E’ ancora viva la Speranza?

La situazione di Gaza ci permette di sperare ancora? “Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della Speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante.(Papa Francesco)

La parola “Speranza” oggi sembra in grande difficoltà, seppellita sotto le macerie. Nel rumore delle guerre, nell’ingiustizia che si ripete, nelle macerie fisiche e morali che ci circondano, è facile considerarla qualcosa di inarrivabile, una parola ingenua e forse inutile. Eppure, proprio quando sembra scomparsa, ritorna come esigenza irrinunciabile e vitale, una domanda che non possiamo soffocare, che esige con forza una risposta.

Lo dobbiamo a tutti coloro che hanno perduto la vita, che rischiano di perderla, che se sopravviveranno dovranno fuggire ed essere cacciati e vagare in cerca di una terra che li accolga. Come gli immigrati di oggi che nessuno vuole, come quelli di ieri che bussavano invano alle nostre porte. È per mantenere vivo il dialogo con loro, con i morti e con i vivi che soffrono. Perché chi ha visto, chi ha sentito, chi disapprova, non si arrenda all’inerzia, non perda la forza, non si lasci vincere dall’oscurità. Tutti coloro che imbracciano le armi, che pronunciano frasi irripetibili perché si sentono vittoriosi, hanno vinto, sì. Ma la loro vittoria è fatta di macerie e di morte. Noi cerchiamo un’altra vittoria: quella minima e immensa della Speranza che diventa azione, resistenza, lotta.

Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz, racconta come nei campi di concentramento si cercasse la speranza nei gesti più semplici: una parola sussurrata nella notte, il ricordo di una poesia recitata a memoria, un pezzo di pane condiviso quando si aveva fame. “Anche nel luogo più disumano, scrive Levi, qualcosa resiste. È questo qualcosa che ci rende ancora umani”. La Speranza nei campi di sterminio non era ottimismo, era il rifiuto di consegnare completamente la propria umanità ai carnefici. Ogni atto di solidarietà, ogni gesto di cura verso l’altro diventava una forma di resistenza, un atto politico contro la macchina dello sterminio.

José Saramago, nel suo originale romanzo noto in Italia come Cecità, ci ha mostrato un mondo precipitato nella cecità collettiva, dove gli uomini hanno perso non solo la vista ma il valore dell’umanità. La Speranza, per Saramago, non è vedere il futuro, ma riuscire a vedere l’altro, anche quando tutto sembra perduto. La Speranza è immaginare un mondo diverso, è il primo atto di ribellione contro l’ingiustizia, una rivoluzione del mondo presente. La Speranza nasce da un atto di fedeltà: fedeltà ai morti, fedeltà ai valori traditi, fedeltà al sogno di giustizia che non si è ancora realizzato.

David Grossman, voce israeliana che ha conosciuto il lutto e la guerra, ci consegna la Speranza attraverso la parola. In tutti i suoi libri, scritti spesso dopo perdite terribili, insiste che il racconto è ciò che ci resta quando abbiamo perso quasi tutto. Scrivere, raccontare, testimoniare, in cui ogni parola pronunciata o scritta è necessaria per trasformare la ferita in forza e azione.  La parola è l’ultima trincea dell’umano, il luogo dove la Speranza si fa resistenza concreta. Davanti alle macerie del nostro tempo, davanti ai popoli interi in balia di carnefici che forse hanno nonni sopravvissuti ad Auschwitz (paradosso atroce e inimmaginabile) la Speranza non può essere solo consolazione privata ma collettiva. Deve diventare un atto politico, una scelta di campo, il rifiuto della rassegnazione. Sperare oggi significa: “Ricordare” per impedire che l’oblio renda possibili nuovi orrori e crimini, “Agire” perché la verità non muoia sotto le macerie della propaganda, dell’arroganza e delle falsità, “Accogliere” chi fugge, perché nessuno resti solo davanti alla violenza, “Resistere” all’indifferenza, all’abitudine al male, alla normalizzazione dell’orrore; “Costruire” solidi legami di solidarietà, dove prevalga il Noi e non l’io, che attraversino e uniscano confini e differenze. Non speriamo perché il mondo sia meno duro, ma senza Speranza non c’è futuro, non c’è memoria, non c’è parola che resista. La Speranza è la forma radicale della nostra umanità. È per chi verrà dopo di noi che non ci dobbiamo arrendere. Hanno vinto una battaglia, ma la guerra per l’umanità continua. E in questa guerra, ogni atto di Speranza, per quanto piccolo sia, è un atto di resistenza, un rifiuto di consegnare il mondo alla barbarie. La Speranza è ciò che rimane quando tutto sembra perduto. È ciò che dobbiamo custodire, alimentare, trasmettere. Per loro. Per noi. Per continuare a essere umani.

E per essere umani e avere una “Speranza”, vanno denunciate, perché devastanti, le cifre diffuse dall’esercito israeliano: oltre 500mila palestinesi sono in fuga, senza più luoghi sicuri nella Striscia. Per non parlare dei 19mila bambini uccisi e 33mila feriti.

Israele a Gaza sta commettendo un genocidio che va fermato. Lo scrive la Commissione indipendente sui Territori palestinesi occupati – inclusa Gerusalemme est e Israele – istituita dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite nel 2021, che, il 16 settembre, ha pubblicato il rapporto conclusivo in cui denuncia le condotte di genocidio messe in atto da Israele.

Il prof. Cacciari ha osservato: “Qui assistiamo alla catastrofe e alla cancellazione di ogni elementare principio di diritto. Ci siamo riempiti la bocca di diritti umani per generazioni, noi con i nostri valori occidentali, e qui per la prima volta forse nella storia assistiamo a un esercito che combatte direttamente i civili… dei civili in fuga che vengono massacrati. Non si tratta soltanto di un dramma umanitario, ma di un vero e proprio collasso del sistema di regole internazionali: è il crollo di ogni principio minimo di diritto, neanche di diritti umani, ma di diritto internazionale”.

“Chiediamo la pace”, aggiunge Papa Francesco nell’udienza generale dell’8 gennaio 2025. Una richiesta insistente perché non si allentino la tensione e la preoccupazione che animano il lavoro di ricerca di questa pace. Il rischio, ha detto il Papa, è che cali l’oblio sui drammi che si consumano in Est Europa, in Medio Oriente, in Africa, nel Sud-Est asiatico. O peggio, che le notizie su morti e distruzioni diventino abitudine, quotidianità, e spingano quindi alla indifferenza.

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Marino Trizio

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