Festa della Bruna 2025. Continua la novena con don Antonio Savone tra un pò

È al parroco della cattedrale di Potenza, don Antonio Savone, che viene affidato il secondo tratto di pellegrinaggio verso la festa della Bruna 2025.

Sono due le serate della novena in onore della Madonna della Bruna che è toccato guidare a don Antonio Savone, che quest’anno ha già offerto le sue riflessioni al clero della nostra Diocesi nei suoi ritiri mensili. Sono il 28 e 29 giugno e in entrambe sono centrali nella liturgia le figure dei santi apostoli Pietro e Paolo, due colonne della Chiesa che – sono le parole di don Antonio – “solo la fantasia dello Spirito poteva mettere insieme, trattandosi di persone così distanti l’una dall’altra”. 

Presente al completo nella prima serata l’Associazione Disma – così chiamata come il “buon ladrone” – dei volontari che operano nella Casa Circondariale di Matera; e con loro ci sono due reclusi in permesso premio. Tutti insieme, costoro hanno festosamente animato la liturgia, sostenuti dal suono delle chitarre di fra Gianparide Nappi, cappellano del carcere e assistente spirituale dell’Associazione, e di Gabriele Ziino e dalle percussioni di Uccio Santochirico. Ma ci sono anche gli ospiti della “Casa dei Giovani” nonché gli ipovedenti e i sordomuti, così sulle scale del presbiterio c’è una traduttrice LIS per tutta la liturgia. Il rosso dei fiori che adornano il presbiterio fa pendant con le casule rosse come il sangue dei martiri che oggi si festeggiano.

La prima serata: attraverso la geografia dello Spirito, dal tempio alla via di Damasco, dal mare di Tiberiade a Nazareth

Ci porta nella “geografia dello spirito” la Parola di Dio di oggi, conducendoci – le parole di don Antonio Savone – “nel tempio, sulla strada di Damasco, sul mare di Tiberiade; tre luoghi diversi e distanti l’uno dall’altro, nei quali si compie l’opera di Dio e viene dischiusa una precisa immagine di Chiesa”. Ogni brandello della nostra vita può parlarci di Dio come in ogni luogo può profilarsi l’immagine della Chiesa. Al tempio di Gerusalemme, in particolare presso la porta “Bella”, attraverso Pietro e Paolo che dicono allo storpio che li incontra di non possedere né oro né argento ma lo rimettono in piedi, si rende visibile una Chiesa che dà l’essenziale: Gesù – alla lettera “Dio salva” – pertanto la salvezza; non la ricchezza, ma l’essere inseriti nella vita piena: infatti, poi, lo storpio entra nel tempio saltando, lodando e glorificando Dio. Invece, la via di Damasco, è immagine di una Chiesa che vede “il rapporto con Dio come qualcosa da meritare, da conquistare”. Lì ci si dischiude un nuovo modo, vero, di concepire la vita e la fede, che significa diventare “partecipi di ciò di cui Dio ci fa dono.” Il lago di Tiberiade infine è il luogo di una Chiesa chiamata all’umiltà: “Se è vero che mi vuoi bene, prenditi cura dei miei piccoli”, le parole di Gesù a Pietro.

Ma c’è un quarto luogo che ci suggerisce, più che la liturgia della Parola, la festa che stiamo per celebrare: Nazareth, la “porta di servizio” per cui Gesù passa per giungere in questo mondo, immagine “della forza e dell’eloquenza della debolezza”, dell’ordinarietà, dell’insignificanza. “Penso alla mia, alla nostra Nazareth. Lì Dio mi passa accanto in un giorno qualunque, in una esperienza che nulla sembra avere di idoneo alla rivelazione di Dio. Nessuno dei nostri luoghi e nessuna delle nostre esperienze sono inadeguate a che Dio si manifesti. Ma forse lo sta già facendo e io non me ne accorgo”.

La seconda serata: mettersi in cammino fuori significa farlo nel proprio mondo interiore

Non meno ricca di spunti la liturgia della Parola, né tanto meno la riflessione di don Antonio, nella seconda serata: domenica 29 giugno, con una Cattedrale gremita di fedeli.

Pietro e Paolo sono due figure tra loro così diverse, viene puntualizzato nell’omelia: “l’uno chiamato sulle rive del lago alle prese con il suo mestiere di pescatore, l’altro dalle derive del suo integralismo religioso. Così diversi da conoscere l’uno nei confronti dell’altro tanto lo scontro aperto quanto l’ammirazione più sincera: l’ha richiamato anche oggi papa Leone nell’omelia”.

Un cammino che per entrambi è liberazione. Ancor prima delle catene di cui ci parla la liturgia, Pietro e Paolo vengono liberati dalle paure e dalle precomprensioni da cui erano condizionati: un messia ‘contraddetto’ per Pietro, un annuncio – per Paolo che non è accettato in forza della sua ‘condotta di un tempo’ – i cui risultati sembrano smentire il senso della sua opera. “Un cammino che per entrambi è incontrare un Dio capovolto al quale acconsentire anche a costo di mettere in gioco il proprio sistema di pensiero, incomprensibile: ‘Si comprehendis non est Deus’”, continua don Antonio citando Sant’Agostino. “Il loro andare geografico per i territori allora conosciuti significa per Pietro e Paolo l’itineranza alla quale avevano acconsentito anzitutto nel loro mondo interiore”. Una fede che chiede anche a noi di metterci in discussione, come a Maria. Anche lei ha vissuto – don Antonio cita Paolo VI – “la peregrinazione della fede”: la fede capace di vedere l’invisibile. Maria si fida di una parola dell’angelo quando è solo una parola solo una promessa. Un ‘amen’ a tutto quello che sarebbe successo dopo: la notte di Betlemme senza levatrice e senza casa, la fuga in Egitto, l’ostilità dei nemici del Figlio, l’incomprensione di quelli che pure il Figlio si era scelti, il mistero della croce…

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Giuseppe Longo

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