Al mattino, la celebrazione al Santuario della Palomba presieduta da mons. Ligorio

Un bel momento di festa: i confratelli di oggi, gli animatori e i rettori del seminario di quegli anni, gli amici degli anni di formazione – oggi sacerdoti a servizio delle Chiese di Potenza, Acerenza e Melfi –, il rettore attuale – don Antonio Polidoro – e un paio di seminaristi in rappresentanza di tutti. Tutti costoro hanno fatto corona a questi sacerdoti della nostra Chiesa che qualche giorno fa hanno traguardato il 25° di sacerdozio e lo hanno festeggiato nel santuario di Maria Ss. della Palomba.
Tanta gioia nel ritrovarsi, ma anche le riflessioni di mons. Ligorio che invita i presenti a rimeditare sulle parole del rito dell’ordinazione presbiterale: “Vivi il mistero che è posto nelle tue mani” e “Renditi conto di ciò che farai”. E poi: “Ravvivare il dono del sacerdozio ministeriale è certamente opera della grazia ma questa suppone il nostro continuo ripetere in ogni circostanza: ‘Eccomi, Signore’”. Inoltre, facendo riferimento al brano evangelico del giorno (Mt 11,25-30: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. […] Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore”), che – guarda caso! – è attinente soprattutto nell’ultima parte al mi(ni)stero sacerdotale che si stava festeggiando, mons. Ligorio sottolinea che l’origine della chiamata sacerdotale è da ricercare in quello stesso sguardo di predilezione con cui Gesù guarda i piccoli. Due volte, mons. Ligorio ripete nell’omelia la frase letta nel Vangelo: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”, evidenziando che un’esistenza umile è quella che non si basa sul dispiegamento di forze ma si lascia plasmare da Dio, non ricusando nei tratti della propria esistenza quegli aspetti di una vita “che oggi rientrerebbe nella categoria dello scarto, per dirla con il compianto Papa Francesco: diversamente da quello che la nostra vita, sin dai tempi della scuola, ci ha insegnato, cioè che valiamo per quanto veniamo riconosciuti ma non per quello che siamo”.
Don Domenico Monaciello: una serata gioiosa e sovrabbondante. L’affetto delle comunità di “S. Pio X” e “S. Lucia”
Due mesi fa in festa per il 50° compleanno e, “oggi, il nostro cuore è nuovamente colmo di gioia e gratitudine – dirà Gianni Sandri, un collaboratore di don Domenico, a fine celebrazione – nel celebrare il dono meraviglioso che il Signore ha fatto a tutti noi attraverso il tuo sacerdozio, nel suo 25° anniversario”.
“Oggi per noi tutti parrocchiani è stata una giornata di festa; sin dalla mattina presto, un continuo suono di messaggi che arrivavano sul gruppo WhatsApp parrocchiale per augurare al nostro don Domenico un buon 25° di sacerdozio”, racconta Nunzia Ferrara, catechista della Parrocchia “S. Pio X” in Matera, dov’è parroco don Domenico. “Eravamo in fibrillazione e, soprattutto, emozionati per la cerimonia della sera, ma volevamo che andasse tutto nella semplicità”.
Un presbiterio gremito di sacerdoti – don Biagio Plasmati, don Angelo Tataranni, don Bruno Buonamassa, don Gianpaolo Grieco –, diaconi – Giuseppe Avena, Giuseppe Fiorentino, Giuseppe Centonze, Pietro Oliva – e ministranti, grandi e piccoli, con a capo l’accolito Edo Veronesi.
“Don Domenico era impeccabile; come lo sposo che arriva all’altare. E lui era proprio lo sposo che 25 anni fa ha sposato il Signore e la Chiesa. Il profumo delle rose bianche mi ha fatto pensare alla purezza, allo splendore e alla gioia: è proprio questo che emanavano gli occhi di don Domenico. Anche le voci del coro hanno toccato il cuore di tutti”.

Ma, soprattutto, una chiesa gremita di fedeli, tra cui diversi bambini; tutti in festa per lui: la comunità materana di “S. Pio X” e quella montese di “S. Lucia”, che don Domenico ha servito per oltre 10 anni (2007-2017); la loro presenza trasmetteva un senso di generoso affetto, gioia, gratitudine. Una partecipazione che ha commosso in primis don Domenico. E commossa era anche tutta l’assemblea: “Ci abitava un mix di emozioni. Sono arrivata all’altare piangendo: alla processione offertoriale mi hanno fatto portare l’ostia”, racconta la zia, Tina Cardinale. “Ma i miei occhi – racconta ancora Nunzia Ferrara – si sono soffermati su una persona in particolare: la mamma di don Domenico, con gli occhi lucidi ma gioiosi per la scelta del figlio, chiamato da Gesù”. E non meno commosso era don Domenico!
Alla fine della celebrazione, il dono di un piviale rosso e di un camice. Due segni liturgici che hanno amplificato la riflessione sulla stola, il dolce giogo sacerdotale, da lui proposta nell’omelia.


