Il vaccino Sabin, lo zuccherino che sconfisse la poliomielite

Sessant'anni fa partiva in Italia la campagna vaccinale antipolio, tra contrasti anche più accesi di quelli con gli odierni no-vax.

Con un podcast su Winston di HuffPost, Pierluigi Battista ha voluto ricordare l’introduzione in Italia, sessant’anni fa, del vaccino antipolio Sabin. Nei decenni a cavallo della Seconda guerra mondiale il mondo era alle prese con il dilagare della poliomielite, una terribile malattia che colpisce particolarmente i bambini sotto i cinque anni di età, procurando loro paralisi di varia entità e non raramente la morte.

Fu una vera strage di bambini, anche se non colpiva soltanto loro. Il presidente degli Stati Uniti F.D. Roosevelt, per esempio, ne rimase contagiato in età adulta e la sua paralisi, come si può capire, condizionò non poco il suo mandato presidenziale che sarebbe stato, tra l’altro, oltre che eccezionalmente lungo, anche impegnato nel far fronte alla tragica realtà della guerra. Questo può far capire quanto fortemente, almeno nell’immaginario collettivo, la realtà della polio pesasse sul mondo intero.

L’Italia non fu esente dal flagello e in particolare le regioni meridionali dove il contagio mieteva il maggior numero di vittime, a causa delle precarie condizioni igieniche.

Per tener testa al diffondersi di questa malattia, in Italia era stato già approvato un vaccino messo a punto da Jonas Salk che però non stava dando i risultati sperati, pur avendo una comprovata efficacia. Intanto Albert Sabin aveva messo a punto un suo vaccino, il cui punto di forza era la facile somministrazione: bastava ingerire una zolletta di zucchero con delle gocce del farmaco. Mai medicina fu assunta tanto volentieri dai bambini.

Eppure il percorso per fare approvare il vaccino Sabin dalle autorità sanitarie italiane non fu per niente facile. Un po’ perché anche allora c’erano i no-vax come se ne sono visti con il Covid e, tra l’altro, i no-vax di allora avevano un potere ben maggiore, tale da condizionare decisamente l’azione di governo. Un po’ perché il governo italiano aveva impegnato notevoli risorse del bilancio statale per la produzione del vaccino Salk che, tra l’altro, da un punto di vista strettamente scientifico sembrava più affidabile del Sabin che esponeva i vaccinati in alcuni casi, sebbene rarissimi, a effetti collaterali.

Nel paese intanto l’epidemia sembrava inarrestabile. Nell’estate del 1958 la polio fece registrare il picco. Secondo i dati del ministero, furono allora 8.377 i bambini rimasti paralizzati. Questa cifra si riferisce ai casi denunciati e ciò fa pensare che i casi abbiano superato in realtà i diecimila. Oltre a paralizzare gli arti, la polio talvolta immobilizza i muscoli del torace, impedendo la respirazione; in questo caso i bambini sarebbero stati condannati a vivere per sempre all’interno di un polmone d’acciaio.

La situazione era dunque a dir poco drammatica e purtroppo il governo dell’epoca non mostrava la capacità di prendere decisioni risolutive. A sbloccare la situazione intervenne una di quelle crisi politiche che allora, per la verità, si susseguivano molto frequentemente. Si dice che non tutto il male viene per nuocere, quella crisi di governo fu sicuramente uno di questi casi. Nel 1963, Aldo Moro aveva ricevuto l’incarico esplorativo per formare un nuovo governo e, tra non poche contestazioni, aveva proposto un’apertura ai partiti di sinistra. Il 3 dicembre si varò il primo governo Moro, primo governo di centrosinistra che vedeva nella sua formazione, assieme alla Democrazia Cristiana, il PSI, il PSDI e il PRI.

Il Ministero della sanità, come si chiamava allora, venne affidato al socialista calabrese Giacomo Mancini il quale, forse perché fuori dai giochi di potere della vecchia classe politica, forse perché il suo giornale di partito l’Avanti aveva pubblicato una clamorosa inchiesta giornalistica per denunciare l’ostruzionismo verso il vaccino Sabin, era deciso a recuperare il tempo perduto per far partire una massiccia campagna vaccinale.

Le resistenze che Mancini doveva affrontare a Roma però non erano di poco conto. Basta considerare quello che ha scritto Paride Leporace su Affari Italiani del 17 marzo 2021, a proposito del precedente ministro della sanità Camillo Giardina, ministro che «si mostra molto ostile al nuovo vaccino e nega l’autorizzazione alla libera vendita, in farmacia, del Sabin e ne blocca la produzione, negli stabilimenti italiani». Si giunse persino a insinuare che i vaccinati, non soltanto non fossero immuni, ma che una volta assunto il vaccino potessero trasmettere la poliomielite anche ad altri. Insomma: “Dagli all’untore!”

Il ministro Mancini deve incontrare Albert Sabin a Vibo Valentia, molto lontano dalla capitale dunque; ma alla fine la spunterà.

«Il primo marzo del 1964, l’Italia parte con un mega-programma di vaccinazione per combattere la malattia, che diventerà obbligatoria nel 1966» scrive Leporace. «Nel 1965, i casi scesero a 841, nel 1966 a 147, nel 1971 i bambini, affetti da poliomielite, sono solo 15. L’ultimo caso italiano è registrato nel 1982».

Albert Sabin non dimenticò mai quei giorni della campagna vaccinale italiana e la determinazione del ministro calabrese. «Pare si chiamasse Mancini» disse anni dopo.

Proprio mentre in Italia si ricordavano i sessant’anni di questa campagna vaccinale, moriva in America Paul Alexander, un texano vissuto per settant’anni dentro un polmone d’acciaio; una condizione che però non gli aveva impedito di vivere la sua vita, giungendo anche a conseguire la laurea in legge. Alla sua morte è stato ricordato dai giornali di tutto il mondo, compreso l’Osservatore Romano. Anche in Italia ha fatto parlare di sé Rosanna Benzi che divenne apprezzata scrittrice, giornalista e paladina dei diritti umani, pur all’interno della macchina che gli garantiva la ventilazione artificiale. 

Pierluigi Battista, concludendo il suo podcast, ha ricordato il percorso accidentato di quell’epica battaglia contro la poliomielite, con queste parole: «c’erano i no-vax allora, ci sono i no-vax adesso. Insomma, i no-vax ci sono sempre. Ma la poliomielite non c’è più».

Bundesarchiv, B 145 Bild-F025952-0015 / Gathmann, Jens / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 DE, via Wikimedia Commons

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Paolo Tritto

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