
per il Regina Caeli (11/05/2025; foto: Corriere della Sera)
Nove volte in sette minuti nel discorso di presentazione giovedì 8 maggio, Leone nominava la parola “pace”, accompagnata da una serie di aggettivi: “disarmata e disarmante, umile e perseverante”.
E oggi, nel Regina Caeli, Leone ha ricordato che quell’otto maggio della sua elezione segnava anche l’80° anniversario dalla conclusione della seconda guerra mondiale e ha indirizzato il suo accorato appello ai grandi del mondo:
Mai più la guerra! Porto nel cuore le sofferenze dell’amato popolo ucraino: si faccia il possibile per giungere al più presto a una pace autentica e duratura! Che siano liberati i prigionieri e i bambini possano tornare alle proprie famiglie.
E poi: “Mi addolora profondamente quanto accade nella Striscia di Gaza: cessi immediatamente il fuoco!”. Parrebbe questa la prima linea di azione di Leone nella guida della Chiesa su un “pianeta lacerato dai conflitti”.
La prima benedizione “Urbi et Orbi” di Leone
Se Bergoglio colpì tanti per il suo colloquiale “buonasera!”, nel tempo certamente ricordaremo diversi elementi del primo incontro con Prevost.
Sicuramente la grande commozione di quei primi attimi in cui Leone dalla Loggia delle Benedizioni non riusciva a proferire parola, momenti colmi di sguardi intensi, di occhi lucidi di riconoscenza, accompagnati da quelle braccia affettuosamente agitate sui 100mila fedeli convenuti in Piazza San Pietro e sull’umanità tutta che seguiva l’evento in mondovisione. Sarà forse sempre la prima immagine che assoceremo a Leone. Conforta pensare di avere un pastore dal cuore che sa commuoversi e sa connettersi con tutto il popolo di Dio.
Toccanti le parole di Agostino, di cui Prevost si definisce “figlio”: “Con voi sono cristiano e per voi vescovo”, con cui ha completato quella connessione con il mondo intero che senza parole aveva già creato. E poi l’avverbio “insieme” e, non di meno, la citazione della “sinodalità”, cifra distintiva del pontificato di Francesco che due volte Leone ha nominato in questo primo discorso.
E due volte, Leone parla anche di missione nei pochi minuti del primo saluto: un altro tema caro al suo predecessore. Stupisce pensare che un papa che tanto aveva sottolineato la comune chiamata missionaria di tutti i battezzati lascia l’eredità a un pontefice che è stato missionario per 20 anni tra le tribù Incas del Perù e che forse meglio di ogni altro cardinale presente in conclave potrebbe incarnare questo aspetto; come un disegno che la Chiesa non ha ancora completato e in un perfetto passaggio di testimone passa ora a Leone.

“La pace sia con voi”, le prime parole di Prevost: “Il primo saluto del Cristo Risorto, il Buon Pastore, che ha dato la vita per il gregge di Dio”. Ha colpito più di qualcuno il riferimento al Cristo Buon Pastore che, poi, proprio oggi ricordiamo nella liturgia e il saluto liturgico episcopale netto: senza varianti né personalizzazioni.
Pur nel rispetto della forma – già questo parrebbe indicare un maggior conservatorismo rispetto a Francesco – Leone non lesina la commozione: ecco, anche, la concessione dell’indulgenza plenaria a coloro che da tutto il mondo hanno assistito alla prima benedizione.
Un particolare, infine: il taccuino. Diversamente da tutti i suoi predecessori, Leone non ha parlato a braccio. Temendo magari di essere sopraffatto dall’emozione, ha segnato su un foglio che occhieggiava dalla cartellina che aveva in mano quanto avrebbe detto. Poi qualcosa l’ha aggiunta al momento, come il saluto alla Diocesi di Chiclayo.
Un altro particolare, che hanno sottolineato in tanti: da buon agostiniano, Prevost ha mostrato l’umiltà di chi non parla di sé.
Quali attese e quali sorprese
Tre-quattro lunghissimi secondi gravidi di attesa. Sono le 19:13 di giovedì 8 maggio e il cardinale protodiacono Dominique Mamberti scandisce attentamente: “Habemus Papam: Dominus… Dominus Robertum Franciscum… Prevost! Qui sibi nomen imposuit Leonem decimum quartum”.
Sguardi interrogativi che si incrociano tra i fedeli presenti in Piazza San Pietro, ma anche dietro gli schermi delle nostre case e del mondo intero: qualcuno capisce ‘Parolin’, ma non è stato nominato né lui, né Zuppi, né Pizzaballa… e nemmeno Tagle o Erdo. Totopapa fallito per tutti! E sorprende il nome di Leone!
