La ricchezza unica delle lingue dialettali lucane

Perché non si deve interrompere il lavoro di ricerca del Centro Internazionale di Dialettologia

Le risorse culturali della Basilicata non sono molto conosciute, a parte quelle emerse con l’evento di Matera capitale europea della cultura. Recentemente la Regione Basilicata ha varato un provvedimento per la tutela del patrimonio linguistico regionale, una delle più significative espressioni della particolare identità popolare lucana.

Purtroppo il provvedimento è stato preceduto da roventi quanto inspiegabili polemiche. Si spera che ciò non possa compromettere una delle cose che viene maggiormente apprezzata della nostra realtà regionale. In ballo c’è il destino di un’importante istituzione culturale, il CID, Centro Internazionale di Dialettologia, istituzione lucana tra le più prestigiose che si avvale della collaborazione di realtà universitarie autorevolissime come Cambridge, Oxford, Manchester, Pisa, Udine, Napoli, Palermo.

Il Centro ha condotto negli anni un lavoro scientifico per la valorizzazione della straordinaria varietà dei dialetti locali, una ricchezza linguistica, come è quella lucana, che non ha eguali nel mondo. Grazie alla preziosa attività di ricerca del CID, diretta dalla prof. Patrizia Del Puente, la Basilicata è l’unica regione italiana a statuto ordinario che dispone di un sistema unitario di trascrizione delle differenti lingue dialettali che quindi non sono soltanto una lingua parlata ma anche scritta e perciò capace di produrre documenti di testo che possono essere conservati e tramandati. L’attività del CID ha portato a questo e a tanti altri importanti risultati, come la pubblicazione dell’Atlante linguistico della Basilicata, unico atlante linguistico regionale esaustivo pubblicato in Italia, che registra le voci lessicali dei dialetti di tutti i centotrentuno comuni lucani e di tutte le varianti parlate nelle frazioni.

Il valore culturale di tutto ciò, oltre che per la grande varietà delle espressioni linguistiche, consiste anche nell’arcaicità delle lingue locali, lingue che in Basilicata hanno conservato le caratteristiche originarie proprie, preservandole nel corso dei secoli da contaminazioni esterne. Lo studio dei dialetti è uno strumento potentissimo di archeologia dei saperi, capace di cogliere le loro stratificazioni e di rivelare di conseguenza le varie strutture sociali che si sono via via sovrapposte sul territorio. Tutto ciò ci fa comprendere quali grandi risorse culturali hanno saputo valorizzare la prof. Del Puente e la sua équipe. C’è da augurarsi che questo lavoro possa proseguire come prima e meglio di prima.

Se è facile comprendere quali possono essere stati i fattori che hanno favorito la conservazione per esempio dei dialetti albanesi, non altrettanto semplice è spiegare la presenza e la persistenza dei dialetti gallo-italici diffusi nell’area di Tito e di Potenza o attorno a Trecchina.

Di particolare rilevanza riguardo a ciò sono gli studi di un grande vescovo lucano, mons. Antonio Rosario Mennonna, cittadino di Muro Lucano e vescovo di Nardò. Sebbene mons. Mennonna meriti di essere ricordato soprattutto per il suo ministero episcopale – due sacerdoti ordinati da lui, Filoni e De Donatis, diventeranno cardinali – è molto apprezzato anche il suo contributo scientifico allo studio del dialetto gallo-italico diffuso nella terra potentina che, secondo una tesi del vescovo comunemente accettata, può essere fatta risalire alle parlate di genti del Monferrato e dell’entroterra ligure, emigrate in Basilicata.

Qualcuno potrebbe sorprendersi di fronte all’insolito fenomeno di un’emigrazione alla rovescia, non dal sud verso il nord ma dal nord verso il profondo sud. Questo fa capire bene quante inattese scoperte ci consente di fare lo studio dei dialetti.

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Paolo Tritto

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