
accanto al neo-parroco da p. Francesco Maria, p. Gianparide e don Pasquale Giordano
E’ nella festa della Natività di Maria che mons. Ambarus ha visitato per la prima volta la comunità materana di Cristo Re e ha incontrato i volontari dell’associazione Disma: un’omelia, come sempre densa e in tema con il vangelo del giorno, quello della pagliuzza e della trave nell’occhio, che ha interpretato come invito allo sguardo benevolo verso gli altri, che i volontari in carcere sono chiamati a fare più di tutti ad avere, ma che tutti aiuta a coltivare il bene.
Ma ancor più di fronte a volontari, operatori, parrocchiani e rappresentanti delle istituzioni riuniti nel chiostro del Convento di Cristo Re, mons. Ambarus ha condiviso la ricchezza della sua lunga esperienza nei penitenziari romani, dove ha servito come vescovo delegato per la pastorale carceraria.
All’inizio pensavo a fare del bene: portavo quello che serviva, organizzavo aiuti, assistevo. È stato solo da vescovo, quando non ero più io a gestire direttamente l’assistenza, che ho capito cosa significa davvero stare accanto. In carcere non si va per convertire gli altri, per sentirsi migliori, ma per imparare noi ad adottare lo stile di Dio: stare vicino, ascoltare, riconoscere l’altro come persona.
Dio ti cambia da dentro, dicendoti: ‘Tu per me esisti’. Quanto vale dire: ‘Mi ricordo il tuo nome’.
E noi lì dentro siamo chiamati a fare questo: non portare solo pacchi, ma presenza, ascolto, dignità.
Un intervento che ha colpito per l’onestà disarmante con cui il vescovo ha raccontato le fragilità del volontariato quando manca formazione: “Entrare in carcere per aiutare, per assistere, è facile! Entrare in carcere in ascolto, invece, fa male. E se non sei preparato, rischi di diventare l’ennesima delusione per chi è già stato ferito tanto dalla vita. E loro te lo dicono in faccia: ‘Sei venuto qui solo per sentirti buono’. E ti smascherano subito”.
Mons. Ambarus ha poi lanciato un messaggio diretto a tutti i volontari presenti: “Il carcere ti ridimensiona. Ti fa pensare: se io fossi nato là, cresciuto come loro, forse sarei stato peggiore. E allora ti rendi conto che non sei migliore, ma di quanta Grazia hai ricevuto. Quanta misericordia hai ricevuto. E questa consapevolezza ti evangelizza”.
Infine, ha ricordato che il volontariato penitenziario non si esaurisce “dentro le mura”:
Se un detenuto esce e non trova nessuno ad attenderlo, abbiamo fallito. La presenza deve continuare anche fuori, altrimenti non serve a nulla quello che fare dentro.
L’incontro ha segnato un momento alto per l’associazione Disma, che da anni porta avanti attività di accompagnamento, ascolto e scrittura nella Casa Circondariale di Matera.
Tra i progetti maggiormente noti in città, il giornale redatto dai detenuti S-Catenàti, che racconta – come ha ricordato uno dei volontari – “non quello che i giornali dicono del carcere, ma quello che il carcere ha da dire alla società”.




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