Uno dei conclavi più brevi della storia, 5 scrutini. D’altra parte, simili a quelli che hanno già portato sul soglio petrino Benedetto XVI (4 scrutini) e Francesco (5 scrutini): una caratteristica, comunque, degli ultimi anni e di tanti avvicendamenti papali già del XVI e XVII secolo.
Molti si aspettavano un papa italiano, dopo 3 pontefici e 47 anni di governo “estero”. Oppure “nero”.
Ma lo Spirito Santo ha disposto diversamente. Eppure, per quasi il 30%, Leone italiano lo è: il nonno paterno veniva da quell’area del Piemonte chiamata Canavese, mentre il bisnonno materno da Sanremo. La stessa origine, potremmo dire, di Bergoglio! E poi da lì il bisnonno emigrò a New Orleans per sposare una donna creola, da cui nacque un bimbo nero, il nonno materno del papa! Una famiglia che riflette i numerosi fili che compongono il complesso e ricco tessuto della storia americana e la multiculturalità della Chiesa.
Il nome
Leone: come il grande papa (441-462) che arrestò l’entrata a Roma degli Unni, guidati da Attila, lo strenuo difensore dell’ortodossia cattolica conosciuto per le sue omelie, a ragione detto “Magno”. Ma anche come Leone XIII (1810-1903) che, con l’obiettivo di cercare un punto di incontro tra la Chiesa e il mondo civile fagocitato dalla seconda rivoluzione industriale rischiava, per sempre, di dimenticare la dimensione trascendente dell’uomo. Prima che fosse troppo tardi e l’uomo fosse irreversibilmente ridotto anch’esso a macchina, nel 1891, Leone XIII scriveva la “Rerum Novarum” (“Delle cose nuove”, alla lettera), una delle sue 86 encicliche che rappresenta ancora oggi la base della dottrina sociale della Chiesa. “E oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”: così Leone ai cardinali nell’incontro di ieri 10 maggio.

Il discorso programmatico ai cardinali
Dopo aver parlato di sinodalità che, dicevamo, è la cifra distintiva del pontificato di Bergoglio, Prevost sente concretamente l’esigenza di convocare i cardinali – “Voi, cari cardinali, siete i più stretti collaboratori del Papa”, le sue parole – prima che ripartano per le proprie sedi per chiedere la “vicinanza vostra e di tanti fratelli e sorelle che in tutto il mondo credono in Dio, amano la Chiesa e sostengono con la preghiera e con le buone opere il vicario di Cristo”.
E assieme ai cardinali parla dei capisaldi del suo “governo”, che trae per la stragrande maggioranza dal documento programmatico di Francesco, l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG):
- il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio (cfr EG, n. 11);
- la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana (cfr EG, n. 9);
- la crescita nella collegialità e nella sinodalità (cfr EG, n. 33), di cui dicevamo nel capoverso precedente;
- l’attenzione al sensus fidei (cfr EG, nn. 119-120), specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare (cfr EG, n. 123);
- la cura amorevole degli ultimi, e degli scartati (cfr EG, n. 53);
- il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà, in particolare in riferimento agli aspetti che rivoluzionano il mondo d’oggi, dal lavoro all’intelligenza artificiale.
E se l’”elettorato” è stato quasi unanime in favore di Prevost, come qualche cardinale ha fatto sapere, con oltre 100 voti su 133, auspichiamo che sia tanta anche l’unità nel governo della Chiesa: “Perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).
Non solo Francesco
Come già aveva detto Benedetto, e con alcune scelte eloquenti Francesco aveva cercato di comunicare, Leone, nello stesso incontro con i cardinali, da buon agostiniano richiama il senso del servizio umile del Pontefice: “Il Papa, a cominciare da San Pietro e fino a me, suo indegno successore, è un umile servitore di Dio e dei fratelli”.
E inoltre, ancora nel discorso ai cardinali, Leone cita San Paolo VI e, in particolare, l’auspicio che pose all’inizio del suo Ministero petrino: “Passi su tutto il mondo come una grande fiamma di fede e di amore che accenda tutti gli uomini di buona volontà, ne rischiari le vie della collaborazione reciproca, e attiri sull’umanità, ancora e sempre, la forza di Dio, senza l’aiuto del Quale, nulla è valido, nulla è santo”.
Auguri papa Leone! E accompagniamolo con la nostra preghiera!
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