La Chiesa e l’Arte – Don Ivan Santacroce

Continua il dibattito sul "rapporto tra la Chiesa e l’Arte", con l’intervista a Don Ivan Santacroce, in riferimento all’omelia della “Messa Degli Artisti” celebrata nella Cappella Sistina di Paolo VI nella Solennità dell’Ascensione del 7 maggio 1964.

A Don Ivan pongo la prima domanda

  1. Parla di te hai lettori di Logos

Mi chiamo don Ivan Santacroce e sono un sacerdote originario della storica e artistica cittadina di Montescaglioso, attualmente parroco della parrocchia S. Giulio I in Terzo Cavone e vicario parrocchiale di Maria SS.ma Annunziata in Scanzano Jonico.

Sono stato ordinato sei anni fa, e nel corso di questo tempo ho rafforzato anche il mio rapporto con l’arte e in particolar modo con il mondo delle arti figurative, pur non avendo intrapreso studi di specializzazione. La mia passione più grande, che porto avanti fin dall’infanzia, riguarda proprio la pittura e il disegno. Credo che avvicinarsi perlomeno alla produzione di qualcosa che esprima un dato artistico, viverlo sincronicamente con il ministero sacerdotale, sia una ricchezza decisiva per il bene del presbitero e della Chiesa stessa. Non soltanto attraverso le parole ma con l’ausilio di matite e pennelli, almeno nel mio caso.

2. Quali riflessioni ti ha suscitato l’Omelia di Paolo VI, in cui affronta il rapporto tra la Chiesa, l’arte e gli artisti?

Ritengo che la mastodontica figura di Paolo VI sia stata decisiva, assieme a quella di altri pontefici, nel rivalutare il giusto valore che la Chiesa deve offrire all’arte e agli artisti, in ogni epoca.

Mi colpisce l’equilibrio che il Papa presenta fra esortazione al cambiamento per alcune scelte, e fedeltà ai dati immutabili nell’esprimere con il linguaggio dei sensi ciò che la fede testimonia nel mistero della trascendenza.

La Chiesa e l’arte hanno il diritto e il dovere di collaborare nel servizio alla bellezza, che è la sintesi alta delle prerogative di Dio. E la bellezza non è confusione ma chiarezza che edifica. Lo stesso Paolo VI esorta a recuperare un linguaggio artistico che sappia coniugare “facilità” e “felicità”, senza perdersi in psicologismi o in sillogismi da capogiro, per niente edificanti.

3. Il dialogo avviato da Paolo VI nel 1964 ha prodotto un cambiamento o tutto si è fermato?  

Così come accade in ogni ambito, anche in questo contesto le esortazioni del Pontefice, arricchite da quelle dei suoi successori, hanno impiegato certamente un pò di tempo prima di essere accolte e attualizzate. Tuttavia si può riscontrare un inizio di dialogo fecondo fra la vita della Chiesa e le diversità di approccio nel mondo dell’arte.

Ritengo però che ci sia ancora molta strada da fare, specialmente nel recupero e nella valorizzazione di canoni artistici che, puntando al servizio della bellezza, sappiano ritornare a quella forma di chiarezza che nei secoli si è espressa come strumento di evangelizzazione per tutti.

Sappiamo bene che proprio attraverso l’armonia delle architetture, della comunicazione visiva di affreschi, pale d’altare, tele, sculture e incisioni, le comunità formate da diverse estrazioni sociali, hanno incontrato il messaggio evangelico con grande fecondità spirituale. Molto più di quanto possano fare spesso le parole.

Forse oggi, il messaggio del papa andrebbe rivalutato proprio nel connubio fra bellezza e chiarezza, guardando alla fede dei vicini ma anche alle domande di senso dei lontani che non sempre possono essere stimolati in questa ricerca da tutti i linguaggi artistici assunti spesso nella contemporaneità.

4. Quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere nel nostro “camminare insieme a coloro che con la loro opera generano bellezza e trasporto dell’anima?

