La libertà di educazione è la drammatica posta in gioco in Afghanistan

Principali obiettivi dell'aggressione talebana sono le scuole e in particolare l'istruzione femminile

Sono sotto gli occhi di tutti le tante ferite inferte al popolo afghano, provocate dal terrore talebano che, come un ladro nella notte, al termine di questa infuocata estate si è impadronito di una terra remotissima ma che negli ultimi tempi il mondo intero aveva cominciato a conoscere e ad amare.

I mezzi d’informazione e i social rilanciano le raccapriccianti immagini di quanto sta avvenendo in Afghanistan. Ma è giusto anche ricordare ciò che pochi stanno ricordando in queste concitate ore, forse per l’urgenza di riportare gli aspetti più strettamente legati alla cronaca. Il fatto cioè che la battaglia più importane, quella decisiva, che è in corso in Afghanistan riguarda la libertà di educazione.

È la battaglia per quello che potremmo definire il principale dei diritti, poter cioè liberamente garantire alle nuove generazioni un percorso educativo che consenta loro di elevare la propria condizione umana e di poter raggiungere la piena realizzazione di sé. La possibilità, per dirla in altre parole, di seguire liberamente i sogni giovanili, di poter immaginare un futuro secondo i desideri del cuore. In fondo i giovani, nella loro semplicità, non chiedono che essere amati nella loro libertà, non nell’immagine che noi ci facciamo di loro, non per i progetti che noi costruiamo su di loro.

Purtroppo le prime dichiarazioni dei talebani, dopo la presa della capitale Kabul, vanno nel senso contrario. Sono il divieto imposto alle ragazze di frequentare la scuola e di poter trovare un lavoro degno. Cioè, poter realizzare qualcosa di migliore del triste destino che i nuovi, sanguinari despoti hanno immaginato per loro.

L’agenzia afghana Khaama Press informa inoltre di una prima fatwa diretta alle università del distretto di Herat, con la quale si fa divieto di formare classi miste nei corsi universitari, un provvedimento che in sostanza impedisce alle donne l’accesso all’istruzione universitaria, dal momento che le università non sono in grado di raddoppiare le cattedre universitarie. Le risorse di cui dispongono le università afghane sono limitate – ma in fondo sarebbe difficile realizzare ciò in qualsiasi altra parte del mondo – ed è inevitabile che si giungerà quindi a negare l’accesso alle donne.

Questo giornale ha già riportato il commento di Marina Corradi pubblicato su Avvenire riguardo a una foto che è circolata in questi giorni, in cui si vede una bambina tentare di scavalcare, spinta dai genitori, il muro dell’aeroporto di Kabul, in cerca di un futuro di libertà.

ll pensiero non può non andare all’8 maggio scorso, quando un’autobomba ha colpito la scuola Sayed-ul-Shuhada, nel quartiere di Kabul abitato in prevalenza dalla minoranza sciita degli hazara. L’esplosione, che è stata seguita dal lancio di due razzi, ha colpito la scuola nelle ore del turno delle classi femminili, provocando la morte di oltre ottanta ragazze e ferendone 150, alcune in modo grave.

In quella occasione, un portavoce dei talebani ha dichiarato la loro completa estraneità rispetto all’attentato. Ma appena quattro giorni dopo un altro attentato ha colpito un reparto maternità di un ospedale che Medici senza frontiere gestisce sempre nel quartiere degli hazara a Kabul. Si conteranno anche qui dei morti e anche in questo caso in prevalenza donne: sedici tra mamme, infermiere e bambini, tra cui due neonati.

Nel sistema repressivo messo in atto dai talebani, l’etnia hazara è quella maggiormente perseguitata tra tutte le minoranze presenti sul territorio afghano, se di minoranza si può parlare considerando che conta circa dieci milioni di persone. Principali obiettivi degli attentati sono università, moschee, palestre, sedi di testate giornalistiche e particolarmente le scuole e gli autobus che portano i ragazzi a scuola.

«Tenere i giovani lontano dalle scuole» dichiara a Oasis Dawood Yousefi, un rifugiato hazara che vive a Roma, «fa parte di questa strategia dell’odio messa in atto dai talebani e dall’Isis, anche se la caccia agli Hazara è iniziata decenni fa». Negli ultimi anni, numerosissimi sono stati gli attentati che hanno avuto questo obiettivo.

Non ci sono elementi per stabilire se le responsabilità di queste azioni terroristiche siano direttamente riconducibili ai talebani o al clima di terrore alimentato dalla loro presenza in Afghanistan. Ma Vatican News faceva notare, in una nota del 9 maggio scorso, che «150 scuole furono distrutte dai talebani nei dodici mesi del 2009 in Afghanistan dopo che negli anni precedenti c’era stato un boom di iscrizioni anche di studentesse: dall’1 al 37 per cento delle giovanissime. È iniziato il dramma della paura. Peraltro da allora gli episodi di attacchi e distruzioni di istituti scolastici in particolare femminili si sono ripetuti in tutto il Paese. Secondo l’Indice di sviluppo umano, nel 2011 l’Afghanistan era il 15esimo Paese meno sviluppato al mondo. In questi anni l’Afghanistan ha registrato il numero di insegnanti, personale scolastico e studenti morti tra i più alti al mondo».

Yasmine Sherif, è direttrice di Education Cannot Wait (Ecw – “L’istruzione non può attendere”), il più importante fondo globale per l’educazione in emergenza. In Italia per partecipare al Meeting di Rimini del 2021, Yasmine Sherif ha affermato: «Siamo decisi a restare in Afghanistan e continuare il nostro lavoro nel campo dell’educazione e dell’istruzione. La nostra priorità è la gioventù afghana, i giovani, i ragazzi, le ragazze, i bambini e le bambine. Devono poter continuare ad andare a scuola, nelle loro classi, devono poter ricevere una istruzione di qualità affinché possano diventare insegnanti, medici, ingegneri, competenti e capaci di ricostruire l’Afghanistan, un Paese che ha visto 40 anni di guerre».

A margine dei lavori del Meeting, la direttrice di Ecw ha rilasciato una dichiarazione ad Agensir. Alla domanda se i talebani permetteranno questa missione di istruzione, Yasmine Sherif ha risposto: «Mai smettere di sperare per ogni bambino afghano. Dobbiamo credere che è possibile». Dialogare con i talebani? «L’Unicef sta già parlando con il nuovo regime. Le Nazioni Unite lavorano in tutto il mondo e anche nelle aree controllate dai talebani prima di questi ultimi sviluppi. Dobbiamo continuare a fare del nostro meglio».

Education in Afghanistan. Credit: GPE/Jawad Jalali
by Global Partnership for Education – GPE is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

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Paolo Tritto

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