Perché Lazzaro era felice

Davanti al sepolcro, nel giorno dei morti, risuona quella voce di Cristo che ridesta la nostra speranza.

Nella ricorrenza del giorno dei morti siamo soliti recarci sulla tomba di quelle persone che abbiamo amato; su quella tomba dove giace chi abbiamo perduto. In questo giorno particolare possiamo vedere anche tanti altri che, come noi, al camposanto sostano in raccoglimento davanti a un sepolcro.

Sono scene che non possono non riportarci a quel tempo quando Gesù, pure lui, si ritrovò davanti alla tomba del suo amico Lazzaro.

«Se tu fossi stato qui» gli dissero contrariate le due sorelle del defunto, «non sarebbe morto». Le due donne sapevano bene che il loro amico Gesù aveva potere su ogni cosa, persino sulla morte. Se fosse stato lì, Lazzaro si sarebbe salvato.

Eppure sul volto del loro amico in quel momento non c’era traccia di quel supremo potere di cui può disporre l’onnipotenza divina. Anzi, Gesù sembrava sopraffatto dal dolore, paralizzato da quell’angoscia che si prova di fronte a una perdita irreparabile. E piangeva, come si piange quando il male ci opprime.

Sarà stato dal profondo di quell’angoscia mortale che a Gesù venne fuori quell’urlo straziante e incontenibile: «Lazzaro, vieni fuori!» 

È vero, è lo stesso dolore che ogni uomo sente erompere dal profondo del cuore, davanti alla tomba di una persona cara. È un dolore che conosciamo; che ci appartiene. Lazzaro udì quel potente richiamo, dall’abisso della morte dove era sprofondato. E, ridestato da morte, venne fuori dal sepolcro.

Quale gioia può aver provato in quel momento Lazzaro. Passare dalla morte alla vita – cosa possono sperare di meglio gli uomini, nella loro condizione mortale?

Ma quanto sarà durata quella gioia di Lazzaro? Sarà durata il tempo di scoprire che purtroppo prima o poi la morte, ostinata, si sarebbe presentata nuovamente alla sua porta. Era dunque inutile quel grande miracolo che Cristo aveva operato?

Tutto questo, il prodigio ricevuto, avrebbe forse potuto rendere Lazzaro felice? Se dover morire è terribile, si può immaginare quanto poco desiderabile possa essere doverne ripetere l’esperienza.

Probabilmente molto presto, dunque, Lazzaro avrà scoperto che Cristo, risuscitandolo dai morti, non gli risparmiava il fatale cammino sulla dura via della croce. La morte non si sarebbe certo schiodata da dove era posta.

Eppure Lazzaro, su quella dolorosa via, procedeva col cuore lieto. E questo avrà sorpreso lui stesso. Lazzaro poteva scoprire di essere felice. Anche su quella strada che lo avrebbe nuovamente condotto alla morte; anche su quella via dolorosa, Lazzaro era felice.

Perché lui l’aveva già udita quella voce di Cristo che risuona in quel cupo momento finale. Quella voce del suo amico rotta dal pianto, quell’urlo potente che lo aveva ridestato dalla morte.

Il suo amico l’aveva detto una volta; aveva detto che sarà come il richiamo del pastore: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio».

Nemmeno la morte; niente più potrà rapirci. È questo che Lazzaro aveva capito quando udì quella voce. Ed è per questo che Lazzaro era felice.

Per quella voce dell’amico Gesù che piange davanti alla desolazione del sepolcro, di un pianto così simile al nostro pianto di uomini. Per il dolce richiamo di quella voce potente che rianima la speranza.

È la medesima voce che, davanti a una tomba, possiamo sentire risuonare insidiosa dentro noi stessi, come una dolce promessa che ridesta la vita.

Resurrezione di Lazzaro
Vincent van Gogh – Van Gogh Museum
Immagine di pubblico dominio

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Paolo Tritto

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