Intervista a monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo, nella diocesi delle “chiese rupestri”

E a settembre a Matera, la “città dei Sassi”, si terrà il Congresso eucaristico nazionale con il Papa.

Da VITA PASTORALE di marzo 2022-Estratto. Di Marco Roncalli – giornalista e scrittore

Monsignor Caiazzo lei nel 2016 arrivava in Basilicata per guidare una comunità dalla lunga storia. Una diocesi che, unita per secoli a quella di Acerenza, ne è stata staccata nel 1954, mentre nel 1976 ha visto la fusione con quella di Irsina. Quali le tappe di questo suo pezzo di episcopato?

«Da quando sono arrivato in Basilicata ho scoperto un mondo sconosciuto: avevo spesso attraversato la regione, ma senza fermarmi. Ecco: ho subito amato questa terra. Godendo delle sue meraviglie e, nello stesso tempo, soffrendo per le sue criticità. Ho avvertito l’urgenza di conoscere la storia di questa Chiesa, apprezzandone l’enorme lavoro dei miei predecessori. In particolare ho ritenuto opportuno capire i risultati dell’ultima visita pastorale conclusa dal mio predecessore. Ho colto che il suo intento era celebrare un Sinodo Diocesano. Cosa che ho maturato con i Vicari e il Collegio dei Consultori e ho condiviso nel Consiglio Presbiterale, ponendo all’attenzione dell’intera diocesi dopo un anno di discernimento un percorso sinodale. Un’altra sfida è stata quella di Matera Capitale Europea della cultura. Ci ha lavorato intensamente anche una commissione diocesana. Attraverso “Terre di luce” e il “Parco Culturale Ecclesiale” ha presentato oltre 110 iniziative che ho fortemente voluto venissero realizzate in tutta la Basilicata, quale segno di Chiesa in uscita dai propri confini. Fra i ricordi ci sono poi la festa di “Avvenire”, incontri aperti a tutti e con protagonisti di diversi ambiti, la Settimana Liturgica Italiana, il Convegno Nazionale di Caritas Italiana, l’incontro con le Confraternite d’Italia… Significativi gli incontri con gli imam e i rabbini d’Europa, con il Presidente Mattarella, il Presidente Europeo Sassoli, l’allora premier Conte, ministri. Una Chiesa presente sul territorio, ma in dialogo con il mondo».

Si ricorda? La chiamavano don Pino e a Crotone celebrava messa nel sottoscala di un condominio?

«Essere chiamato Don Pino da tutti è la cosa più bella. Lo è stato in passato. Lo è oggi. E’ bello entrare nelle comunità parrocchiali, o in un Bar, o nelle scuole e dialogare senza creare distanza con dei titoli. Il pensiero a quando celebravo in un sottoscala o sui marciapiedi? Mi fa vivere con più entusiasmo il mio attuale ministero».

Tre anni di visita pastorale e il già ricordato Sinodo della nuova arcidiocesi di Matera – Irsina: come hanno inciso sulla diocesi?

«Questo percorso è stata la conseguenza della Visita Pastorale di monsignor Salvatore Ligorio. E anche la risposta all’invito di Papa Francesco al Convegno di Firenze. Si è lavorato sodo per tre anni, ascoltando le comunità parrocchiali, le realtà dentro e fuori della Chiesa, e attraverso l’instrumentum laboris Vino nuovo in otri nuovi”, dopo tutte le sessioni sinodali, siamo arrivati ad approvare il documento finale. Ora, con il percorso sinodale avviato dalla Chiesa italiana, siamo nella fase di attuazione dello stesso. Che di fatto si prefiggeva già di vivere la sinodalità come stile di vita…».

Come ogni vescovo, anche lei non fa tutto da solo, parliamo dei suoi collaboratori

«Vede, la prima cosa detta ai miei confratelli è stata: “io da solo, senza di voi che siete in prima linea sul territorio, non posso fare niente”. Lo stesso vale per i laici. C’è un clero che lavora, che guarda al bene dei fedeli, capace di dare la vita per il Vangelo…»

L’età media?

«Il nostro clero è abbastanza giovane. In questi sei anni ho ordinato 10 sacerdoti e un vescovo, monsignor Rocco Pennacchio. Attualmente nel Seminario interdiocesano di Potenza ci sono 12 seminaristi e uno in quello di Catanzaro. Anche il laicato è ben attivo sul territorio e negli uffici di Curia. Nell’elezione del nuovo Consiglio pastorale diocesano, quale primo segno concreto del Sinodo diocesano, i componenti come età media hanno tra i 40-50 anni. Sì, alcuni hanno fra i 60-70 anni, ma ci sono pure giovani tra i 25-30».

