“Il popolo canta”, la contagiosa letizia di don Tommaso Latronico

Comunicare l'esperienza e la gioia cristiana nel mondo contemporaneo.

In occasione della recente visita pastorale a Nova Siri, Mons. Vincenzo Orofino, vescovo di Tursi-Lagonegro, ha annunciato al popolo la bella notizia dell’avvio della causa di canonizzazione di don Tommaso Latronico, sacerdote diocesano ma conosciuto e amato anche oltre i confini diocesani, particolarmente per aver guidato le comunità di Comunione e Liberazione in Basilicata, nella fedeltà al carisma del fondatore di questo movimento, il Servo di Dio don Luigi Giussani.

Chi volesse capire chi sia stato don Tommaso si accorgerà subito della particolarità della sua vita di fede e della novità rappresentata dal suo modo di comunicare la fede. Don Tommaso non ha scritto libri, né si dispone, come spesso accade, di una raccolta sistematica delle omelie, delle lezioni o degli interventi pubblici da lui tenuti, nonostante questi fossero sempre seguitissimi. Non è improbabile che dietro tutto ciò ci sia stata una precisa scelta comunicativa di questo sacerdote, un modo per essere più diretto e più adeguato al contesto della realtà – don Giussani diceva che il richiamo cristiano deve essere necessariamente “elementare nella comunicazione”.

Sarebbe troppo ambizioso voler esporre in queste poche righe e in modo esaustivo in cosa sia consistita, per don Tommaso, questa modalità di comunicare la fede che tanto interesse suscitava, soprattutto tra i giovani. Qui vorremmo accennare soltanto a una tra le tante modalità che potrebbero essere rilevate, quella della comunicazione della fede attraverso il canto. Erano canti che don Tommaso attingeva dal repertorio del movimento di CL, ma anche appartenenti alla tradizione popolare, quando per esempio i suoi amici animavano le feste popolari.

Lo ricorda bene chi ha partecipato alle liturgie, alle assemblee di Comunione e Liberazione o alle vacanze vissute insieme, soprattutto in montagna; vacanze non soltanto estive, ma anche invernali o di un fine settimana qualsiasi. In quelle occasioni, il sacerdote di Nova Siri faceva intonare alcuni canti che erano sempre in sintonia con il momento che si viveva o con le parole che si dicevano. Questo perché il contenuto di tutto ciò era sempre la comunicazione di una vita di fede, comunicazione che per sua natura non potrebbe essere che una comunicazione gioiosa. E cosa meglio del canto può esprimere questa gioia, questa letizia?

“Il popolo canta la sua liberazione”1 recita uno dei canti più noti di Claudio Chieffo e che frequentemente don Tommaso proponeva di cantare; “sento la vita che mi scoppia dentro al cuore”, dice il canto e chi si univa al canto, contagiato dal clima gioioso, davvero sentiva ridestarsi il cuore. Questo per dire che uno degli aspetti della santità di questo sacerdote stava non soltanto nell’esposizione delle verità della fede, ma nel comunicare insieme alla verità della fede anche la pienezza della gioia, la felicità che la fede dona, contagiando tutti.

Si è accennato alla passione della montagna di don Tommaso. Un altro canto che egli chiedeva ogni tanto di intonare – “Pim pam”2 di Robi Ronza – faceva: “nella casa là sulla montagna un Signore grande grande sta. […] Una sedia a tutti, a tutti dà, a ciascuno toglierà le scarpe”. Che bella immagine della casa del Signore, della Chiesa! Quanta bontà si riconosce in quel Signore “grande grande”, capace di un’accoglienza che si spinge fino alla sottomissione, fino a “togliere le scarpe” a ciascuno dei suoi figli.

Don Tommaso Latronico annunciava Cristo e il mistero di Cristo con una straordinaria immediatezza. Spesso richiamava le parole de “Il monologo di Giuda”3 – altro canto di Chieffo – per ricordare come probabilmente nel tradimento di Giuda non ci sarà stato propriamente l’interesse per i trenta denari, quanto la delusione del traditore che non vedeva la realizzazione del regno promesso; “passavano i giorni e il regno suo non veniva”. Ma, si chiedeva don Tommaso, “perché non veniva quel regno? Perché era già presente, era Lui presente”. Il tradimento, il peccato consistono dunque nel non riconoscere questa presenza che si impone ai nostri occhi, non riconoscere Cristo che è risorto, che è vivo, che è presente oggi e che opera.

L’aspetto del riconoscimento dell’opera di un Altro, di Cristo all’opera, è un aspetto fondamentale del pensiero di don Tommaso, un argomento che purtroppo non può essere trattato qui. A conclusione di queste note, piuttosto, vogliamo riportare un fatto. Tra gli amici di don Tommaso che lo hanno preceduto “nella casa là sulla montagna” dov’è il riposo eterno, la prima fu Enzina Forleo, proprio lei che animava i canti e che accompagnava l’esecuzione corale con la sua chitarra. Quale sia il misterioso significato della morte della cara Enzina è difficile dirlo. Forse il Padre ha voluto fissare nell’eternità, fare suo per sempre uno dei momenti della feconda vita di fede di don Tommaso, una vita che come ricorda un canto musicato da Adriana Mascagni4, “deve cantare perché canta con un perché”.

Una vita di fede deve cantare. Difficile anche dire quale fosse il segreto della vocazione sacerdotale di don Tommaso. Ma forse il segreto si potrebbe scorgere in un canto sudamericano intonato mille volte e che nel ritornello si domanda “como posso ser feliz?5” Dice questo canto: “Come potrei essere felice se non aprissi il mio cuore al fratello che si trova nel bisogno?” Come potremmo noi essere felici se non portassimo Cristo a chi ha bisogno di Lui?


  1. Il popolo canta (Claudio Chieffo)
  2. Pim pam (Robi Ronza)
  3. Il monologo di Giuda (Claudio Chieffo)
  4. Povera voce (Maretta Campi/Adriana Mascagni)
  5. Balada da caridade (Irene Gomes/Rita de Cássia S. Ribeiro)

Don Tommaso Latronico
Archivio Sergio Stigliano

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Paolo Tritto

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