
Si ferma la città (o, almeno, buona parte di essa) e inizia una nuova stagione per la nostra Chiesa locale nel pomeriggio di ieri con l’insediamento di mons. Ambarus: romeno-romano che – la battuta nel discorso di ringraziamento che ha tenuto a fine celebrazione – in un attimo sta passando “dal Laterano nel Materano”.
Il sindaco Nicoletti e il vescovo Ambarus: reciproco auspicio di collaborazione
Il primo momento, l’incontro tra don Ben e il Capitolo Cattedrale in Piazza Sedile: baci e abbracci con il clero che di lì ha proceduto verso la Piazza: una sorta di accoglienza e di accompagnamento fino alla presa di possesso della Diocesi.
E tra fragorosi e prolungati applausi, ecco il vescovo entrare in Piazza Duomo e giungere sul palco allestito per l’occasione, dove il vescovo eletto e il sindaco di Matera, ing. Antonio Nicoletti – in rappresentanza di tutte le autorità civili – si sono salutati, abbracciati, in segno di accoglienza e di intesa: solo nella collaborazione si fanno cose grandi, il senso del discorso di entrambi.




In particolare, il neo-sindaco ha sottolineato lo straordinario segno di fede che Matera reca attraverso le oltre 150 chiese “rupestri” con le loro testimonianze iconografiche, il temperamento del materano – tenace, resiliente, solidale – e il desiderio di collaborare sin da subito con vescovo e intera Arcidiocesi.
Da parte sua, mons. Benoni ha sottolineato che Chiesa e politica sono entrambe a servizio dell’Uomo, ma la Chiesa, in più, “non dimentica la parte dello spirito, come parte “integrante ed essenziale per avere un senso pieno della vita umana” e non esita a definire i cristiani “più esigenti”, addirittura “incontentabili” in fatto di governo della cosa pubblica e ad assicurare l’impegno per una collaborazione leale per il bene comune, lungi dallo stile della elemosina, né tanto meno della prepotenza, ma della giustizia.
Si riportano di seguito in forma integrale i due discorsi.
Saluti dell’Arcivescovo alle autorità civili e militari della Diocesi e del Sindaco all’Arcivescovo
Saluto dell’Arcivescovo di Matera-Irsina
mons. Benoni Ambarus
alle autorità civili e militari della Diocesi
Egregio sindaco Antonio Nicoletti, Sua Eccellenza, dottoressa Cristina Favilli, egregi sindaci dei comuni del territorio diocesano, distinte autorità civili e militari!
Vi ringrazio di cuore per il saluto che mi avete rivolto, per l’accoglienza che mi avete riservato, per la grande apertura di fiducia e di collaborazione che avete manifestato.
Ad un primo sguardo, potrebbe sembrare che in questo momento si stiano incontrando e si accolgano i rappresentanti di due dimensioni diverse del convivere umano: la città civica, cittadina, pubblica e laica, e la città “religiosa” con i suoi aspetti di spiritualità fede e tradizione. Due dimensioni che si rispettano, si accolgono, collaborano, nella diversità e nell’autonomia specifica.
Invece, mi piace pensare che non è così. Non perché non siano separate le due dimensioni, bensì perché l’umano vivere è una realtà ed un patrimonio comune. Voi, amministratori del bene comune, siete al servizio dei cittadini; noi, come Chiesa, viviamo al servizio delle persone. Che è la stessa cosa: insieme siamo una comunità.
In un’ottica di lettura credente della realtà, la città, il convivere umano ha una dimensione visibile, fatta di persone, di obiettivi comuni e di convivenza pacifica per il benessere di tutti. Ma, parallelamente e, a volte, in modo inconsapevole per molti, esiste una dimensione trascendentale, che non si vede, che però è altrettanto vera e consistente: lo spirituale, la vera identità della persona umana, che noi crediamo sia di figli di Dio ed eredi del Regno dei cieli.