Arriviamo al grande appuntamento di quest’anno: “Torniamo al gusto del pane. Per una chiesa eucaristica e sinodale”, il XXVII  Congresso eucaristico nazionale, qui a Matera in settembre: attenzione massima sul mistero celebrato, adorato e testimoniato. E collaborazione massima…

«Per noi sarà un anno impegnativo per l’organizzazione e perché si incomincerà a mettere in atto quanto detto dal Sinodo diocesano: iniziamo il cammino sinodale partendo dall’eucaristia “fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa”, come dice la Lumen gentium.  I delegati di ogni Chiesa locale si incontreranno in questo marzo, in una “tre giorni” che li vedrà protagonisti nel fare propri i contenuti, nelle proposte, nella visita dei luoghi più significativi della città. Così, dal 22 al 25 settembre, con tutte le delegazioni celebreremo il Congresso con stile sinodale anche in tutte le diocesi d’Italia. Abbiamo tre commissioni già al lavoro da tempo: quella nazionale con la quale ci siamo già incontrati tre volte – due volte a Matera e una volta a Roma, quella regionale e quella diocesana. Tutti gli uffici diocesani sono stati chiamati a dare il loro apporto».

Non mancherà Papa Francesco, a trent’anni dalla visita di papa Wojtyla…

 «In regione, ma soprattutto a Matera, si vive già l’attesa di Papa Francesco che speriamo ci raggiunga al termine del Congresso, domenica 25 settembre. Con le autorità stiamo vagliando cosa fare concretamente affinché sia il Congresso che la visita del Santo Padre riescano nel modo migliore. Sì, siamo anche a 30 anni dalla visita di San Giovanni Paolo II . Era la seconda volta che tornava in Basilicata La prima per consolare la gente dopo il terremoto del 1980».

“Chi si nutre del Pane di Cristo, non può restare indifferente dinanzi a quanti non hanno pane quotidiano”. Così il papa ha ridefinito il rapporto tra eucarestia e carità. Anche qui è la Caritas a impegnarsi di più su questo fronte. Vero?

«Vede, una caratteristica che animava la vita sociale qui al Sud Italia era il vicinato. Nei Sassi si è maggiormente sviluppato in una micro-aggregazione con più famiglie che avevano le loro case-grotta in una forma urbana attorno ad una piccola piazzetta. Ogni famiglia era di sostegno all’altra… Il mondo nel quale viviamo è cambiato tantissimo. Ma il nostro stile è stare accanto a povertà vecchie e nuove senza farci pubblicità. La Caritas diocesana sostiene e coordina quelle parrocchiali su tutto il territorio: come assistenza e come accompagnamento attraverso i centri di ascolto e di formazione».

Nei suoi anni in diocesi, accanto a quelle già esistenti, sono sorte nuove realtà…

«Sì abbiamo diverse case: una per famiglie di immigrati a Terzo Cavone (Scanzano Jonico);  a Madonna della Bruna a Matera;  ci sono la “Casa della dignità” (Casa Betania) a Serra Marina; “Casa S. Marta” a Bernalda; “Casa Anna Carla” e “La Tenda” a Matera; “Casa Don Tonino Bello”, in parrocchia San Rocco.. Inoltre, a Matera abbiamo aperto la dispensa “Cibus” per la raccolta delle eccedenze alimentari e rimangono sempre aperte due mense: la “Don Giovanni Mele” a Piccianello (Parrocchia della Visitazione) e quella di “San Rocco”. Da poco abbiamo iniziato lavori per una mensa più grande …».

Lei ha messo a disposizione strutture parrocchiali per la somministrazione del vaccino…E da tempo vigila sul sistema sanitario locale: è cambiato qualcosa?

«Sì, nel momento dell’emergenza ho sentito il bisogno, con i parroci, di mettere a disposizione i nostri spazi. Per il resto ho sempre voluto esprimere la preoccupazione generale di fronte ad un sistema sanitario locale fragile, che rischia pure grossi tagli quanto a presidi fondamentali. No. Non possiamo accettarlo. Cosa è cambiato? Si stanno succedendo diversi direttori generali presso l’azienda sanitaria. Ma viviamo ancora tutti preoccupati aspettando certezze».

