Giovedì Santo: eucaristica, sacerdozio e carità

Il Giovedì Santo ci riporta alla messa "in cena Domini": forse tutti sappiamo che l'ultima cena è stata la prima messa ma a qualcuno sfugge qualcos'altro che questa celebrazione commemora e questo giorno ci vuol dire.

C’è aria di Pasqua!

In alcune Diocesi, anche in Basilicata, questa mattina si celebra la Messa del Crisma, che nella nostra Chiesa locale abbiamo celebrato ieri sera. Il pomeriggio è ovunque dedicato alla Messa “in Coena Domini”, nella cena del Signore: la cosiddetta “ultima” cena, che in questa celebrazione si commemora.

Con la messa “in Coena Domini” si apre il triduo pasquale, la tre giorni che ci fa far memoria del mistero più grande della nostra fede: Cristo morto, sepolto e risorto.

L’ultima cena è la prima Eucaristia: istituzione dell’Eucaristia

Non è “messa di precetto” ma è forse la messa che il popolo di Dio sente più di ogni altra in tutto l’anno.

È la celebrazione in cui si commemora l’istituzione dell’Eucaristia nell’ultima cena e, più di ogni altra – a dispetto della usuale partecipazione sovrabbondante di fedeli – ha il vero carattere di una cena, intima, tale da riportarci tutti in quella stanza del piano superiore in cui Gesù desiderò ardentemente consumare la Pasqua con i suoi apostoli.

Il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia che la liturgia, come ogni anno, stasera ci propone è quello più antico, tratto dalla prima lettera ai Corinzi (1Cor 11,23-26).

Il comandamento dell’amore

E il Vangelo ci parla della Lavanda dei Piedi, compiuta dopo aver mangiato agnello arrosto, azzimi ed erbe amare, secondo il menu e il cliché che la prima lettura di stasera (Es 12,1-8.11-14) ci ricorderà. Ancora quest’anno in molte realtà, per ragioni di emergenza sanitaria, si è deciso di non riproporre la lavanda dei piedi, un segno non obbligatorio seppure molto eloquente e suggestivo che il brano evangelico comunque ci ricorda. È l’ultimo messaggio che Gesù lascia ai suoi: “servire è regnare”. E spesso l’ultima cosa detta è la raccomandazione più importante. Dopo l’istituzione dell’Eucaristia, è questo il secondo aspetto che il giovedì santo ricorda e ci ripropone: il comandamento dell’amore.

L’istituzione del sacerdozio

Infine, seppur non sia esplicitamente richiamato dalla Parola di Dio, il giovedì santo è giorno in cui la Chiesa ricorda anche l’istituzione del sacerdozio ministeriale e giornata di santificazione per i sacerdoti. Sacerdoti sono tutti coloro che, dopo gli apostoli, hanno continuato quello che Gesù ha fatto nell’ultima cena: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”, “Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”. Di fatto nell’ultima cena, nasce un nuovo sacerdozio in cui il sacerdote offre se stesso come vittima. Come già la messa crismale ci ha ricordato non è superfluo supportare, sempre, ma in questo giorno in particolare, i sacerdoti con la nostra preghiera e vicinanza.

Vegliate e pregate

Dopo la ricca celebrazione “in Coena Domini”, c’è l’uso, in seconda serata, di fermarsi in adorazione eucaristica all’altare della reposizione. Qual è il significato di questa tradizione? Dopo l’ultima cena, in preda all’angoscia per la croce che lo attendeva di lì a poche ore, Gesù si fermò in preghiera nell’orto degli ulivi. Portò con sé gli apostoli a cui chiese di pregare insieme a Lui. Ma si addormentarono. E noi, memori di quella storia, vogliamo invece vegliare, come per fare compagnia a Gesù.

Inoltre, l’adorazione all’altare della reposizione è occasione per meditare sul mistero eucaristico, contemplando questo dono che nasce per noi proprio nell’ultima cena da poco conclusa.

Buon giovedì santo e santo triduo Pasquale a tutti.

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Giuseppe Longo

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