La Chiesa, fatta di uomini e donne di oggi, incarnati nella vita e nella società, si impegna insieme a tutti i cittadini per il bene comune, ma non dimentica la parte dello spirito, come parte integrante ed essenziale per avere un senso pieno della vita umana.
Vorrei dire che i cristiani sono, e dovrebbero esserlo sempre più, degli incontentabili sulla realtà della nostra città, degli inguaribili collaboratori per l’umano convivere. Ed è per questo che non ci rassegniamo di fronte alle difficoltà e sentiamo i le persone fragili come nostri prediletti, coloro che vivono qualsiasi tipo di fragilità e di difficoltà. Perché hanno bisogno di essere nutriti e rafforzati per la vita, ma anche di senso di vita. Siamo degli incontentabili perché non ci vogliamo limitare a dare anni alla vita umana, ma pienezza e senso di vita agli anni. Altrimenti non si trovano sufficienti motivi per un vivere umano sereno.
In conclusione, a voi amministratori, assicuro che saremo collaboratori leali per il bene comune, perseguendo sempre più il tutto con criteri di giustizia e non di elemosina, di uguaglianza e non di prepotenza, di attenzione e non di distrazione, né tantomeno di interessi personali. Ma è altrettanto ovvio, e sono sicuro che su questo siamo d’accordo, che la collaborazione è e rimane anche sul registro della franchezza e della vigilanza profetica.
Grazie per quello che fate nel vostro servizio quotidiano, per la generosità del vostro lavoro, tante volte poco riconosciuto e gratificato. Vi assicuro che al Signore non sfugge nessun vostro gesto di bene e di umanità autentica. E più i gesti sono piccoli e sconosciuti, più al Signore sono preziosi!
Matera, 19 luglio 2025
Benoni Ambarus
Arcivescovo eletto di Matera-Irsina
Vescovo eletto di Tricarico
Saluto del sindaco di Matera, ing. Antonio Nicoletti,
al vescovo eletto di Matera-Irsina, mons. Benoni Ambarus
Eccellenza Reverendissima, don Ben,
Con l’onore di parlare anche a nome dei miei colleghi sindaci, delle amministrazioni e dei cittadini dell’Arcidiocesi di Matera-Irsina, Le rivolgo il più caloroso saluto di benvenuto qui a Matera, nella Sua nuova comunità.
Noi fedeli la stavamo aspettando, custoditi quotidianamente dai Ministri del Clero, che in questo tempo non solo si sono presi cura delle nostre anime, ma hanno saputo gestire in modo più che eccellente i momenti solenni attorno ai quali si riunisce la nostra gente, seguendo il ritmo di tradizioni antiche come i nostri monumenti.
Siamo un popolo segnato da un forte sentimento di fede, radicato saldamente nelle nostre anime come nella pietra della nostra città – Matera – ricca di un patrimonio storico-artistico e architettonico che esprime in modo evidente il rapporto tra Chiesa e comunità. Le oltre 150 chiese scavate nella roccia dai nostri antenati, con le loro testimonianze iconografiche, sono uno straordinario segno di fede, e sono al tempo stesso le radici della nostra cultura. Costituiscono un legame manifesto e indissolubile con l’identità di questi luoghi. Oggi, con la loro valorizzazione, sono diventate fattore di sviluppo e rappresentano quindi non solo i simboli di un antico passato, ma anche un fattore per continuare a costruire il nostro futuro.
La nostra, infatti, è una comunità accogliente e operosa, tenace, che non si arrende fino al superamento di ogni avversità. Una comunità che ha saputo custodire con orgoglio le proprie radici e che guarda con fiducia al futuro, forte del suo patrimonio culturale e umano. I Sassi sono simbolo di dignità e di rinascita, e testimoniano una città capace di risorgere, di trasformarsi e di aprirsi al mondo, senza perdere la propria anima.
Matera, la Gerusalemme dell’immaginario Hollywoodiano, è soprattutto “Capitale” culturale: è una città simbolo del riscatto del Sud, un luogo che con la sua forza riesce a soverchiare le sue stesse contraddizioni, in grado di creare, pur nelle difficoltà, un destino sempre nuovo.