La serata, poi, si è conclusa con un bellissimo momento di convivialità, anch’esso nel segno della sovrabbondanza e della gioia. Parrocchiani e don Domenico sono stati tanto generosi nel provvedere al buffet che una buonissima torta e alcuni vassoi di focaccia sono stati poi portati alla “Casa dei giovani”. È la risposta ad un parroco, lui per primo generoso e disponibile, è stata la spiegazione dei parrocchiani.
“La tua presenza è per noi quella di un fratello, di un padre, di un amico vero – ancora le parole di Gianni Sandri – che con semplicità, con passione, con la forza di chi sa che il proprio ‘sì’ quotidiano è seminare amore nel cuore degli altri, è sempre presenza e guida vera per tutti noi.
Viviamo con te la tua freschezza, quella di chi, con entusiasmo e con una fede autentica, sa essere luce per tutti, sa essere esempio mostrando il rispetto profondo e delicato con cui avvicinarsi agli ammalati, agli anziani e allo stesso tempo la gioia e la spontaneità nel giocare con i bambini.
Viviamo la profondità delle tue riflessioni che ci aiutano nei momenti più importanti della nostra vita. Sei presenza, sei ascolto, sei guida, e lo sei senza mai perdere la tua autenticità, anche se stanco, provato, e a volte forse scoraggiato, sei sempre pronto a rialzarti, con il sorriso di chi si fida di Dio, raccontandoci che essere sacerdote non significa avere tutte le risposte, ma saper camminare accanto agli altri, con umiltà e con amore.
Caro don Domenico, ti chiediamo che nel prosieguo del nostro cammino comunitario, ci aiuti a vivere quella meravigliosa immagine di essere cristiani, capaci di collaborare, di ‘essere’ – più che ‘raccontarsi’ – amore, unità, presenza e soprattutto servizio.
Se qualche volta ti abbiamo fatto arrabbiare, perdonaci e accompagnaci con il tuo esempio, aiutandoci ad essere ‘pellegrini di speranza’”.
“Sappiamo che il tuo percorso come sacerdote – aggiunge Tina Matera, un’altra catechista – non è stato sempre facile ma hai sempre affrontato ogni sfida con la forza e la fede”.
“Don Domenico, grazie: perché́ – continua Gianni Sandri – con le tue parole, i tuoi gesti e il tuo esempio, rendi più bella la nostra comunità e più forte la nostra fede.
Il Signore continui a benedirti e a donarti la gioia di sentirti amato, come tu ogni giorno sai donarla a noi.
Ti auguriamo che ogni passo futuro sia ancora più pieno di luce e di grazia, e che il Signore continui a rinnovare in te la gioia di servire il Suo popolo.
Auguri Don Domenico, ti vogliamo bene!”.



Don Pasquale Giordano: in Cattedrale, all’altare della Bruna
Amici e parenti giungono per l’occasione in Cattedrale, per la precisione all’altare della Bruna. Un desiderio, quello di celebrare lì, al cospetto della patrona del clero e protettrice della sua città, che don Pasquale, da sacerdote materano, aveva maturato nel tempo e aveva pensato di riservare a questa tappa significativa. All’altare, gli fanno corona don Angelo Gallitelli, parroco della Cattedrale, don Antonio Lopatriello, parroco e suo successore alla “Mater Ecclesiae” di Bernalda, due amici confratelli di Brindisi e don Francesco Barbarito di Tricarico, nonché il diacono Michelangelo Cifarelli e l’aspirante diacono Paolo Chieco. Animano la liturgia i Cantori Materani.


Non manca nemmeno in don Pasquale l’emozione: non tanto nel ricordare confratelli che già sono passati alla Casa del Padre o i vescovi e i sacerdoti che sono stati importanti nel suo cammino di vita e ministero, ma nel raccontare, attraverso la lettura del racconto del sacerdote ortodosso Constantin Virgil Georghiu, cosa significhi essere sotto il giogo di Cristo. Che è quello che ogni sacerdote vive indossando la stola: il paramento indispensabile per ogni ufficio, anche il più breve che lui compie, al punto che se ne fosse sprovvisto al momento dovrebbe rimediare ricavando una fascia di tessuto foss’anche da un camice, o finanche con una corda! Inoltre, le stole – continua lo scritto – in tempi di persecuzione sono state anche utilizzate per impiccare i preti, esprimendo così appieno il significato di questo ornamento liturgico sacerdotale, capace di far passare il presbitero dalla liturgia terrena a quella celeste.



