18 marzo: il dovere della memoria

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione sull'istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.

Sono trascorsi 3 anni da quella immane tragedia causata dal Coronavirus. La paura della morte, lo scoprirsi soli e impotenti, impauriti e smarriti mise in discussione  l’onnipotenza dell’uomo che sino a qualche mese prima  si considerava emancipato, razionale, immortale. Improvvisamente ci scoprimmo tutti  fragili, “soli nella barca in mezzo alla tempesta e bisognosi l’uno dell’altro”.

Le immagini che tutti ricorderemo per sempre sono i camion militari che di notte trasportano le bare, la solitudine di Papa Francesco in piazza San Pietro, l’infermiera che dorme sulla tastiera di un computer stremata dalla stanchezza.

“Andrà tutto bene”  fu il ritornello cantato da balconi e terrazze.

A distanza di qualche anno ci accorgiamo che non è stato cosi, quasi 200.000 vittime che non possono sparire nel nulla. Un’intera generazione di anziani andata via senza nemmeno il conforto dei propri cari o della fede, centinaia di medici, infermieri, sacerdoti che hanno sacrificato la loro vita, non possono essere dimenticati, abbiamo il dovere della memoria: perché per loro NON è ANDATO TUTTO BENE! Il tricolore una volta tolto dai nostri balconi avremmo dovuto  issarlo nei cimiteri dove sono sepolte le vittime.

Tutti ci chiedevano: cosa accadrà dopo la pandemia? Molti affermavano che  “nulla sarà come prima” io non ne ero sicuro, lo avevamo già detto troppe volte: dopo ogni guerra, ogni attentato, ogni catastrofe.

In tanti erano convinti che l’uomo cambiasse per sempre il proprio stile di vita e invece dopo solo qualche anno, viviamo gli stessi antichi vizi ritrovandoci a combattere una guerra che riporta alla mente vecchie e recenti disfatte per l’umanità.

Non vogliamo capire il vero fine del nostro essere uomini, non riusciamo ad elaborare nuove dottrine economiche che riducano il divario nella distribuzione delle  ricchezze, in contrapposizione alle tesi che assegnano ai poveri la colpa della povertà.

Per converso, dobbiamo renderci conto (e lo dobbiamo fare singolarmente e personalmente prima che in modo collettivo) che è folle spendere miliardi per le armi nel mentre interi popoli muoiono di fame, dobbiamo metabolizzare un nuovo paradigma di vita: fieri di essere “persone per bene” ed  accoglienti,  non più isterici, rabbiosi, egoisti. Dobbiamo maturare un sentimento di nuova solidarietà dove il “NOI ” viene prima dell’ “IO” in  una  ritrovata “humanitas” che ci rende fratelli tutti!

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Mario Di Biase

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