Città antica e radicata nella spiritualità più autentica, è da sempre terra di dialogo, accoglienza e fede. Nel 2026 sarà “Capitale Mediterranea della Cultura e del Dialogo”, rappresentando nuovamente l’Italia in un contesto internazionale quantomai importante in un periodo storico come questo. Dialogo e cultura, parole che appartengono ai materani, e che siamo certi sapremo coniugare insieme, per condividerne i valori con i nostri ospiti provenienti da tutto il mondo.
Ma Matera non è solo i Sassi, il nostro “luogo” per eccellenza, che dobbiamo proteggere e tutelare dalle veloci trasformazioni portate dal turismo e dallo sviluppo contemporaneo. Matera è molto altro. Conoscerà presto la “verità” dei nostri quartieri e dei nostri borghi, dove albergano certo contraddizioni, difficoltà e disagio, ma dove vive la fede più autentica, lo spirito di solidarietà, dove sopravvivono ancora i valori del “vicinato” che ci hanno tramandato i nostri padri.
Materia e spirito, sapienza e operosità, sono gli elementi che emergono dalla nostra antica civiltà: il “paesaggio culturale” costruito da un popolo che ha dimostrato, attraverso i millenni, la sua capacità di essere una vera “comunità”.
Questa comunità attendeva il suo Pastore. La Sua nomina e il Suo insediamento oggi sono motivo di grande gioia e fiducia per tutti noi, quale segno di nuova rinascita e di rinnovamento per la Chiesa locale e per tutto il nostro territorio.
In questo contesto ricco di storia e significato, l’arrivo del nuovo Arcivescovo rappresenta un bellissimo momento di beneficio e di rinnovamento. Siamo certi che la Sua guida spirituale saprà rafforzare i legami tra la Chiesa e la città, promuovendo quei valori di solidarietà, giustizia, ascolto e vicinanza agli ultimi che sentiamo profondamente nostri.
Il Comune di Matera è pronto a collaborare con Lei e con l’intera Arcidiocesi, all’insegna di un dialogo che sarà sincero e costruttivo, nonché fondato sul rispetto reciproco, per affrontare le sfide sociali e morali del nostro tempo e quelle che ci attendono, al fine di costruire insieme un futuro di pace, giustizia e prosperità per tutti i cittadini, unendo le forze verso un progetto di comunità autentica.
Pertanto, nell’esprimerle tutta la nostra fiducia e collaborazione nel suo ministero pastorale del nostro territorio, Le auguro di poter essere la guida illuminata della nostra comunità spirituale nella promozione dei valori cristiani, e una presenza costante nella vita di tutti noi, certi che insieme potremo continuare a costruire una Matera ancora più giusta, solidale e aperta.
Benvenuto, Eccellenza. Che il Suo servizio pastorale sia per tutti noi fonte di ispirazione e di speranza.
Matera, 19 luglio 2025
Ing. Antonio Nicoletti
Sindaco di Matera
A seguire, atteso dal parroco della Cattedrale, don Ben ha fatto ingresso solenne nella chiesa madre della sua nuova Diocesi – addobbata a festa con fiori bianchi e gialli – come previsto dal rito, baciando il crocifisso, aspergendo sé stesso e l’assemblea e, poi, sostando davanti al Santissimo, momento segnato da una profonda commozione.
Mons. Benoni prende ufficialmente possesso della Diocesi
Secondo momento del pomeriggio, dopo il saluto dell’amministratore diocesano don Angelo Gioia concluso con la consegna del dono dell’anello e della croce pettorale a nome dell’intero presbiterio, la presa ufficiale di possesso della Diocesi, con i momenti liturgici e fortemente evocativi della lettura della bolla di nomina da parte del decano del collegio dei consultori, mons. Filippo Lombardi, a cui segue alle 19,28 la dichiarazione del metropolita mons. Davide Carbonaro
Per grazia di Dio
e designazione della Sede Apostolica,
da questo momento il Vescovo Benoni Ambarus
è pastore della santa Chiesa di Matera-Irsina
e il rito fortemente evocativo della consegna del pastorale al nuovo vescovo della nostra Diocesi e del vescovo che prende posto per la prima volta sulla cattedra. E una rappresentanza della Diocesi – il Collegio dei Consultori, un rappresentante dei religiosi e delle religiose, un diacono permanente con la moglie, un seminarista ed una famiglia – ha prestato obbedienza e riverenza a mons. Ambarus seduto per la prima volta alla cattedra di Matera.


