«Il mio primo ricordo di Gigi Riva risale a quando io avevo sei anni e lui otto». Chi parla è mons. Massimo Camisasca, vescovo emerito della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla. Chi sia Gigi Riva, invece, non c’è bisogno di dirlo. Non ci sono stati molti calciatori famosi quanto lui, in Italia.
Massimo Camisasca nasce a Milano nel novembre del 1946 ma trascorre la sua infanzia a Leggiuno, sul Lago Maggiore, dove insegna la madre e dove vive la famiglia di Gigi Riva; nato due anni prima.
Ricorda Camisasca: «Frequentavamo la stessa scuola e ogni tanto io mi trovavo in cortile perché mia mamma, che era l’unica maestra di prima elementare, mi cacciava fuori; chi trovavo in cortile? Naturalmente Gigi, anche lui buttato fuori dalla classe. E vedevo che già prendeva a pallonate il muro del cortile».
Massimo e Gigi si persero di vista quasi subito, perché Gigi fu messo in collegio in un istituto religioso dopo la perdita del padre, morto in un incidente sul lavoro. Perderà anche una sorella morta in tenera età e poi perderà la madre, uccisa da un cancro, sopraffatta dal dolore e da una vita di sacrifici; la sua era, infatti, una famiglia molto povera.
Nella vita di quel grande campione che diventerà Riva, ci saranno tanti successi ma anche il peso di questo segreto e immenso dolore.
«Gigi Riva era un bambino serio, nel senso che portava su di sé il peso della povertà della sua famiglia. Voleva portare a casa qualcosa, come premio delle partite vinte. Sentiva la
responsabilità di aiutare i suoi». È sempre il vescovo Camisasca a srotolare il filo dei ricordi. Lo fa in una bella intervista andata in onda su Tv2000 nel gennaio scorso nel programma “L’ora solare” condotto da Paola Saluzzi.
Gli anni delle prime partite non erano ancora i tempi del calcio professionistico; non c’erano soldi per il giovane calciatore. «C’erano delle piccole imprese di produzione nei dintorni» dice Camisasca, «gli davano dei formaggi, dei salumi». Una volta, quando aveva meritato evidentemente un grosso premio per una vittoria sul campo, riempì l’intero frigorifero; la mamma si allarmò, pensando a un furto. «No!» esclamò Gigi con orgoglio, «Me li hanno regalati perché ho vinto».
Il periodo trascorso in collegio portarono il giovane Gigi, per l’eccessiva severità degli educatori dell’istituto religioso, ad allontanarsi dalla Chiesa. E quindi, anche dalla strada su cui era incamminato il futuro vescovo Camisasca, orientato invece decisamente verso una vita di fede vissuta nella Gioventù Studentesca di Azione Cattolica, poi Comunione e Liberazione.
Soltanto una volta Riva andò a cercare Camisasca. Aveva bisogno di trasferirsi a Roma per i suoi impegni come dirigente sportivo nella nazionale di calcio. Sapeva che il suo amico viveva a Roma, dove aveva fondato la Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo; l’amico Gigi gli chiese un aiuto a trovare casa a Roma.
Non ci furono altre occasioni di incontro. «Negli ultimi venti-trent’anni, Gigi Riva si faceva vedere poco a Leggiuno» ricorda il vescovo, «e allora io cercavo di stabilire un contatto con lui, anche attraverso una forma molto strana; cioè pregare sulla tomba dei suoi genitori e poi gli comunicavo questi passaggi. Non avevo da lui reazioni, ma ero sicuro che era contento».
Sebbene lontano dalla Chiesa, Gigi Riva non trascurò però di fare memoria di quello che la fede ha rappresentato per lui, ai tempi in cui era a Leggiuno.
A questo proposito, l’aneddotica è ricca; si dice che fosse devoto di Padre Pio e che, per esempio, abbia attribuito al santo di Pietrelcina il “miracolo” della vittoria della nazionale di Lippi ai mondiali di calcio del 2006, dove lui era team manager.
Non si sa quanto ci sia di vero in ciò. Mons. Camisasca però, a questo proposito, ha qualcosa da dire e vuole ricordare un fatto realmente accaduto un giorno: «Uno dei parroci di Leggiuno, don Luigi, mi disse: “sai sul fondo della chiesa ho visto una persona inginocchiata che pregava; non l’ho riconosciuta ma mi sono avvicinato e ho capito che era Gigi Riva».
Il campione era tornato nei luoghi dove era vissuto nei primi anni della sua vita e in quella chiesa era entrato per raccogliersi in preghiera. Il parroco gli si era avvicinato perché si era fatto tardi e doveva chiudere la chiesa. Gigi Riva lo pregò: «Mi lasci qui perché qui ho vissuto delle cose importanti e voglio ancora un po’ restare qui». Aggiunse: «come calciatore sono nato in questo oratorio».
Il vescovo Massimo Camisasca e Gigi Riva hanno vissuto la loro vita adulta senza incontrarsi, procedendo come procedono due rette parallele. Ma senza dimenticare il senso di questo loro lungo comune cammino. Perché – è vero – la geometria ci insegna che due rette parallele sono destinate a non incontrarsi mai. Ma è vero anche che entrambe le rette corrono insieme verso l’infinito, quell’Infinito cui ogni cuore umano tende.
Sicuramente, anche due rette parallele s’incontreranno poi nel Paradiso; dove salteranno tutte le regole della geometria euclidea.
Sicuramente sarà così per Gigi Riva. Quando giocava a calcio, non c’era allenatore che non lo volesse nella sua squadra. Non c’è motivo di dubitare che anche il Padre celeste sia disposto a pagare qualsiasi prezzo – si sa già la natura di questo riscatto – per averlo per sempre con sé, tra i suoi.
Il video della trasmissione su TV2000

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