“Chi è Dio?” Il caso di un vecchio cortometraggio per bambini

Girato negli anni del secondo dopoguerra, per la regia di Mario Soldati, impegnò alcuni bravi attori, oltre a Cesare Zavattini e Diego Fabbri per la sceneggiatura. Un libro di Marco Vanelli.

Merita di essere visto un breve film per ragazzi intitolato “Chi è Dio?”, un film girato nel 1945 per la regia di Mario Soldati. Il cortometraggio, come si comprende dal titolo, vuole porre il grande interrogativo dell’esistenza di Dio, della natura di quel Mistero e del destino umano.

Mario Soldati, importante scrittore del dopoguerra, oltre a curare la regia, per questo film ha scritto la sceneggiatura insieme a Cesare Zavattini e a Diego Fabbri, due intellettuali molto autorevoli all’epoca. La pellicola, che si credeva perduta, è stata ritrovata nell’anno 2003; restaurata, ha avuto anche una buona accoglienza alla Mostra del Cinema di Venezia, nell’edizione del 2004.

Il film fu girato senza grandi pretese artistiche tanto che non compare nella filmografia di nessuno degli autori né in quella degli attori. Nonostante ciò, soprattutto col passare del tempo, ha acquisito un certo significato per la storia del cinema. Tra le altre cose, come ricorda il critico cinematografico Marco Vanelli, è probabilmente il primo dei film del genere neorealista, prima ancora di “Roma città aperta”.

Fu apprezzato dopo la sua uscita già al Festival del Cinema di Salerno, allora un importante festival cinematografico, secondo soltanto a quello di Venezia che, a sua volta, era ancora considerato il più importante al mondo.

Su questo caso cinematografico è stato pubblicato un libro omonimo, per i tipi dell’editore Le Mani-Microart che ha come autore quel Marco Vanelli che abbiamo appena citato, docente e titolare della cattedra di Cinema e Teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Pisa.

Nella pellicola di Mario Soldati vediamo che il protagonista è chiamato a rispondere alla questione di Dio posta da una ghenga di ragazzini sorpresi nel tentativo di mettere a segno un piccolo furto.

L’attore protagonista è Lauro Gazzolo, padre di quel Nando Gazzolo che poi sarà tra quegli attori che faranno grande il teatro italiano del dopoguerra. Nel cast figura anche Laura Gore, una grande attrice morta in giovane età. Come si vede, nella lavorazione di questo piccolo film destinato ai ragazzini era impegnato il meglio del cinema del dopoguerra, segno della grande considerazione che si aveva verso il piccolo spettatore.

La cosa bella di questo film è la sua grande modernità, nonostante appaia inevitabilmente allo spettatore di oggi in tutta la rudimentalità della sua realizzazione, per non parlare della resa del colore, ovviamente in bianco e nero, e della pessima qualità dell’audio; una pellicola sulla quale sono evidentissimi i segni dell’ingiuria del tempo.

Nonostante ciò, qualcuno lo ha ritenuto degno di essere restaurato e di essere riproposto. E, pur non volendo addentrarsi nel campo della critica cinematografica, si può dire che dal punto di vista del suo valore prettamente storico, valeva certamente la pena recuperare questo reperto cinematografico.

Per tornare alla domanda posta dal film, riguardo al riconoscimento della presenza divina, sorprende l’approccio al problema, segno, come si diceva, di modernità. Il film di Soldati non si attarda su questa domanda “chi è Dio?”, per focalizzare l’immagine sulla scena iniziale, sul “fattaccio” che stava coinvolgendo i ragazzini: il furto di un piccolo oggetto, un vascello di cristallo in una bottiglia di vetro.

Com’è vicino Dio al desiderio di questi bambini! Un desiderio che vediamo già come sia fragile e incline alla corruzione. Un desiderio che porta a “rubare” quello che si desidera. Ma è un desiderio che è espressione comunque della misteriosa attrattiva del bello. Dio non lo vediamo, certo; “non lo vediamo con gli occhi e nemmeno con gli occhiali” dice nel film il signor Pietro. Quello che invece possiamo capire è come sia simile a Dio il desiderio – anche questo invisibile – del cuore umano.

Questo cortometraggio senza pretese non vuole portare prove dell’esistenza di Dio, ma vuole educare alla comprensione della realtà. Anche di quella realtà invisibile che chiamiamo Mistero. Magari tra questa realtà misteriosa riusciremo a scorgere la presenza invisibile di quelle persone care che non ci sono più. E non è poco.

È bello guardare questo film, nonostante l’audio sia ormai in gran parte rovinato. È bello anche per una questione di metodo. Non c’è nessuna forzatura nella pretesa di dimostrare l’esistenza di Dio. Si lascia questo riconoscimento alla libertà della persona, libera appunto di riconoscere o meno la presenza di Dio.

C’è piuttosto la volontà di insegnare a leggere la realtà e a cogliere la corrispondenza tra la realtà e il desiderio umano. Per concludere magari, come fa il regista Mario Soldati, che ciò cui il cuore umano tende non può essere semplicemente il possesso di una bottiglia di vetro.

Negli anni dell’ultimo dopoguerra la Chiesa ha investito molto su questo “metodo”. In quasi tutte le parrocchie c’era una saletta con un proiettore a passo ridotto dove si proiettavano film. E dove poi ci si aiutava “a leggere” il film appena visto. Erano i cineforum parrocchiali.

Non erano eventi lasciati all’improvvisazione. Erano vere scuole. Con una metodologia, per esempio, messa a punto magistralmente da un grande gesuita, padre Nazareno Taddei. A questo sacerdote, che è stato uno dei più importanti critici cinematografici, presso la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia è dedicato un premio, il Premio Taddei.

Erano tempi in cui si attribuiva al cinema un alto valore educativo e in cui evidentemente si attribuiva un alto valore all’educazione stessa; che, in altre parole, è la possibilità di acquisire quella capacità di giudizio che può far cogliere il senso della realtà. Di tutta la realtà. Delle cose visibili, come delle cose invisibili. Del grande mistero che domina la vita e che chiamiamo Dio.

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Paolo Tritto

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