A scuola di gratuità

La 24° Giornata di Raccolta del Farmaco (dal 6 al 12 febbraio) si è conclusa da pochi giorni ma il bilancio di come sia andata a livello nazionale in termini numerici (farmaci raccolti, volontari impegnati) non è ancora stato stilato. Noi però possiamo raccontare quello che è accaduto.

Sabato 10 febbraio, Giornata nazionale di raccolta del farmaco, durante le ore trascorse con l’amica Marta in una farmacia di Matera, abbiamo incontrato molte persone, soprattutto anziane, che hanno risposto generosamente all’invito di donare un farmaco per i ragazzi ospiti della Casa dei giovani, una comunità che accoglie ex tossicodipendenti, pur dicendo di vivere loro stessi nel bisogno. Scambiandoci il saluto all’uscita dalla farmacia ci siamo accorti, osservandoli in volto, di come fare il bene riempia gli occhi di luce.

Per qualcuno è un lusso acquistare un farmaco da banco, ma a volte il motivo non è di natura economica: ce lo spiega Lucilla, una giovane cubana da anni residente a Matera, entrata in farmacia per fare scorte di medicine da inviare nel suo paese tramite la madre, venuta in Italia per un breve soggiorno.

A Cuba, ci ripete, manca tutto, anche farmaci essenziali come la Tachipirina. Le abbiamo raccontato che il Banco farmaceutico, incontrando bisogni di questo tipo, si è ingegnato per far giungere aiuti in paesi come Venezuela, Libano e Ucraina.

Il signor Luigi ci ha avvicinati chiedendo se potesse donare dei farmaci costosissimi rimasti inutilizzati dopo la morte della moglie Paola: si è illuminato quando ha saputo che in quella farmacia era attivo il recupero dei farmaci validi non scaduti.

Di lì a poco era di nuovo in farmacia con due buste piene di medicinali. Da una semplice domanda è cominciato un dialogo e Luigi ha iniziato a raccontarmi della sua vita: ha esordito a voce bassa dicendo di essere “ateo” per poi parlarmi della compagnia fatta alla moglie durante i lunghi anni della sua malattia.

Prima una malattia di cuore che aveva richiesto tre successivi interventi in ospedali fuori regione, poi l’insorgere progressivo di una perdita della memoria che talvolta le impediva di riconoscere il marito.

Il dolore più grande che Luigi ha provato è stato quando la moglie, pochi giorni dopo un ricovero in ospedale, ha contratto il Covid e così, a causa dell’isolamento nel reparto infettivi, non ha potuto più vederla e neanche parlarle a telefono.

Ecco in dettaglio quanto Luigi mi ha raccontato per iscritto:
Il 22 gennaio scorso, ad un mese esatto dal suo ultimo ricovero, ho appreso con grande dolore il suo decesso a seguito di una crisi respiratoria. Sono stato profondamente turbato dalla sua mancanza e dalla sensazione di impotenza di fronte alla sua sofferenza, alla sua solitudine, nella malattia e nella morte.

Mi preme sottolineare che, nonostante le difficoltà, non ho mai messo in discussione la professionalità del personale medico. Tuttavia, non posso ignorare la mancanza di umanità e comprensione nei confronti della sofferenza di mia moglie e dei suoi cari, che sono stati privati dell’opportunità di confortarla e assistere, nella sua malattia e nei suoi ultimi giorni di vita. Non ho avuto l’occasione di vederla nemmeno dopo la sua morte.”

Ha poi aggiunto: “Sono stato felice di aver rispettato il suo desiderio di essere cremata ed ho provato un senso di sollievo nel sapere che ogni segno di sofferenza sarebbe stato subito cancellato. Tuttavia, quel triste ricordo, quell’epilogo doloroso, rimarranno indelebili nella mia memoria, accompagnandomi anche in futuro con la vista che mi si annebbierà sempre, come sta accadendo in questo momento. Desidero porre l’accento su queste problematiche affinché situazioni simili possano essere evitate in futuro, garantendo un trattamento più umano e compassionevole per tutti i pazienti e i loro familiari“.

Il giorno dopo gli ho scritto per ringraziarlo di aver condiviso la sua esperienza e per dirgli della mia sorpresa leggendo questa citazione nella lettera quaresimale del nostro Vescovo: ”Il credente non è che un povero ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere” (Bruno Forte).

Questa frase mi ha ricordato il giudizio di don Giussani sul modo “borghese”, papa Francesco direbbe “mondano”, di vivere la fede: la vera opposizione non è tra fede e ateismo ma tra fede e idolatria!

Durante le ore passate in farmacia ho incontrato anche diversi (ex) pazienti (sono in pensione da un anno) tutti sorpresi di vedermi con la pettorina da volontario: qualcuno ne ha approfittato per chiedere un consiglio medico, altri per domandare quali fossero i farmaci più utili da donare.

Questa giornata mi ha fatto accorgere che tutti abbiamo desideri e bisogni che attendono di trovare una risposta ma che il solo aiuto materiale non basta: la vita ritrova speranza quando si affaccia il bene della gratuità.

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Erasmo Bitetti

Latest videos