Giorno della Memoria. Carlo Levi racconta l’inenarrabile genocidio attraverso i suoi quadri e i suoi scritti

Quest’anno, il Giorno della Memoria cade in un momento difficile per il riaccendersi del conflitto tra palestinesi e israeliani dopo l’attacco terroristico ad Israele del 7 ottobre scorso e la dura reazione di Israele.

Gli articoli 1 e 2 della legge n. 211 del 20 luglio 2000 definiscono così le finalità e le celebrazioni del Giorno della Memoria:

Art.1 – “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Art. 2 – In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.”

Scrittore e pittore, Carlo Levi nasce a Torino da una famiglia ebraica, che segnerà irrimediabilmente il suo destino durante la seconda guerra mondiale con le persecuzioni nazifasciste.

Fu così che Carlo Levi diventò militante nel movimento Giustizia e Libertà, quando il regime fascista promulgò le leggi razziali e subì una forte repressione che lo confinò nelle terre lontane della Lucania, prima a Grassano e poi ad Aliano.

Egli scrive: “La paura della libertà è il sentimento che ha generato il fascismo. Per chi ha l’animo di un servo, la sola pace, la sola felicità è nell’avere un padrone e nulla è più faticoso e veramente spaventoso dell’esercizio della libertà” (Paura della Libertà- Einaudi 1946). Inoltre: “La Resistenza è stata un grande fatto rivoluzionario di cultura. Di cultura come creazione di una nuova realtà umana, intesa come attuazione della libertà; come ingresso nell’esistenza, nella coscienza e nella storia di milioni di uomini nuovi, portatori, nel loro farsi persone, di nuova realtà, di nuove espressioni, di nuovi linguaggi, di nuovi contenuti poetici.” (Il Dovere dei Tempi – Prose politiche e civili – Donzelli Editore). Queste parole racchiudono la forza del suo pensiero e del suo impegno.

Carlo Levi racconta l’olocausto con ogni strumento a sua disposizione. Lo fa sia scrivendo, ma soprattutto con la passione della pittura attraverso la quale non tralascia nessun piccolo particolare per rappresentare le atrocità commesse, per non essere dimenticate, ma restare impresse nella memoria di ognuno perché non accada mai più.

Nel 1942 Carlo Levi, dopo il confino, si rifugia a Firenze dove nelle fila della resistenza partecipa attivamente e da intellettuale alla guerra di liberazione. E proprio a Firenze dipinge un quadro dal nome: “le donne morte o campo di concentramento” (il lager presentito).

Un dipinto profetico in cui si osservano cumuli di scheletri e cadaveri, realizzato tre anni prima della scoperta degli atroci campi di sterminio da parte degli Alleati. Il dipinto “Donne morte o campo di concentramento” mette in primo piano e in risalto, corpi martoriati da torture, da privazioni, da non sembrare più esseri umani, distrutti nel corpo e nella mente.

Corpi uno sull’altro, ammassati come rifiuti, che mostrano tutta l’atrocità e drammaticità dei fatti verificatisi in quegli anni, che segnano il confine estremo del male, la ferocia e la crudeltà di esseri umani contro i propri simili. Carlo Levi in questo quadro di corpi ormai inermi, riesce a trasmettere e a far sentire, attraverso il modo in cui i corpi sono ammassati, il dolore sia del corpo, sia le urla dell’anima, un torto disumano, che resta indelebile in chi osserva e si chiede come sia stato possibile. Corpi privati di tutto e della dignità, sui cui non dovrà mai spegnersi la luce della memoria.

Quest’anno, il Giorno della Memoria cade in un momento difficile per il riaccendersi del conflitto tra palestinesi e israeliani dopo l’attacco terroristico ad Israele del 7 ottobre scorso e la dura reazione di Israele. Al di là dei torti e delle ragioni delle parti in causa, dobbiamo augurarci che prevalga il buon senso se la vita di ogni essere umano ha un valore.

“E il pensiero ogni giorno va alla gravissima situazione in Israele e in Palestina. Sono vicino a tutti coloro che soffrono, palestinesi e israeliani. Li abbraccio in questo momento buio. E prego tanto per loro. Le armi si fermino, non porteranno mai la pace, e il conflitto non si allarghi! Basta! Basta, fratelli, basta! A Gaza, si soccorrano subito i feriti, si proteggano i civili, si facciano arrivare molti più aiuti umanitari a quella popolazione stremata. Si liberino gli ostaggi, tra i quali ci sono tanti anziani e bambini. Ogni essere umano, che sia cristiano, ebreo, musulmano, di qualsiasi popolo e religione, ogni essere umano è sacro, è prezioso agli occhi di Dio e ha diritto a vivere in pace. Non perdiamo la speranza: preghiamo e lavoriamo senza stancarci perché il senso di umanità prevalga sulla durezza dei cuori”. (Papa Francesco –  a conclusione Angelus del 12 novembre 2023 -Vatican News)  

Donne morte, 1942, Carlo Levi, Fondazione Carlo Levi Roma

E’, infine, opportuno ricordare Elisa Springer che ha ricevuto il 10 dicembre 2002 la cittadinanza onoraria di Matera che scrive: «L’odio è come un grande fiume che quando straripa trascina con sé tutto quello che incontra. I sopravvissuti sono tornati e in silenzio, per tanti anni, hanno ripreso in mano quello che era rimasto delle loro vite, private di tutto, affetti, cose, case. E soprattutto dell’innocenza di essere vivi. Non avevano fatto niente per sopravvivere, avevano avuto fortuna, avevano mantenuto salda la convinzione di dovercela fare a vivere in un luogo dove la selezione tra la vita e la morte era una pratica quotidiana, un pericolo costante».

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Marino Trizio

Latest videos