il Patriarca Pizzaballa, perdono, verità e giustizia sono i tre pilastri necessari per porre fine alle ostilità.

È trascorso poco più di un mese dalla tregua di Gaza e ovviamente c’è da ringraziare per questo dono tanto a lungo atteso. Molte però sono ancora le ombre e il traguardo di una pace vera e definitiva ancora nessuno riesce davvero a intravederlo.

I problemi da risolvere sono tanti. Anche qualora cessino del tutto le ostilità, caso purtroppo poco probabile, ci sarà infatti da affrontare il nodo spinoso del riconoscimento di uno stato palestinese con i relativi contestatissimi confini. Ma anche – cosa altrettanto importante – bisognerà attivare urgentemente misure che comincino a colmare gli enormi squilibri economici esistenti tra ebrei e palestinesi, permettendo a questi ultimi un livello di benessere che possa garantire loro dignitose condizioni di vita. Perché disuguaglianze di questo tipo, cui si assiste nei Territori, sono un vero scandalo.

Per il cardinale Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, ci sarà poi da affrontare quello che è il grande problema che affligge l’area: il superamento dell’odio.

In una lettera dello scorso 5 ottobre, indirizzata alla sua diocesi, Pizzaballa scrive: «La violenza spropositata a cui abbiamo assistito fino ad ora ha devastato non solo il nostro territorio, ma anche l’animo umano di molti, in Terra Santa e nel resto del mondo. Rabbia, rancore, sfiducia, ma anche odio e disprezzo dominano troppo spesso i nostri discorsi e inquinano i nostri cuori. Le immagini sono devastanti, ci sconvolgono e ci pongono davanti a ciò che san Paolo ha chiamato “il mistero dell’iniquità” (2Tes 2,7), che supera la comprensione della mente umana».

Come uscire da questa spirale? San Paolo, nella lettera ai Tessalonicesi citata dal Patriarca, parla di “mistero dell’iniquità”. Non sappiamo a cosa l’apostolo si riferisse precisamente allora con queste parole; si tratta di una circostanza nota evidentemente ai destinatari della lettera, ai Tessalonicesi appunto, ma che non viene rivelata a noi. Quello che sappiamo è che in questa lettera si allude al mistero del male. E al fatto – sta proprio qui la misteriosità del male – che tutto ciò, il male, non sarà mai definitivamente eliminato. Non solo, ma la pretesa di rimuovere radicalmente il male e il seme dell’inimicizia può diventare anche questa un male e perfino maggiore del male stesso. È un mistero – come si è detto – ma dite se non è proprio per questa diabolica pretesa di sradicare l’inimicizia che abbiamo visto devastare Gaza.

Secondo la teologia cattolica, essendo il male una proprietà dell’eterna realtà degli “angeli ribelli” non sarà eliminato mai. Per quanto potrà essere vinto, per quanto ci si possa liberare del suo potere e si possa efficacemente debellare il suo “pungiglione” – per usare un’altra espressione di San Paolo – non sarà mai veramente annientato.

L’iniquità scaturisce dall’umana impossibilità di scindere il male da chi quel male compie. Ma se il male è male, la persona è invece un bene. È un bene certamente agli occhi di Dio che quella persona ha creato; e non può averla posta in essere se non come un bene. «Omnis creatura bona», ricorda sempre san Paolo.

Le parole dell’apostolo scandalizzano anche noi che oggi, in fondo comprensibilmente, ci chiediamo come possa essere un bene chi ci fa del male e come possiamo amare i nostri nemici. Come potrebbe, per esempio, un ebreo israeliano amare un uomo di Hamas? O viceversa.

Eppure è proprio questo che è divenuto a questo punto indispensabile. Nello scorso Meeting di Rimini si sono incontrate due donne, Layla al-Sheik, madre musulmana di Betlemme che ha perso un figlio piccolo, Qusay, nella seconda Intifada ed Elana Kaminka, israeliana, madre di Yannai, soldato ucciso il 7 ottobre 2023. Incontri come questi se ne sono visti tanti in questi anni e donne come queste hanno dato vita all’associazione “Parents Circle – Families Forum” che invita al dialogo quelle famiglie palestinesi e israeliane che hanno perso familiari a causa del conflitto.

Cosa ci dicono questi incontri? Queste due donne ci dicono di aver perso, entrambe, un bene insostituibile. Un bene che agli occhi di altri sembrava l’obiettivo legittimo di un nemico da eliminare. Ma che agli occhi di queste due donne era un bene; era quel bene assoluto che è un figlio, per ogni madre, per ogni padre.

La vera giustizia è «ama il prossimo tuo», ci ricorda Cristo con il suo lancinante realismo. Amare la persona, chiunque essa sia; anche “il tuo nemico”, anche chi fa il male, perfino chi vuole il tuo stesso male. La vera giustizia è la riconciliazione. Perché anche chi fa il male è un bene; agli occhi di Dio, è sempre un bene. Com’è diverso dal nostro, lo sguardo di Dio! Che pure è veramente umano, che è umanissimo nel suo sguardo; come umano è il pianto delle madri e dei padri che piangono la perdita di un figlio.

È dunque questo che dobbiamo cercare. In Terra Santa e nel resto del mondo, cioè a partire da ognuno di noi, come ci ricorda il cardinale Pizzaballa. È questa la strada, l’unica strada praticabile per il superamento dell’odio, per la vera pace. Il cardinale lo ha ribadito anche recentemente, il 12 novembre scorso, intervenendo all’Accademia bulgara, in occasione dei cento anni dall’arrivo a Sofia di Monsignor Angelo Roncalli, futuro Giovanni XXIII, il papa della “Pacem in terris”.

Nel corso della cerimonia, Pizzaballa ha voluto affermare con forza che perdono, verità e giustizia sono i tre pilastri necessari alla pace. Nonostante la diversità di opinioni e prospettive, ha concluso, israeliani e palestinesi oggi condividono un profondo desiderio di ritorno alla vita, non come prima ma in un modo nuovo libero dalla logica della violenza.

“Beit Iba Checkpoint; Palestine” di Kashklick
L’immagine è distribuita con licenza CC BY-NC 2.0

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Paolo Tritto

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