A Matera c’è una Casa circondariale, lei vi si è recato nell’ultimo Natale. Cosa può fare concretamente la pastorale carceraria?

«Da quando sono arrivato a Matera, la prima messa che ho chiesto di celebrare è stata tra i detenuti. Da allora ad ogni Natale, Pasqua e solennità importanti mi reco sempre a celebrare e visitare i detenuti, così come faccio con la Rems di Tinchi (Pisticci). Insieme a un gruppo di laici e il cappellano della Comunità dei Frati Minori presenti al Santuario della Palomba, si sta attuando una pastorale di vicinanza, ascolto, catechesi, preparazione della messa. E’ commovente vedere il coro dei detenuti che anima la liturgia. Penso spesso a loro, che il Covid ha finito per isolare del tutto: interrotti i rapporti con i familiari, volontari, insegnanti, gli operatori. Proprio a Natale mi hanno reso partecipe di questa sofferenza ancora più grave…».

A Matera ci sono sedi dell’Università della Basilicata e di Foggia: la pastorale universitaria riesce a coinvolgerli?

«Un dramma della Basilicata — come in tutto il Sud- sta nello spopolamento giovanile. Qui ogni anno circa 1.500 giovani vanno via per gli studi o il lavoro. E’ triste. Sappiamo che la maggior parte degli studenti non ritornerà più. Quando anni fa, con il delegato per la pastorale giovanile, a Milano incontrammo i nostri universitari, mi dissero: noi vorremmo rientrare, ma per fare cosa? Incontrai anche il Preside, il Rettore e professori per intavolare una collaborazione con l’Università Cattolica e il “Toniolo” affinché i nostri giovani potessero ritornare. Abbiamo iniziato un percorso che, attraverso docenti universitari in alcune scuole superiori di Matera, Melfi e Potenza, ha coinvolto oltre un centinaio di studenti. Per la prima volta nella sua storia è stato organizzato il Convegno dell’Università Cattolica a Matera. Purtroppo la pandemia ha interrotto ogni cosa. Speriamo di riprendere. Nel frattempo siamo riusciti ad avere nella sede dell’Università di Matera una presenza stabile inaugurando una cappella dedicata a Edith Stein. Ho nominato un gruppo di preti e laici che garantisce, a turno, una presenza tra i giovani».

Matera custodisce straordinarie ricchezze storico-artistiche di carattere religioso: dalla cattedrale alle chiese rupestri. Riuscite a valorizzarle?

«Guardi è di poche settimane fa la scoperta di altre quattro chiese rupestri. Nel famoso incontro con gli imam e i rabbini, si diceva che in un caso si trattasse di una sinagoga,  L’abbiamo visitata. E secondo i rabbini si tratta della Sinagoga più antica d’Europa. Matera è uno scrigno unico. Chi viene rimane incantato solo a vederla, quando poi entra nelle viscere della sua terra resta senza parole. E’ quanto provano tutti i visitatori. Lo stesso è stato per il G7 dell’economia prima e del G20 nel 2021. Nella nostra Chiesa sono nate alcune cooperative, frutto del Progetto Policoro sostenuto dalla CEI, che lavorano con competenza sull’intero territorio. Lungo l’anno organizzano mostre a carattere culturale, spirituale, momenti di riflessione, concerti, itinerari, che diventano un’opportunità per un tuffo nella storia meditando e pregando».  

La Fiat a Melfi, il petrolio in Val d’Agri, il turismo legato al patrimonio culturale, al mare vicino, alle colline… Per altri qualche sito per stoccare scorie radioattive. Quale il modello di sviluppo più connaturale a questa terra?

«Come vescovi della Basilicata in un comunicato congiunto abbiamo ribadito che qui come ovunque al centro del vivere sociale non si deve porre la concorrenza, ma la solidarietà, la fedeltà agli impegni assunti con i lavoratori insieme all’iniziativa privata. E’ pure la via indicata dalla Costituzione. Tra Puglia e Basilicata i luoghi ritenuti potenzialmente idonei ad ospitare rifiuti radioattivi sono 17. Solo in Diocesi sono stati individuati a Matera, Irsina, Bernalda, Montalbano, Montescaglioso. Come Chiesa ci siamo da subito mossi per capire, coinvolgendo esperti e confrontandoci con le istituzioni. Il nostro è un territorio che, negli anni, è già stato ferito seriamente attraverso forme di inquinamento, soprattutto nella Val Basento e nella zona di Scanzano Jonico. E il numero di morti per tumore è eloquente».

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