La risurrezione dell’uomo nella carne, uno studio russo su Dante Alighieri

La rivista La Nuova Europa presenta un saggio sul Sommo Poeta della scrittrice e traduttrice Ol’ga Sedakova

La poetessa russa Anna Achmatova, considerata da qualcuno la più grande poetessa dell’epoca contemporanea, diceva di aver imparato la lingua italiana soltanto per poter leggere la Divina Commedia nella lingua originale. Si potrebbe dire che noi italiani dovremmo imparare il russo per lo stesso motivo, per conoscere cioè la Divina Commedia. Soprattutto oggi che viene celebrato il settimo centenario della morte del poeta, è quanto mai opportuno rivolgersi alla critica dantesca russa.

Da almeno un secolo la cultura russa si è appropriata di Dante Alighieri, particolarmente da parte dei circoli letterari pietroburghesi attorno alla stessa Achmatova ma soprattutto al povero Osip Mandel’stam, una delle voci più ascoltate della poesia russa, che rimarrà purtroppo vittima del Terrore staliniano.

La Nuova Europa è una rivista, un tempo denominata Russia Cristiana, che nel corso dei suoi sessant’anni di vita è stata capace di tenere saldo il legame della spiritualità e della cultura russa con l’Occidente, anche nei tempi difficili della Guerra Fredda e della repressione sovietica. La rivista ha recentemente presentato il libro di Ol’ga Sedakova, docente universitaria, scrittrice e traduttrice di Dante in russo, dal titolo Tradurre Dante.

L’autrice, nel suo libro, si propone non soltanto di far comprendere il testo del poema dantesco in Russia, ma vuole portare alla luce tutta la profondità della fede cristiana dell’Alighieri. Uno dei temi più rilevanti, a questo proposito, è la riflessione che l’autrice fa sul tema della risurrezione nella carne che si ritrova in Dante, un tema che non trova corrispondenza nella teologia del tempo in cui il poeta è vissuto. Allora, ma ciò potrebbe essere vero ancora oggi, si insisteva sulla necessità della salvezza delle anime.

Questa cosa non era agli occhi del poeta un adeguato compimento del destino umano perché non corrispondente all’esigenza di felicità del cuore. Anzi, come è stato osservato anche da altri studiosi, l’aldilà di Dante è un aldilà di corpi. E la risurrezione dei corpi è il fondamento della speranza cristiana.

A Dante non basta salvarsi l’anima. Non si accontenta di questo, ritiene che anche il corpo sia stato creato per l’immortalità. La risurrezione è pertanto integrità restituita all’uomo di anima e corpo. Nel mondo antico si aspirava alla liberazione dell’anima dalla prigione del corpo mortale. Invece, fa notare Ol’ga Sedakova, «i beati danteschi in cielo ricordano i corpi che hanno lasciato e ne provano nostalgia!»

Commentando il canto XIV del Paradiso, Sedakova scrive: «l’uomo nel suo corpo risorto sarà ancora più caro a Dio, perché risponderà interamente al disegno esistente su di lui: il corpo risorto rifulgerà più del fulgore della santità che circonfonde le anime, e per questo sarà visibile attraverso tale luce. I sensi del corpo risorto e nuovamente immortale saranno diversi, in grado di recepire tutto ciò che dà gioia. Possiamo farci un’idea di ciò che saranno i sensi trasfigurati da ciò che capita alla vista di Dante nell’Empireo. Dopo qualche istante di cecità, Dante ottiene una vista nuova, in grado di sostenere la luce di qualunque intensità, libera dalle illusioni ottiche, e cosa ancora più interessante, assolutamente costante, perché per essa non esistono più lontananza e prossimità: Presso e lontano, lì, né pon né leva (Par XXX, 121)».

Dante Alighieri, Apoteosi a Firenze, 700° anniversario della morte (1321-2021), illustrazione dell’artista Giovanni Guida

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Paolo Tritto

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