Lo Spirito Santo è un grande artista, e come tale, da sempre ha saputo illuminare il cuore e la mente di artisti e committenti.

A mio avviso continua a chiederci sempre di saper uscire dall’individualità e dalla semplice soggettività dei gusti per puntare a ciò che può permettere all’uomo di pregustare la bellezza del divino.

Certo i linguaggi sono cambiati, ma la sete dell’uomo è sempre la stessa.

Credo che lo Spirito possa chiederci oggi e sempre anche di saper creare armonia fra liturgia e luoghi di culto, arredi, opere d’arte. E penso che voglia chiederci anche di allontanare la tentazione della superficialità estetica, perché purtroppo a volte permane ancora l’idea che nella fede ciò che conta è soltanto l’interiorità. Ma l’uomo è tridimensionale per sua natura.

5. A volte i parroci sono chiamati a prestare la loro opera in chiese importanti sotto l’aspetto dell’architettura e per la presenza di opere d’arte di immenso valore, per le quali occorrerebbero conoscenze specifiche. Sarebbe utile che i parroci seguissero un corso di formazione sulla materia arte, per meglio comprendere la storia, il luogo e le opere, onde evitare interventi che potrebbero provocare danni irreparabili alle opere o non in sintonia con lo stile architettonico della chiesa?

Ho sempre sostenuto che fin dagli anni del seminario debba esserci una maggiore attenzione formativa nel rapporto fra teologia e arte (e quindi soprattutto arti figurative e musica). Sarebbe auspicabile inserire proprio la storia dell’arte nel percorso di studi di un seminarista, assieme alla conoscenza di tutti quegli enti statali preposti alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali presenti in molte chiese.

Per quanto concerne la realtà dei presbiteri sarebbe decisivo e fondamentale uno scenario costante di formazione al linguaggio artistico di ieri e di oggi, con la capacità di discernimento che serve per capire cosa aiuta davvero nel dialogo fra arte e fede e cosa invece può diventare ostacolante, e così evitare anche di giungere a compiere interventi abusivi che spesso hanno visto deturpare grandemente le opere d’arte (pensiamo alle statue di un certo valore e pregio).

Un prete deve conoscere il nome e la natura delle opere presenti nella sua chiesa, il periodo storico che le ha generate, i tempi, i linguaggi, i movimenti artistici che ne motivano le scelte espressive.

Per fare un esempio, è molto bello e importante in alcuni momenti costruire persino un’omelia a partire da quella determinata opera d’arte che è sotto gli occhi di tutta l’assemblea.

6. Sappiamo che le parrocchie non versano in floride condizioni economiche per poter affrontare le spese per la realizzazione di opere d’arte, il Vaticano, attraverso le strutture dedicate all’arte e alla cultura, potrebbe intervenire dedicando delle risorse?

Questo è senza dubbio un argomento delicato e complesso che ancora oggi non trova sempre delle soluzioni. Molte chiese hanno dovuto attendere decenni prima di vedere un restauro o un recupero di vari elementi.

Il Vaticano ha offerto gli strumenti e gli aiuti necessari laddove poteva farlo in virtù della sua competenza. Penso che si debba crescere in una collaborazione più feconda fra gli enti statali e quelli ecclesiali, soprattutto nella considerazione di programmi e piani di recupero per le risorse economiche, ma anche nel fare tutto il possibile affinché i tempi di intervento e di valorizzazione non siano esageratamente prolungati. Le infinite ricchezze artistiche che sono custodite nelle nostre chiese rappresentano una parte fondamentale per la vita di tutti e non possono essere lasciate in balia della dissoluzione. Non esistono più le grandi famiglie di Mecenati o di piccoli e medio borghesi che con le casse del proprio casato finanziavano il mondo delle arti. Sarebbe auspicabile una scelta pianificata da parte degli organi preposti.

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Marino Trizio

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