Il calo delle nascite, il desiderio della vita, il pensiero di Madre Teresa di Calcutta.

A colloquio con don Lush Gjergji, primo biografo della santa.

«C’è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene?» Riporta all’amarezza delle parole del Salmo 34 la notizia del disastroso saldo demografico reso noto dall’Istituto nazionale di statistica per l’anno 2020, secondo il quale, nello scorso anno, il numero dei decessi in Italia è stato doppio rispetto a quello delle nascite, un dato che va ad aggravare una situazione che era già preoccupante.

Dietro questo desolante fenomeno ci sarebbero, secondo l’opinione corrente, due cause riferibili all’emergenza sanitaria e al Covid che avrebbe provocato un maggior numero di morti e un impoverimento delle famiglie le quali, per questo, avrebbero desistito dal mettere al mondo dei figli. A queste cause, se ne potrebbero aggiungere ovviamente molte altre, ma tutto ciò non basta a spiegare le estese dimensioni del calo delle nascite registrato in Italia, un dato che va ad accentuare un trend iniziato, del resto, molto prima della pandemia.

Dietro questo, forse, c’è qualcosa di più importante. Dietro il calo delle nascite c’è forse un calo dello stesso desiderio della vita cui richiamava il Salmo: «C’è qualcuno che desidera la vita?»

Lo chiediamo a don Lush Gjergji, sacerdote albanese di Pristina, primo biografo di Santa Teresa di Calcutta. Dice don Lush: «La questione di fondo, secondo me, è questa: la paura dalla vita e dalla morte. Mi spiego: oggi nella mentalità, ancora più precisamente sotto la “dittatura” del materialismo, consumismo, edonismo, relativismo e ateismo pratico, si vive nella paura e nell’angoscia». È una paura, spiega, che insinua il dubbio di fronte a una nuova vita, il bambino, come dono dell’amore dei genitori, collaboratori di Dio-Creatore.

Il frequente ricorso all’aborto, per esempio, sarebbe frutto di tutto questo. Si giunge a lottare con tutti mezzi possibili, anche con l’aborto, per potersi liberare di questo peso. Con l’aborto si finisce per volersi liberare del “peso” di un bambino ma, in realtà, è contro quell’angoscia che abbiamo dentro che si lotta disperatamente. Per questo Madre Teresa, ricorda don Lush, «nel giorno che ricevette il Premio Nobel per la Pace, ad Oslo, il 10 dicembre 1979, disse: “Fino a quando c’è l’aborto non ci sarà nel mondo la pace”. Chi non è contento della vita e nella vita, prima di tutto “abortisce” la vita stessa, se stesso, l’amore».

Prima dell’eliminazione del bambino non nato ci sarebbe dunque il tentativo di sopprimere il proprio io, un tentativo, una costrizione che non può che essere espressione di quella “dittatura” di cui parlava don Lush all’inizio, ma che in realtà riguarda qualcosa di ineliminabile. Perché tutto ciò che riguarda la vita non può essere soppresso. E per questo inevitabilmente riaffiora, magari alla fine, dice il sacerdote, come «paura della morte, cioè della vecchiaia, della malattia. Oggi si vorrebe accettare solo la parte migliore della vita, la gioventù, che non c’è senza il bambino, l’infanzia… poi inevitabilmente finisce con la vecchiaia e con la morte. Il nostro proverbio albanese dice: “Non c’è la famiglia senza il bambino e la vecchiaia”».

Cosa possiamo fare per recuperare quel desiderio della vita che sembra abbiamo perduto? È proprio per rispondere a questa domanda che Dio manda dei santi. Ricorda don Lush Gjergji: «Come modello per l’Amore, la Vita e la Pace abbiamo l’esempio e la testimonianza di Madre Teresa, la quale mi diceva sempre così: “Dove è la vita in pericolo, là dobbiamo essere noi”. Se non si vive nell’amore e per l’amore, allora non ci sono frutti dell’amore, cioè la vita. Dove manca l’amore e la vita, non c’è la pace. Dobbiamo tornare al “triangolo dell’Amore”: Dio l’Amore – la Vita – la Pace».

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Paolo Tritto

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