A Jon Fosse il Premio Nobel per la letteratura. Il potere della Parola di una piccola comunità

«Sento che nella mia scrittura c’è una sorta di riconciliazione. O, per usare una parola cattolica o cristiana, di pace»

Il Premio Nobel 2023 per la letteratura è stato assegnato a Jon Fosse, uno scrittore cattolico norvegese. Cattolico era anche lo statunitense Cormac McCarthy, recentemente scomparso, considerato uno dei massimi scrittori contemporanei.

Le chiese si svuotano, i seminari sono deserti; eppure, i libri degli scrittori cattolici vanno a ruba e la loro voce si impone con autorevolezza nel panorama letterario mondiale. Come mai questo paradosso?

Un’indiretta spiegazione possiamo trovarla in quello che diceva Isaac B. Singer, anche lui insignito del Nobel per la letteratura. Singer era uno scrittore ebreo che, come i cristiani, trovava ispirazione, come disse, nel potere della Parola: «Credo ancora che in principio era il Verbo». E se ne comprende la ragione. Soltanto nell’ambito della fede è ragionevole cercare la risposta alle grandi domande che l’uomo si pone. Riguardo, per esempio, alla vita e alla morte; ma anche al mistero del male.

Sono queste le domande che il lettore ritrova negli scritti di Jon Fosse o di Cormac McCarthy. In “Mattino e sera”, un romanzo con potenti richiami al testo biblico, Fosse scrive: «questo mondo è governato da un dio minore o dal male stesso, ma non del tutto, perché qui c’è comunque il buon Dio, pensa Olai mentre è seduto al suo posto all’estremità del tavolo della cucina con la testa fra le mani, no, il buon Dio era arrivato fino a lui, finora, è sempre andato tutto bene e lui amava così tanto sua moglie e sua figlia Magda e non poteva proprio lamentarsi, sì, fino a quando avevano Magda non dovevano lagnarsi del proprio destino ma piuttosto lodare il Signore Iddio». Quello di Jon Fosse è, come ha detto, un Dio «molto lontano e del tutto vicino».

Per quanto sconvolgente possa essere la realtà del male, a Olai basta una nota di bellezza per vedere disperdere le tenebre del male, per vedere precipitare Satana negli inferi. Questo personaggio dice infatti: «in parte lui è in grado di sentire cosa gli vuole dire questo suo Dio quando un suonatore di violino suona bene, sì, allora Dio è presente perché la buona musica nega questo mondo, ma questo non piace a Satana, ecco perché quest’ultimo fa in modo che ci siano sempre problemi e diavolerie di ogni tipo nel luogo in cui si esibisce un suonatore davvero bravo».

Cosa vuole dire Dio quando un suonatore suona bene il suo violino? Olai si pone questa domanda mentre in un’altra stanza sua moglie sta partorendo. Non sa se il bambino sarà maschio o femmina – allora non c’era modo di saperlo – non sa nemmeno se il bambino o la moglie sopravvivranno, tanto rischioso era un tempo l’atto del nascere e del partorire. Sa soltanto che il bambino, un bambino che si affaccia alla vita, con tutta la fragilità di un bambino, nella stanza dove la moglie sta partorendo, quel bambino sta lottando per la vita. Perché egli ardentemente desidera la vita. Forse è proprio questo che, con la sua Parola, vuole dire Dio.

«Il protagonista parla poco» scrive Sara Ricotta Voza su Tuttolibri, «fuma molto e molto pensa, grandi discorsi fra sé e sé, oppure con la moglie che non c’è più, o con l’amico pescatore come lui. E fu sera e fu mattina, primo giorno. C’è un po’ del linguaggio semplice e potente della Genesi in questo racconto quasi biblico di un principio e di una fine, una nascita e una morte, dello stesso uomo».

Jon Fosse è stato accolto nella Chiesa cattolica in età adulta, nel 2012, per seguire la seconda moglie sposata dopo un primo divorzio. Motivando la sua conversione con la semplicità più assoluta: «se è cattolica mia moglie, posso esserlo anch’io. Ma “Mattino e sera” l’ho scritto prima della conversione». Ha detto in un’intervista al New Yorker: «Sento che nella mia scrittura c’è una sorta di riconciliazione. O, per usare una parola cattolica o cristiana, di pace».

È la prima volta che il Premio Nobel per la letteratura va a un norvegese, dopo quello assegnato nel lontano 1928 a Sigrid Undset per il romanzo “Kristin, la figlia di Lavran”, ristampato tra l’altro qualche anno fa in Italia dalla Rizzoli, per la collana della BUR “Biblioteca dello spirito cristiano”. Un particolare curioso: anche la scrittrice Sigrid Undset era una convertita. Dice Fosse: «Noi cattolici norvegesi siamo solo qualche migliaio, ma comunque un’importante minoranza in una società molto secolarizzata, anche se ufficialmente protestante».

La comunità cattolica norvegese conta appena qualche migliaio di fedeli ma è una comunità che ha evidentemente qualcosa da dire. Perché, attraverso questo “resto di Israele” è Dio stesso che vuole parlarci, che vuole dirci che “in principio era il Verbo”. E che la sua Parola sempre ci sarà.

Jon Fosse, premio Nobel per la Letteratura 2023 – WikiMedia / CC BY 4.0

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Paolo Tritto

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