Non è facile trovare le parole di fronte a quello che succede a Gaza e nel resto del territorio palestinese. La guerra che sta insanguinando la Palestina sembra non avere fine.
Del resto, si tratta di una conflittualità che, con alti e bassi, contrappone israeliani e arabi fin dalla costituzione dello Stato di Israele. Che, se da un lato veniva incontro alla legittima aspirazione a un rifugio sicuro per un popolo che aveva conosciuto la persecuzione e l’Olocausto, dall’altro non nascondeva la pretesa di porsi come elemento di rottura nel quadrante mediorientale.
Non appena terminata la Seconda guerra mondiale, il presidente americano Truman, poco prudentemente, si affrettò a porre la questione della creazione di uno Stato ebraico, questione che fu formalizzata presso le Nazioni Unite già nel 1947. Ma, come ricordava nel libro Breve storia dei popoli arabi Sergio Noja, islamista dell’Università Cattolica, sarà l’Unione Sovietica a premere perché si provvedesse in questo senso nel più breve tempo possibile. L’URSS vedeva con favore che Israele diventasse il primo stato socialista dell’area, in una realtà costituita prevalentemente da monarchie reazionarie.
Stati Uniti e Unione Sovietica avevano fatto male però i loro conti dal momento che, ovviamente, la creazione dello Stato di Israele non avrebbe certamente messo al riparo da derive reazionarie, tanto meno avrebbe garantito di per sé il trionfo del socialismo. Infatti, è quello che possiamo vedere oggi.
Al di là di quelle che sono state le colpe storiche e i problemi che quegli errori hanno generato, il grande interrogativo che si pone oggi è se esistano le condizioni per porre fine alla strage in atto.
Purtroppo, la realtà storica spinge a essere pessimisti. Soluzioni non se ne intravedono e l’idea della creazione dei due Stati cozza con il pregiudizio ideologico delle parti che si contendono il controllo del territorio.
Particolarmente, con il principio che abbiamo sentito risuonare recentemente da Hamas circa la riconquista “dal fiume al mare” e che presuppone la totale eliminazione della presenza ebraica dai Territori. Un sinistro “principio” che però, bisogna dirlo, fu coniato in passato proprio dal “nemico” sionista che si proponeva l’obiettivo opposto dell’eliminazione della presenza araba. Per dire quanto irriducibili siano le contrapposte posizioni.
Nonostante non si veda il minimo spiraglio per una ricomposizione pacifica della conflittualità, la stessa drammaticità della situazione e soprattutto la tragedia di Gaza, impone oggi al mondo intero di sperare “contro ogni speranza”.
È possibile il superamento della guerra? L’interrogativo se lo pose don Luigi Sturzo nelle sue ultime riflessioni al termine della terribile esperienza della Seconda guerra mondiale. E Sturzo a questa domanda volle dare una risposta profetica veramente audace: sì, la possibilità di eliminare la guerra è realistica; nel futuro, la storia potrebbe non fare più ricorso alle armi. Si tratta di visione profetica, di un’utopia. Di qualcosa di inimmaginabile. Eppure, dice Sturzo, come è stata superata la schiavitù, il duello, la pena di morte, la poligamia, possiamo ragionevolmente sperare che anche la guerra possa essere per sempre scongiurata.
Come? A questo proposito, la posizione di Sturzo è interessante. Perché egli come antidoto alla guerra non vede tanto la ricerca “sic et simpliciter” della pace, cioè le istanze pacifiste, come solitamente si vede proporre in questi casi. Il vero antidoto alla guerra, dice Sturzo, è il diritto. Può sembrare questa una clamorosa ingenuità. Come si può pensare che la forza del diritto possa disarmare le potenze militari?
Si tratta di un’ingenuità che abbiamo visto anche nelle prime parole pronunciate all’inizio del pontificato di Papa Leone XIV su una “pace disarmata e disarmante”. Una visione che però, a un più attento esame, tanto ingenua non è. Perché se è vero che il diritto, le leggi, possono mostrare una scarsa efficacia nel contrastare nell’immediatezza l’aggressività delle potenze militari, possiamo anche vedere come la forza morale del diritto poco alla volta crea una mentalità, una cultura che alla fine diventa prevalente. È quello che, appunto, ha permesso la messa al bando della piaga della schiavitù, del duello, della pena di morte, eccetera.
Ma, concretamente, in Palestina cosa si può fare? A questo proposito bisogna dire che il principale elemento di instabilità che si registra nei Territori è l’assenza di alcuni basilari principi del diritto.
Come, per esempio, il diritto di proprietà. In Israele non esiste proprietà privata. Quasi tutta la proprietà è nelle mani dello Stato e del Fondo Nazionale Ebraico. È lo Stato che acquisisce nuovi territori su cui, poi, sciaguratamente i coloni vanno a insediarsi. Sebbene questo “metodo” abbia prodotto oggi a Gaza una vera ecatombe, giova ricordare che tutto ciò è continuità con quello che in Palestina è avvenuto da sempre.
Per tornare al pensiero di Sturzo, il punto in Palestina è quello di ridimensionare il ruolo dello Stato di Israele. Non soltanto, cioè, i confini dello Stato ma la natura di uno Stato che è sostanzialmente uno stato latifondista.
Si fa presto a dire che bisogna riconoscere uno stato palestinese. Ma ci sarà vera pace soltanto quando in Palestina ci sarà giustizia. Quando i cittadini – siano essi ebrei o arabi – saranno veramente padroni della loro terra; come è avvenuto, per esempio, nelle regioni dell’Italia meridionale dopo la Seconda guerra mondiale, con la Riforma agraria.
Bisogna anche ricordare, a questo proposito, che, senza voler attribuire alcuna giustificazione dell’efferata strage del 7 ottobre, la sanguinosa azione di Hamas era rivolta non tanto a Israele in sé, quanto ai kibbuz israeliani, cioè alla prassi di collettivizzazione delle coltivazioni agricole portata avanti da Israele.
Non c’è pace senza giustizia. È necessario dunque che siano riconosciuti come prevalenti i diritti della persona rispetto allo Stato che, secondo Sturzo, non è che un’astrazione giuridica cui spetta, propriamente, la finalità di regolare i rapporti giuridici e che ha funzioni di sussidiarietà.
La profezia di Sturzo sul superamento della guerra è una profezia nella quale è ragionevole credere. Nella quale, almeno la Chiesa, dalla Pacem in terris a papa Leone XIV, crede fortemente e che faceva dire a Paolo VI, nel suo intervento del 4 ottobre 1965 alle Nazioni Unite: “non più la guerra, non più la guerra!” E questo è possibile – sosteneva Paolo VI – quando viene fissata «una condizione di diritto, meritevole d’essere da tutti riconosciuta e rispettata, dalla quale può derivare un sistema ordinato e stabile di vita internazionale».

CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
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