Una celebrazione solenne, animata da una cinquantina di cantori del coro diocesano “Signum Magnum” – diretto dal m° don Vito Burdo, con Martina Tosti all’organo – che ha radunato in Piazza Duomo 800 fedeli e in Cattedrale 100 sacerdoti, una ventina tra rappresentanti degli Enti Locali e sindaci della Diocesi, le religiose e gli ospiti romani: tra tutti, in particolare, il gruppo della Caritas Romana di cui don Ben è stato direttore (2018-2021).
Sul presbiterio, accanto al vescovo, ci sono S. Em. Card. E. Feroci, suo amico personale e predecessore alla guida di Caritas Roma, mons. D. Carbonaro – tra l’altro, amico degli anni romani di don Ben –, alcuni vescovi legati a mons. Benoni (mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti, la cui Caritas era gemellata a quella romana, mons. Piero Fragnelli, vescovo di Trapani, già padre spirituale e rettore del Seminario Romano, mons. Renato Tarantelli, vicegerente di Roma, e mons. Vito Piccinonna, vescovo di Rieti), i vescovi materani – mons. Rocco Pennacchio, mons. Biagio Colaianni e, per adozione, mons. Salvatore Ligorio –, gli amministratori di Matera e Tricarico, il capitolo cattedrale, Tra i banchi, il clero di Matera e altre Diocesi tra cui Tricarico.
Semplice e concreta l’omelia che ha parlato di ospitalità: “Ogni volta che ospitiamo il Signore, in realtà è Lui che desidera ospitare e rigenerare noi con la sua presenza e fecondità. I discepoli che più si lasciano ‘ospitare’ dall’amore del Signore diventano essi stessi più capaci di ospitare gli altri”.
“Una cosa commovente è stata ieri sera quando alla fine della cena con don Pino ho chiesto una benedizione e – si commuove e tutti applaudono – ci siamo detti ‘Amerai Cristo nel popolo di Dio attraverso i tuoi sacerdoti’”, il passaggio che mons. Ambarus ha aggiunto a braccio verso la fine.

Di seguito, il testo completo dell’omelia.
Omelia di inizio ministero episcopale di mons. Benoni Ambarus
L’ospitante che diventa ospitato. Potrei riassumere così la prima lettura ed il Vangelo che abbiamo ascoltato oggi.
Abramo siede all’ingresso della sua tenda nell’ora più calda del giorno, e vive l’incontro con i tre uomini. Si prodiga tanto per accoglierli, offre loro cibo e nutrimento, vive la loro presenza come un dono per sé e la propria famiglia. Il risultato finale è che il vero beneficiato invece sarà proprio lui e sua moglie Sara. I tre uomini gli promettono ciò che lui aspetta da tanto: una discendenza, un futuro del proprio clan familiare! Ed è quello che lui aspettava dal Signore: una discendenza. Non esiste accoglienza vera senza una fecondità reciproca! Mai l’accoglienza vera è unidirezionale; se così fosse, non è vera accoglienza ma una certa disponibilità propria, un potere di fare delle cose verso l’altro, dove la vita non si moltiplica, ma solo conservata e prolungata. Inoltre, il dono che riceve Abramo è una promessa serena di futuro: Avrai una discendenza, avrai un futuro, ed io ti custodirò nella vita!
