
Ad aprire la serata è stato il parroco, don Marco di Lucca, che accogliendo il Vescovo per la sua prima visita alla parrocchia, ha spiegato che celebrare la santa Messa proprio sul terreno di gioco è un modo per santificarlo, per farne terreno di evangelizzazione secondo l’intuizione di Gennaro Maccarrone che 40 anni fa, insieme a don Franco Taccardi, ne promosse la realizzazione.
Mons. Ambarus: “Questo campo è un invito alla vigilanza, all’incontro e alla cura degli ultimi”
Nella sua omelia, mons. Benoni si è chiesto: che cosa accomuna un pallone e un campo di calcio con una comunità cristiana?
Ha iniziato evocando l’immagine del pallone al centro di un campo: tutti lo guardano, tutti lo inseguono, perfino gli spettatori seguono con gli occhi il suo movimento. È l’oggetto che attira e raduna, il fulcro attorno al quale ci si muove. Così, ha detto il vescovo, dovrebbe essere la vita della Chiesa: una comunità convocata perché tutti cercano il Signore. Non c’è altro motivo per cui si è Chiesa: Lui è il centro da cui tutto nasce. Come una squadra che gioca guardando al pallone, la comunità si raduna perché attirata da Cristo.
Da qui la scelta di inaugurare il campo celebrando l’Eucaristia perché questo spazio, donato ai giovani, vuole essere molto più che un luogo di gioco. «Ci interessa e ci importa della loro esistenza», ha affermato il vescovo, ricordando che i ragazzi sono tra i prediletti del Signore, insieme ai poveri.
“Così come loro seguono il pallone, ci piacerebbe che sentissero anche il desiderio di seguire il Signore stesso, perché il Signore li ha profondamente nel Suo cuore.”
Un altro aspetto importante è rappresentato dalla presenza degli adulti (allenatori, educatori e adulti della comunità) chiamati a tenere d’occhio i ragazzi, non per controllarli, ma per accompagnarli senza lasciare indietro nessuno, mettendo al centro chi è ai margini, invitando a giocare chi è isolato.
Il campetto sarà così un luogo dove imparare a vincere ma anche a perdere, senza barare, aperto non solo ai migliori e ai più capaci perché la logica di una comunità cristiana non è quella del mondo, che premia chi è più forte o più capace, ma quella in cui tutti sono coinvolti e accompagnati.
Non è indifferente, allora, se un ragazzo gioca qui o altrove: in questo campo, ha spiegato mons. Benoni, potrà sentire che il Signore gli è vicino, che lo attende, che è attento alla sua vita. È questo che dà valore allo spazio: non la struttura in sé, ma la comunità che lo abita e lo custodisce.




Alla fine dell’omelia il vescovo ha chiesto che il nome di Gennaro Maccarrone diventi per l’intera comunità di San Giacomo un richiamo permanente a questa consegna educativa: «questo campo deve essere custodito perché è un luogo dove si cresce nella vita e nella fede».
Al termine della messa c’è stata la festosa esibizione del piccolo coro della parrocchia di san Giacomo sotto la guida di Enza Fumi e con l’accompagnamento musicale di Gennaro Scandiffio e di Enzo Labarbuta.
Il presidente del CSI: “Celebriamo un sogno lungo quarant’anni”
Nel suo saluto, il presidente provinciale del CSI ha ricordato la lunga storia di questo spazio, nato grazie alla visione di chi, già quarant’anni fa, aveva immaginato un luogo capace di attrarre ragazzi e ragazze attraverso lo sport. Fu allora che la parrocchia decise di collaborare con il Centro Sportivo Italiano, dando vita alla Polisportiva San Giacomo Sport, da cui sono passate generazioni di giovani diventati oggi adulti e genitori.
Il presidente ha sottolineato che il campo non è mai stato solo un’area di gioco, ma «il frutto di una comunità che sa ricordare e dire grazie» in particolare a don Franco Taccardi, parroco fondatore, e a Gennaro Maccarrone, che con la sua professionalità, il suo tempo e la sua passione rese possibile l’ampliamento del 1992 trasformando il vecchio campetto in un impianto multifunzionale.
«Ogni rimbalzo di pallone su questo campo – ha detto il presidente – sarà come un pezzo di Gennaro che continua a vivere e a sorridere con noi».
La figlia di Gennaro: “Mio padre ha educato attraverso l’amore”
Molto toccante l’intervento della figlia di Gennaro Maccarrone, che ha tracciato un ritratto affettuoso e profondo del padre, soffermandosi su ciò che più ha contraddistinto la sua vita: l’amore.
Amore per la famiglia, vissuto senza riserve; amore per “i suoi ragazzi”, che cercava di avvicinare alla parrocchia tramite lo sport; amore per Dio, che lo ha sostenuto nei momenti difficili della sua vita.
Ha raccontato un episodio familiare che ha commosso i presenti: quando Gennaro, la domenica mattina, chiamava i figli sul lettone per leggere insieme il Vangelo, indicando loro la strada da seguire.
Un piccolo gesto domestico che rivela l’anima autentica di un uomo che ha educato più con l’esempio che con le parole.
«L’onore più grande – ha aggiunto – non è il nome sulla targa, ma vedere qui i ragazzi che lui ha amato, cresciuto e accompagnato, ragazzi diventati oggi uomini che continuano a trasmettere quei valori ai loro figli».
Un’eredità che continua
Fra ricordi, emozioni e gratitudine, la riapertura del campetto di San Giacomo non è stata soltanto la restituzione di uno spazio sportivo, ma la celebrazione di una storia: quella di una comunità che cresce, che custodisce i suoi figli, che si riconosce nei suoi padri e che continua a credere nella forza educativa dello sport.
Dalla prossima settimana, bambini, ragazzi e giovani di Matera potranno tornare a giocare su questo campo “tirato a nuovo”, uno spazio che continuerà – come quarant’anni fa – ad aggregare per portare a Cristo.




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