Ambarus: «La Dilexi te è un segno d’amore per i poveri»

L’arcivescovo di Matera-Irsina: «L'esortazione apostolica è davvero il testamento di Francesco ed è significativo che Leone XIV abbia scelto proprio questo tema».

L’arcivescovo di Matera-Irsina, Benoni Ambarus / SICILIANI

Per i romani e per chi lo conosce, è il vescovo dei poveri. E con “don Ben” non è un modo di dire. Benoni Ambarus, vescovo ausiliare di Roma fino a giugno scorso, quando papa Leone XIV lo ha inviato a servire le Chiese diocesane di Matera-Irsina e di Tricarico, per molti anni si è preso cura, anche da direttore della Caritas diocesana, di senzatetto, detenuti e migranti. «Mi sembra che Dilexi te sia davvero il testamento di Francesco – ha detto Ambarus, nato in Romania, ma da sempre nella diocesi di Roma, – una bella cerniera tra i due pontificati, ed è significativo che il primo documento magisteriale di Leone sia sul ruolo dei poveri nella Chiesa». Lui era accanto a papa Francesco, che lo ha ordinato vescovo nel 2021, quando Bergoglio ha aperto la storica Porta Santa nel carcere di Rebibbia a dicembre scorso, per l’inizio del Giubileo.

Con questa esortazione apostolica il Papa ha ribadito che l’amore per i poveri è al cuore del Vangelo, e non si tratta di «beneficenza» ma di cristianesimo. Che intende?

Sulla scia di papa Francesco, papa Prevost ha voluto ricordare che «la garanzia evangelica di una Chiesa fedele è l’amore a coloro che sono poveri». Prendersi cura degli ultimi, scrive, fa parte pienamente della «Rivelazione», della missione stessa della Chiesa. Mi sembra che il Pontefice ci chieda di non “giocare” su questo tema, perché i poveri per noi sono una dimensione ontologica, costitutiva, identitaria.

Nel testo si legge che «la carità non è un percorso opzionale, ma il criterio del vero culto». È una risposta a chi crede di poter separare vita spirituale e cura di chi soffre?

Questo passaggio è molto bello: il culto autentico è l’amore per i poveri. Ma la tentazione di una fede intimistica e disincarnata c’è sempre stata nella storia, e oggi forse è molto forte anche tra i giovani. È un modo di cullarti in una sorta di “eterno abbraccio di dolcezza”, che però, se resta l’unico modo di vivere la fede, ne diventa la negazione, perché la nostra è una fede incarnata, in quanto Cristo è diventato uomo e nelle pieghe dell’umanità ci ha salvato. Poi ci sono sicuramente diverse sensibilità, ma senza questa attenzione alle ferite degli uomini non possiamo dirci nemmeno cristiani.

Leone XIV chiede anche di scardinare i «pregiudizi ideologici» sulla povertà, tranelli in cui cadono i potenti della terra, ma spesso anche i cristiani…

Penso a una certa lettura biblica che parla di un Dio che ricompensa i migliori e maledice la vita di coloro che hanno peccato. Ecco, questo lasciamolo ai “piccoli di cuore”. A volte, in realtà, rifiutare i poveri in modo “ideologico” è solo un modo per fuggire da sé stessi, per non essere in contatto con la propria povertà. Perché l’essere umano è “strutturalmente” povero, cioè non autosufficiente e fragile.

Quali sono le «nuove povertà più sottili e pericolose» di cui parla?

In Occidente oggi la forma più pervasiva di povertà è la solitudine, con la sensazione, che provano giovani, adulti e anziani, di essere sradicati e di non appartenere a nessuno. Nella nostra Chiesa di Matera questa estate ci sono stati diversi suicidi tra i giovani e credo che la solitudine sia il veleno che corrode l’animo occidentale. Nei Paesi più poveri, invece, l’indigenza materiale continua a mordere il corpo e le viscere, perché si muore di fame, perché non si ha un tetto, perché non si ha un lavoro.

Prevost parla anche di migranti, tema su cui si sta esponendo con franchezza dall’inizio del Pontificato…

Quando conosci le storie di dolore di chi emigra, chiudendo la propria vita in uno zaino, assistere a qualsiasi discussione superficiale sul tema fa perdere la pazienza. E Leone le conosce. Solo chi non ha avuto a che fare con i migranti può ridurre il tema a una discussione ideologica, e il fatto che il Papa sia piuttosto radicale mi trova molto d’accordo. In diocesi una delle urgenze è la questione abitativa per gli stranieri: per questo stiamo cercando di potenziare un progetto di housing, già attivo, con il quale prendiamo in affitto appartamenti per accogliere persone che non hanno casa e le aiutiamo con la residenza, i documenti, il lavoro. Noi non siamo chiamati a risolvere, ma a porre segni.

Molti cattolici si aspettano ora che Leone XIV lasci da parte le questioni sociali per soffermarsi su temi dottrinali. Che momento viviamo?

Ci sono stati periodi storici in cui la Chiesa ha dovuto rivestire ruoli particolari davanti agli uomini. C’è stata l’epoca in cui ha salvato la cultura, con il monachesimo, l’epoca dei grandi santi mistici. Mi pare che la Chiesa di oggi, e quella di domani, debba essere necessariamente la Chiesa dei poveri e con i poveri. In questa fase storica in cui sono presenti grandi masse di persone fragili, di “scarti”, come diceva Francesco, c’è l’urgenza, da parte nostra, di un’azione ancora più carismatica verso di loro. E mi pare che Leone XIV stia dando segnali importanti verso questo orizzonte, per la Chiesa di oggi e del futuro.

Di Agnese Palmucci dal sito di Avvenire del 10 ottobre 2025

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

For security, use of Google's reCAPTCHA service is required which is subject to the Google Privacy Policy and Terms of Use.

Redazione

Latest videos