Nel Vangelo di Luca invece, abbiamo la situazione di due sorelle che accolgono il Signore Gesù insieme ai suoi. Gesù va verso Gerusalemme, è stanco del viaggio ed ha necessità di rigenerare le sue forze. Entrando in casa loro, le sorelle attivano due atteggiamenti, due modi di ospitarlo. Marta è consapevole che le esigenze materiali siano una concretizzazione del suo amore per il Signore: hanno bisogno di mangiare, di nutrirsi. E si mette a fare le cose. La sua ospitalità si declina in cose concrete e pratiche quindi; che sono tante, troppe, e non le rimane più spazio ed energia per altro. Lo fa perché l’ospite deve avere il meglio, e sentirsi a suo agio.
Maria invece sceglie un altro registro per ospitare Gesù: si siede ai suoi piedi e assorbe ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo del Signore. Potremmo dire che a Marta piace fare le cose per il Signore, mentre a Maria piace il Signore. La prima nutre dolcemente Gesù con tutto ciò che riguarda l’ospitalità, mentre Maria si nutre di Gesù e della sua dolce presenza.
Sembra, dal modo in cui reagisce Marta, che sia necessario prendere una posizione radicale: schierarsi con lei o con Maria. Non t’importa? Non ti curi? Non ti curi di me? Ed io, che mi sto stancando per te? Non mi vedi, non mi pensi? Dì a mia sorella di dividere queste incombenze con me così dividiamo anche lo stare ai tuoi piedi ed ascoltarti. Un po’ per uno… fa bene a tutti!
Il Signore non si sfila da questa domanda: certo che m’importa, Marta! Certo che m’importa! M’importa che sei sola! Ma…devi sapere che la necessità è una sola: ascoltare Dio! Il resto è contorno! E la necessità è che tu ti sieda e ti faccia ospitare da me, non io da te.
La tua stanchezza, il tuo affanno della vita, la tua solitudine, il tuo scoraggiamento, non vengono eliminati semplicemente perché fai meno cose con l’aiuto degli altri, bensì dal deporre la tua vita ai miei piedi. Vivi nella misura in cui mi ascolti; perché diventi lentamente ciò che ascolti da me! Se non lo fai, continuerai ad agitarti nella vita, ad “invadermi” quasi con le tue opere, ma non riposerai veramente. Anzi, più che ospitare e servire me, lasciati ospitare e servire da me; solo così potrai sperimentare il mio amore per te.
Perché qui non si tratta di compiacermi, di meritare il mio amore attraverso le cose che fai per me, come se dovessi pagare il mio amore e la mia stima, bensì di immergerti nella relazione con me che ti rigenera nella vita!
Ecco carissimi, cosa dice a noi come Chiesa di Matera-Irsina questa Parola, il giorno in cui il Signore ci ha radunati insieme ed oggi mi chiede di iniziare il cammino di servizio come vostro vescovo e pastore? Mi sembra che tre siano gli atteggiamenti spirituali ed ecclesiali da coltivare:
- Ricordarsi che ogni volta che ospitiamo il Signore, in realtà è Lui che desidera ospitare e rigenerare noi con la sua presenza e fecondità. Lui accetta l’ospitalità solo come pretesto per poterci incontrare: l’ospitato è il vero ospitante! Perché conosce la nostra solitudine, le nostre stanchezze, amarezze, il nostro bisogno di essere amati innanzitutto, e poi il bisogno di amare! E queste stanchezze e solitudini non si superano tanto perché i nostri fratelli e sorelle ci soccorrono, bensì piuttosto se abbiamo il coraggio di sederci anche noi! Siamo creati per “riposare” innanzitutto nella relazione profonda con il dolce Signore, nostro Ospitante!
- A noi non ci accomuna un fare ecclesiale aggrovigliato e confuso, ma la calma delle relazioni corte e profonde, fatto di appartenenza al Signore, di sguardi di accoglienza del mistero dell’altro. Un essere Chiesa dalle relazioni riposanti, dove poterci sentire accolti, rigenerati, rinati nella speranza per la vita. Dei discepoli quindi che più si lasciano “ospitare” dall’amore del Signore, più diventano essi stessi capaci di ospitare gli altri.
