«E per la difesa cosa si farà?» L’Europa nella visione di Emilio Colombo

Il discorso sullo stato dell’Unione pronunciato dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e l’ideale europeista dello statista lucano.

Ursula von der Leyen ha aperto il discorso sullo stato dell’Unione, tenuto il 10 settembre davanti al Parlamento Europeo riunito a Strasburgo, dichiarando che «l’Europa è impegnata in una lotta».

Sono parole molto pesanti, sono un segnale molto forte e sono espressione di un nuova consapevolezza nella vita dell’Europa e per il ruolo che l’Europa deve avere. Lo ha ammesso la stessa von der Leyen: «Ho pensato a lungo se iniziare questo discorso sullo stato dell’Unione con parole così gravi. Dopotutto noi europei non siamo abituati a esprimerci in questi termini, e la cosa non ci risulta facile».

È vero. Fino a oggi, l’Europa ha concepito se stessa più che altro come un’area di libero scambio nella quale la prevalente preoccupazione era quella di regolamentare il mercato. L’Europa, nella visione dei padri fondatori, non doveva essere soltanto questa. Ma questo è stata nei fatti.

I ricordi di Emilio Colombo a questo proposito fanno capire tante cose. Nella sua lunga intervista concessa ad Arrigo Levi e pubblicata dal Mulino nel 2013 col titolo “Per l’Italia, per l’Europa”, Colombo ricorda per esempio il tentativo inglese di fare dell’Unione Europea una semplice area di libera circolazione delle merci, non limitata tra l’altro agli Stati membri, rimettendo in discussione di fatto il contenuto dei Trattati comunitari che facevano dell’Europa un compiuto soggetto politico. Sebbene formalmente si riuscì a bloccare il tentativo inglese, questo è quello che si venne a determinare concretamente nell’Unione Europea.

Paradossalmente, fu poi proprio un Primo ministro inglese a farlo notare. Ricorda Emilio Colombo, nella citata intervista, che nei primi anni Settanta era a colloquio con il Primo Ministro inglese: «A Downing Street 10, una sera, dopo una faticosa giornata di colloqui, prendendo un tè con Heart davanti a un camino, mi sentii porre dal collega britannico la seguente domanda: “E per la difesa cosa si farà?”, mentre durante l’intera giornata avevamo discusso solo di carne bovina e cereali!»

Non bisogna trascurare che il più grande ostacolo che si ebbe al tempo della ratifica dei Trattati di Roma era stata la cosiddetta “lista G”. «La lista G» è sempre Emilio Colombo che ricorda, «era un elenco di tutti i prodotti sui quali i paesi europei non erano riusciti a trovare un’intesa per una tariffa doganale comune. Trovarla non fu facile, per la complessità dei grandi o piccoli interessi nazionali. Per esempio, scoprii allora che per la Germania era di vitale importanza il grasso per uso alimentare che si ricavava dai piedi di alcuni quadrupedi».

Oggi la von der Leyen ci ricorda che «l’Europa è impegnata in una lotta». E che si deve aprire un dibattito che vada ben oltre la tutela della carne bovina, dei cereali, del grasso per uso alimentare. Impegno non facile perché, si sa, gli europei non sono abituati a guardare oltre la lista della spesa.

Impegnarsi “in una lotta” non significa prepararsi a una guerra. Impegnarsi in una lotta, per Colombo, significava che bisogna incamminarsi verso una compiuta maturità politica che consista nella ricerca «di un influente governo multinazionale, di una comune politica della sicurezza, di una comune politica estera e di una comune politica di difesa». È una posizione che può essere condivisa o meno e che di fatto ha diviso gli europei. Era comunque questa l’idea di difesa comune europea che Alcide De Gasperi aveva maturato e che Emilio Colombo ha provato a realizzare.

L’esistenza di concezioni diverse, di percorsi diversi per la realizzazione di quella compiuta maturità politica ha un po’ frenato questo cammino verso una compiuta maturità politica.

«Questo nostro lavoro» spiegava Colombo ad Arrigo Levi, «incrociò il generoso impulso di Altiero Spinelli, allora membro del Parlamento europeo, e sostenitore, fin da quando era al confino fascista a Ventotene, di un progetto federalista europeo. Spinelli avrebbe voluto che il Parlamento europeo si trasformasse in un’Assemblea costituente di un’Europa politicamente unita. Questa strada apparve però difficilmente praticabile, incontrando insuperabili difficoltà nei governi nazionali».

Emilio Colombo, insieme al vice cancelliere tedesco Hans-Dietrich Genscher, elaborò quindi nel 1981 un documento che rilanciava l’unità europea come un processo di integrazione e di cooperazione tra Stati che conservavano la loro diversità e che sacrificava un po’ l’idea di un’Europa politicamente unita immaginata da Spinelli. Era il Piano Colombo-Genscher che sarà poi alla base dell’Atto Unico europeo con il quale sarebbero stati aboliti i confini interni e si davano maggiori poteri alle istituzioni comunitarie.

Il Piano Colombo-Genscher effettivamente tagliava la strada alla possibilità di arrivare a una costituzione europea, come si vide successivamente, ma allora sembrò un ragionevole compromesso. Che non negava comunque la possibilità di rilanciare il modello federalista quando i tempi sarebbero stati maturi.

Perché la costruzione europea non è qualcosa di concluso. L’ideale europeo anima un processo dinamico che impegna l’Europa, come dice la von der Leyen “in una lotta”. Si tratta di un processo dinamico soprattutto interno all’Europa. Dove tanti sono gli orientamenti rispetto all’idea di Unione europea. Dove si insegue, dice Colombo «chi la visione federalista, chi la concezione degli Stati Uniti d’Europa, chi una visione pragmatica». Allora però, nonostante queste differenze, «prevaleva in tutti noi l’affascinante ideale europeo».

Questo affascinante ideale europeo è ancora vivo oggi? E può guidare l’Europa in questo difficile momento nel quale la minaccia della guerra sembra compromettere quella pace faticosamente conquistata e sempre difesa negli ultimi ottant’anni?

A pensarci bene, osserva Emilio Colombo, questa minaccia è sempre stata presente. Basti guardare agli anni della Guerra Fredda. L’Europa oggi non può essere un attore sulla scena internazionale senza una politica di difesa. Non si tratta dunque di essere guerrafondai ma di capire «per la difesa cosa si farà». Perché, come ricorda oggi von der Leyen: «Non basta aspettare che passi la tempesta».

È necessario superare resistenze storiche che vedono da un lato un modello europeo che tutela la sovranità degli Stati ma che appesantisce il cammino con la sua burocrazia, dall’altro un modello federale, che spinge all’integrazione ma genera timori di omologazione. L’Europa non può attardarsi ulteriormente dietro queste incertezze. Deve essere capace di operare una sintesi, di riaffermare le ragioni della propria unità.

«80 anni fa il nostro continente era un inferno in terra» ha detto von der Leyen concludendo il suo discorso sullo stato dell’Unione, «40 anni fa il nostro continente era diviso da un muro. Ma, ad ogni occasione, le cittadine e i cittadini europei hanno deciso di lottare per un futuro migliore, per un continente integro – per renderlo sempre più forte».

Strasburgo, 8 marzo 1977. Emilio Colombo eletto Presidente del Parlamento europeo

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Paolo Tritto

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