Giorgio Parisi, il Nobel che indaga su «caos e sistemi complessi»

Romano classe 1948, allievo di Cabibbo con il quale realizzò il primo supercalcolatore europeo, il fisico della Sapienza è stato insignito della medaglia per i suoi studi sula complessità.

Siamo nell’anno del settimo centenario della morte di Dante e a commento del premio Nobel della fisica conferito al “nostro” Giorgio Parisi rubo il verso dantesco «sì ch’io fui sesto tra cotanto senno» perché, guarda caso, il nome di Parisi da oggi verrà aggiunto nella lista dei prestigiosi “Nobel italiani” dopo una cinquina di tutto rispetto composta da Guglielmo Marconi (1909), Enrico Fermi (1938), Emilio Segré (1959), Carlo Rubbia (1984) e Riccardo Giacconi (2002). E va anche sottolineato l’italianità di questo prestigioso premio perché il riconoscimento non è andato a un fisico emigrato all’estero ma a un fisico che ha lavorato in Italia.

La giuria di Stoccolma ha premiato Parisi per i suoi studi sul «caos e i sistemi complessi» mentre l’altra metà del premio è andata ai climatologi Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann «per la modellazione fisica del clima della terra, che ne qualifica la variabilità e prevede in modo affidabile il riscaldamento globale». L’argomento del clima è oggi di grande attualità e lo stesso Parisi, dopo aver appreso l’annuncio della vittoria, si è subito allineato coi due colleghi neo premiati dichiarando che sul tema del clima «è urgente prendere decisioni forti e muoversi velocemente».

Romano, classe 1948, Giorgio Parisi si laurea in fisica alla Sapienza di Roma nel 1970 con Nicola Cabibbo nonostante i genitori lo avessero voluto ingegnere. Lui, però, indeciso se scegliere la matematica o la fisica, scelse quest’ultima attirato soprattutto dalla possibilità di fare ricerca. E alla ricerca si è dedicato anima e corpo soprattutto per cercare di mettere d’accordo due concetti diametralmente opposti, il caos e l’ordine.

La fisica si è sempre occupata di fenomeni prevedibili e ripetibili. Famosissima, a questo proposito, l’affermazione di Laplace secondo la quale se un matematico «estremamente abile» conoscesse le condizioni iniziali dell’universo potrebbe calcolare tutto il futuro dell’universo stesso. Da qualche decennio, però, la fisica si è dovuta arrendere di fronte alla complessità dei fenomeni comuni che non sempre mostrano la caratteristica della prevedibilità.

La nostra atmosfera, ad esempio, è un sistema estremamente complesso e imprevedibile così come lo sono l’economia globale, i crolli della borsa e gli organismi viventi, dove la mutazione di un solo gene può trasformare una cellula sana in una cellula malata e dunque pericolosa per la salute dell’organismo. Anche il funzionamento della cellula, ad esempio, è descritto dall’azione di centinaia di migliaia di diversi tipi di proteine mentre nel nostro cervello 10 miliardi di neuroni interagiscono fra loro attraverso centomila miliardi di collegamenti (le sinapsi).

Eppure anche questa “complessità” che sembra sfuggire ai principi dell’ordine può essere descritta con leggi e regole. E nel 1979 Parisi, insieme al fisico argentino Miguel Virasoro, ha elaborato il primo modello teorico dei cosiddetti “vetri di spin”, una speciale lega di oro e di ferro che rappresenta il tipico esempio di sistema “complesso”. Ma Parisi non si è limitato a studiare gli aspetti teorici e ha fatto di più. Una volta, ha spiegato Parisi, gli strumenti teorici in mano ai matematici e ai fisici teorici erano semplicemente un foglio di carta e una matita. Oggi, invece, tutto questo non basta più perché la messa a punto di certi modelli teorici richiede calcoli che è impossibile fare a mano. E proprio per questo nel 1980 Parisi ha diretto, in collaborazione con Cabibbo, la costruzione di Ape (acronimo diArray processor experiment), il primo “supercalcolatore” europeo messo a disposizione dei ricercatori in grado di eseguire un miliardo di operazioni al secondo.

Considerato al momento il miglior fisico italiano e fra i più autorevoli a livello mondiale, Parisi ha iniziato a occuparsi di fisica delle alte temperature presso i Laboratori Nazionali di Frascati per poi passare alla Columbia University di New York e all’École normale supérieure di Parigi. Si è occupato anche di particelle elementari, di meccanica statistica, di fisica matematica, di cromodinamica quantistica e di metodi fisici applicati alla biologia dimostrando grande versatilità e soprattutto, come ha sottolineato il Presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare Antonio Zoccoli, la capacità di trasferire sul piano concreto i suoi lavori, spesso precorrendo i tempi. Ha avuto anche il suo quarto d’ora di celebrità quando recentemente, in un programma televisivo, contestò il virologo Matteo Bassetti a proposito della campagna vaccinale del coronavirus; fece discutere anche quando nel 2008 sottoscrisse un appello contro il rettore della Sapienza per il suo invito a papa Benedetto XVI in apertura dell’anno accademico.

Gli altri scienziati insigniti del Nobel presentano un curioso denominatore comune. Entrambi, infatti, sono novantenni. Manabe, noto per i suoi studi sull’utilizzo del computer per le simulazioni climatiche, ha compiuto nel settembre scorso novant’anni mentre Hasselmann, noto oceanografo ed esperto in modelli climatici, ha un anno in meno. Bellissimo esempio di operosa lucidità.

Di Franco Gàbici dal sito di Avvenire di martedì 5 ottobre 2021

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