- Benedetta l’ospitalità ecclesiale dei discepoli! Benedetta la vita vissuta ad ospitare gli altri, perché solo in questo modo annunciamo a tutti l’Ospite divino! E più le persone sono lontane da lui, più sono stanche e sole, più sono povere di pane, di relazioni, di cultura, di lavoro, più vanno accolte nelle nostre tende per essere rigenerate. Perché così a loro viene annunciato attraverso la nostra vita l’Ospite divino che rigenera, mentre a noi viene data, attraverso loro, la fecondità ulteriore della vita e della vita di grazia!
Per concludere, è Cristo in noi, speranza della gloria che noi annunciamo, dice san Paolo, è Cristo che desideriamo rendere presente nel mondo, e ospitando gli uomini e le donne di oggi nella nostra vita, nelle nostre relazioni, nelle nostre comunità, favorire l’incontro tra loro e l’Ospite divino.
Una cosa commovente è stata ieri sera quando ieri alla fine della cena con don Pino ho chiesto una benedizione e [si commuove e tutti applaudono] ci siamo detti: “Amerai Cristo nel popolo di Dio attraverso i tuoi sacerdoti”.





(in Cattedrale e in Piazza Duomo)
Coinvolgente il saluto ai presenti a fine liturgia – che riportiamo integralmente in calce – dove don Ben ha ripetuto una parola a lui tanto cara: “Grazie”.
Grazie a papa Leone XIV per la sua fiducia e la sua paterna attenzione per la missione che mi ha affidato e che oggi inizia: assieme a tutti voi…
Grazie, per quello che da oggi vivremo ospitandoci gli uni gli altri a partire da un ascolto reciproco.
E poi il riferimento al proprio motto – “Omnia quae abuit misit” – che possiamo leggere anche come quel tutto che, come la vedova, anche il Padre offre: il Figlio.
Saluto di mons. Ambarus al termine della messa di insediamento in Diocesi
Potrei dire “sarò breve” ma…non lo dico. Bensì dico: “sarò banale”. Nel senso che tante volte nella vita sono le cose semplici il nostro pane quotidiano, la nostra parte principale di vita. E si, sarò banale! Perché nulla di straordinario voglio aggiungere a questa celebrazione, nulla di fuori luogo voglio dire, eccetto la sottolineatura della bellezza nella semplicità. Che è dire, grazie, fiducia, speranza.
Dico grazie innanzitutto. Grazie al Signore! Perché la mia storia è stata, mi rendo conto sempre di più, pavimentata dalla sua bontà per me. Grazie al nostro Santo Padre, Leone XIV per la sua fiducia e la sua paterna attenzione e la nuova missione che mi ha affidato e che oggi inizia insieme a tutti voi, caro Popolo di Dio che abita nella Diocesi di Matera-Irsina.
Celebro e rendo lode al Signore per la sua bontà nel darmi vita, nella mia storia familiare – con i genitori e nonni che oggi sono in cielo, i tanti fratelli e sorelle, nipoti, cognati e cugini, di cui oggi sono presenti una buona parte, e che ringrazio per la loro presenza discreta ed esemplare nella mia vita, nelle persone che mi hanno affiancato e sostenuto, nelle tappe della formazione, diaconi, consacrati e consacrate, sacerdoti, vescovi, e cardinali; non mi metto a fare i nomi altrimenti facciamo notte, e già voi che state fuori sulla piazza siete stati messi alla prova [sorride]. La bontà del Signore si è manifestata ulteriormente nel considerarmi degno di fiducia con la chiamata al ministero presbiterale ed episcopale poi, e attraverso le comunità che ho avuto l’onore di servire.
Ringrazio il Signore per tutte le persone ferite che ho potuto incontrare, ascoltare, sostenere, aiutare: poveri, emarginati, rom, migranti, carcerati, malati. Per il dono immenso ricevuto attraverso i racconti delle loro storie, la testimonianza della loro fede e speranza, le lacrime che mi hanno permesso di asciugare, il passo in più di vita che abbiamo fatto insieme, loro nella propria vita ed io nella mia insieme a loro.
