L’ultima fermata di Carlo Saronio

Considerazioni sul libro di Mario Calabresi che ricostruisce la vita e la morte del terrorista milanese

L’oscura e tragica storia di Carlo Saronio è stata riproposta da Mario Calabresi con un libro, Quello che non ti dicono, pubblicato da Mondadori. È una storia che ha agitato gli animi del mondo giovanile negli anni Settanta, ma che anche oggi avrebbe tante cose da dire. E il libro di Calabresi offre non pochi spunti di riflessione al riguardo.

Nato nel 1949 in una delle più importanti e ricche famiglie della borghesia di Milano, Carlo Saronio era un “bravo ragazzo” secondo le categorie dell’epoca, forse troppo riduttive: serio, discreto e gentile, mite, con un ottimo profitto scolastico. E non era soltanto questo; per un certo tempo Carlo aveva frequentato i gruppi cattolici di GS, la Gioventù Studentesca da cui poi verrà fuori il movimento di Comunione e Liberazione. Insieme agli amici di GS, prima di andare a scuola si incontrava ogni mattina per la recita delle Lodi, la preghiera dei Salmi, e alla domenica per la caritativa nella Bassa padana.

Quando, nel febbraio del ’66, al Parini scoppiò lo scandalo del giornale studentesco La Zanzara, per la pubblicazione di un articolo sulla vita sessuale dei giovani, argomento che allora si riteneva sconveniente trattare pubblicamente, Saronio fu tra quei giovani cattolici di GS che insorsero contro il giornale e che, scrive Mario Calabresi, «fu tra i promotori di un volantino che criticava l’articolo definendolo superficiale e contrario “al costume morale comune” e venne convocato dal preside con altri tre studenti».

Con l’inizio del Sessantotto, Carlo Saronio abbandonerà GS, passando dalla parte della contestazione studentesca e andando purtroppo a radicalizzarsi sempre più. Nel suo libro, Mario Calabresi cerca di ricostruire il percorso di questo giovane inquieto, fino al suo tragico epilogo quando rimarrà schiacciato sotto le rovine di quelle costruzioni ideologiche alle quali egli stesso aveva fortemente creduto. Dopo aver aderito alla lotta armata negli anni terribili del terrorismo, nell’aprile del 1975 Saronio verrà sequestrato dagli stessi suoi compagni di militanza politica e di lui per tanto tempo non se ne saprà più nulla.

Entrato nella clandestinità del terrorismo, ben poco trapelava della vita che conduceva. Probabilmente anche in famiglia si riteneva che Carlo continuasse a frequentare gli ambienti cattolici, se parve credibile a un certo punto che egli dicesse di voler prelevare una grossa somma di danaro dal conto della famiglia da destinare alle opere di carità del parroco di Quarto Oggiaro, somma che invece sarà utilizzata per finanziare la lotta armata. Ma se un progetto di potere, una spinta ideologica, un moto rivoluzionario possono spingere un uomo verso la propria distruzione, rimane vivo pur sempre qualcosa.

Dopo quattro lunghi anni dalla sua scomparsa, Saronio venne ritrovato privo di vita nelle campagne milanesi. Il suo corpo era stato sotterrato e ricoperto di pepe perché sfuggisse all’olfatto dei cani da cadavere.

Nella circostanza del ritrovamento, padre David Maria Turoldo tenne una cerimonia funebre durante la quale rivelò, sorprendentemente, che il terrorista Carlo Saronio aveva trascorso gli ultimi giorni della sua vita a Sotto il Monte, il paese natale di Papa Giovanni, dove padre Turoldo si era ritirato.

Il sacerdote non disse cosa avesse spinto Saronio in un posto del genere, così significativo per la fede cristiana. Forse un richiamo verso quella bontà di cui era espressione Giovanni XXIII, forse il ritorno a quella fede che aveva abbandonato per la lotta armata. Erano i giorni della Settimana Santa del 1975.

Saronio, il terrorista, aveva trascorso quei giorni a Sotto il Monte dove probabilmente aveva avuto modo di associarsi ai riti della passione di Cristo. Questa fu la sua ultima fermata. Poi lasciò il paese natale del papa buono per proseguire sulla sua strada. Qui, come era avvenuto per Cristo, Carlo Saronio era atteso da un amico che lo avrebbe tradito e da un “sinedrio” che aveva deliberato di consegnarlo alla morte.

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Paolo Tritto

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