Don Francesco Di Marzio: a squilli di tromba. Una vocazione materna trigenerazionale e intrecciata col dolore


Gli squilli delle trombe suonate dai Cavelieri della Bruna in uniforme, i fiori sull’altare, l’inno del Giubileo “Pellegrini di speranza” suonato festosamente accompagnato dalla tromba, l’assemblea compostamente disposta in attesa della celebrazione, abbondante di Cavalieri e Pastori della Bruna, nonché del Comitato e dell’Associazione “Maria Ss. della Bruna” – del cui Consiglio di Amministrazione don Francesco è delegato arcivescovile –, le luci… tutto dice il clima di festa solenne che stiamo per vivere! Don Nino Martino, parroco di S. Agnese, don Donato Di Cuia e don David Mannarella, altri sacerdoti che, come don Francesco, sono “usciti” dalla parrocchia di S. Agnese, p. Basilio Gavazzeni, parroco storico di S. Agnese, concelebrano con lui questa Eucaristia importante, mentre mons. Biagio Colaianni vi assiste e tiene l’omelia. Non mancano i ministranti, piccoli e grandi: tra loro Sergio Di Pede, in cammino verso il diaconato permanente, che legge la monizione che prepara l’assemblea alla celebrazione:
Cari fratelli e sorelle ricordiamo oggi il venticinquesimo anniversario di don Francesco Di Marzio: questa felice ricorrenza richiama tutto il popolo di Dio a rendere grazie per il dono inestimabile del sacerdozio ministeriale.
Uniamo le nostre preghiere perché il Signore conceda al nostro fratello don Francesco la grazia di un fecondo ministero e di una sempre più stretta intimità con Dio pastore delle nostre anime.
Il coro, arricchito dal suono delle trombe, canta festosamente l’Inno del Giubileo con cui ormai iniziano tutte le nostre celebrazioni solenni di quest’anno santo.


I presenti avvertono la commozione di don Francesco mentre cerca di salutare i presenti:
nella comunità che mi ha generato alla fede e mi ha accompagnato nel percorso di vita e discernimento, ho desiderato celebrare questa tappa di vita, invoco la misericordia di Dio sui miei grandi peccati e lo ringrazio per il suo perdono.



Parla del ministero sacerdotale l’omelia che tiene mons. Biagio:
’Dio è luce’, abbiamo ascoltato nel Vangelo, e il sacerdote è un faro, anche nella vita pubblica, nei limiti del consentito, come lo fu pure S. Caterina da Siena, che si festeggia oggi, in una stagione storica particolare segnata tra l’altro dalla presenza di un antipapa. E lei prendeva posizioni e cercava di…
Inoltre, sottolinea don Biagio, “il sacerdote è ministro di comunione, e la comunione è diverso dall’essere ‘compagnoni’ e implica la Verità, che è per i Cristiani Gesù Cristo”, e “segno di unità“. E l’umiltà di cui parla il vangelo odierno è la stessa che ha bisogno di avere il sacerdote, “anche quando tutta la città risponde alle proposte inerenti alla festa della Bruna”, scherza don Biagio e poi spiega meglio: “il perdono che il sacerdote offre non è vero se non si riconosce in primis lui come uomo bisognoso di perdono”. E il farci piccoli, come accadeva pure a S. Caterina, consente di lasciare spazio a Dio in noi.
Il sacerdote è inoltre uomo della mediazione, del discernimento e dell’equilibrio, della pace – quale fu S. Caterina, che per la pace si spese sia all’interno della Chiesa sia al difuori – e “uomo nel mondo, ma non del mondo: segno della presenza di Dio nel mondo attraverso la sua umanità”. I sacerdoti, infine, sono “uomini di offerta, che si offrono a tutti e poi scaricano i propri pesi sul petto di Cristo, come Giovanni nell’ultima cena”.
“Il Signore ti doni quel che ha nel suo cuore quel che ha riservato per sé nella sua santità”, l’augurio che don Biagio porge a don Francesco.



Molto bello anche il ringraziamento che rivolge don Francesco alla comunità raccontando l’”ora” indimenticabile del suo primo incontro con Dio, come Andrea e Giovanni “alle quattro” di quel pomeriggio di cui Giovanni stesso ci racconta e come c’è un istante iniziale in ogni relazione terrena. Quell’ora per don Francesco è stata il giorno della prima comunione, in cui sentì una felicità grande, e, tre anni dopo, il sorriso sul volto della mamma sfigurato dalla malattia, quando fu interpellata sul letto di morte da sr. Mariangela: “Vuoi che Francesco diventi prete?”. Una fede trasmessa non solo dalla mamma, ma anche dalla nonna che si ostinava a portare ogni giorno a messa il vivace di Francesco di 4-5 anni. Senza dimenticare la Mamma Celeste, di cui ora don Francesco è divenuto custode, come delegato vescovile della Bruna. Così, don Di Marzio ha parlato di una “fede trigenerazionale”, intrecciata sempre con il mistero del dolore.
A seguire, un generosissimo buffet nel salone parrocchiale.
Auguri, cari sacerdoti anche dalla Redazione di Logos: auguri di essere quel lievito “concentrato” di cui la Chiesa, non solo la società ha bisogno, immagine di Cristo più degli altri cristiani, portatori di speranza in un mondo che di questa virtù ha tanto bisogno, non solo in quest’Anno Santo.
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