Ringrazio tutte le persone che sono arrivate qui, da Roma e da vari luoghi per questa celebrazione e per coloro che sono unite attraverso i vari canali di comunicazione.
A Roma mi presentavo come romeno romano, e poi col passare del tempo, sempre più romano che romeno… Ma ora, chi sono io? I Santi Patroni della nostra Arcidiocesi, a cui affido il mio ministero episcopale, sono Maria Ss.ma della Bruna, S. Giovanni da Matera, S. Eufemia e s. Eustachio. Quest’ultimo, generale romano, si è distinto anche nelle guerre di conquista dei miei antenati nella… Dacia, l’attuale Romania. Oggi è arrivato il loro pronipote, eh! Arrivato carico di gratitudine per la vostra accoglienza; e non per conquistare ma per servire, con la fiducia che Popolo e Pastore possano condividere insieme i doni divini, ed edificare il Regno di Dio in questo nostro mondo, così bisognoso di vedere semi di pace, di riconciliazione e di amore autentico.
Carissimi, ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile questo momento; nei giorni scorsi dicevo al telefono a don Angelo Gioia e agli altri sacerdoti: vi sto facendo fare gli straordinari per questa celebrazione! Si, sento e ho visto che gli straordinari sono stati fatti e vissuti da tutti, a cominciare dai sacerdoti, dalle istituzioni e da tutti voi. Grazie per la vostra accoglienza, grazie per la preghiera che avete fatto, e dalla quale mi sono sentito avvolto come da un caldo e dolce abbraccio spirituale!
Sono pieno di fiducia che la bontà e la fedeltà del Signore non ci abbandonano! Sono pieno di fiducia che il Signore guiderà i nostri passi in questo nostro tempo complesso e pieno di sconvolgimenti, che il nostro amato papa Francesco ha definito come un cambiamento d’epoca! Dio è il Signore della storia e noi siamo chiamati a collaborare all’edificazione del Suo Regno, di cui la Chiesa è germe e riflesso concreto in mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo!
Siamo sale e lievito del Regno; il Signore è il costruttore ed il suo progetto di amore è più forte delle fatiche e degli sconvolgimenti. Non cediamo alla rassegnazione ma ancoriamo il cuore nella speranza; non lasciamo che i nostri cuori siano turbati, siano sottosopra, ma incontriamo il Risorto sulle strade del mondo, e Lui camminerà con noi! Dico queste parole pensando in modo particolare alle persone che stanno vivendo un deficit di speranza in questa fase della loro vita: difficoltà di ogni genere, povertà, disoccupazione, migrazione, carcere, malattia, solitudine!
Il motto episcopale che ho scelto è: Ha messo tutto quello che aveva! Che racconta della vedova del Vangelo. Ma in realtà il Padre ha messo tutto quello che aveva: il Figlio! Ce lo ha donato. Ed insieme al Figlio ci ha resi eredi del Regno. Anche noi dobbiamo mettere ogni cosa che abbiamo e che siamo al Suo servizio ed il Signore moltiplicherà ogni bene nel mondo!
A Maria Santissima della Bruna affido il mio ministero episcopale in modo speciale; Matera, che si sfregia del titolo di “città di Maria”, sia il luogo dove è rivolto in modo particolare lo sguardo materno di Maria; lei ci consoli e interceda per tutti noi!
Grazie per la presenza, grazie per la pazienza, grazie per ciò che da oggi insieme vivremo e affronteremo, ospitandoci gli uni gli altri a partire da un ascolto reciproco!
Matera 19 luglio 2025
Benoni Ambarus
Arcivescovo Matera-Irsina
Vescovo di Tricarico


la sosta orante presso l’altare della Madonna della Bruna durante la processione di uscita


don Vito Burdo con i cantori del coro diocesano “Magnum Signum”
Scrivi un commento