L’Epifania… non tutte le feste porta via

Per tradizione l'Epifania segna nella nostra società la fine delle feste natalizie: in realtà è un momento topico del tempo liturgico del Natale, la manifestazione di Gesù Bambino ai popoli pagani e ai cercatori di Dio, rappresentati dai Magi, figure suggestive che, insieme a vecchie tradizioni pre-cristiane, hanno ispirato arte e folklore.

“L’Epifania tutte le feste porta via”, dice un vecchio adagio. È pur vero che l’Epifania è l’ultima solennità del tempo liturgico del Natale, eppure questo tempo “forte” dell’anno liturgico – che è iniziato la sera del 24 dicembre ed è caratterizzato dal colore bianco della casula del sacerdote (segno di luce, festa, regalità) – si chiude con la domenica successiva al sei gennaio, in cui celebriamo il Battesimo di Gesù. L’Epifania – dal greco “manifestazione” – celebra, 12 giorni dopo Natale,  Gesù Bambino che si rivela – nei Magi – ai lontani, ai pagani, ai cercatori di Dio: “Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra”, ci fa ripetere il salmo responsoriale dell’Epifania.

“Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore”, aveva profetato Isaia. E Matteo parla della visita di “alcuni Magi” – termine persiano – che portano a Gesù Bambino oro, incenso e mirra. Saba si trova in Persia: è possibile che proprio di loro aveva parlato Isaia e, pertanto, a Betlemme non giunsero in tre (per la tradizione Ettore, Melchiorre e Baldassarre) ma con “uno stuolo di cammelli”, portando doni che significano, rispettivamente, la regalità di Gesù (oro), la sua divinità (incenso) e la sua futura morte (la mirra era un unguento funerario).

Erano «dei sapienti che scrutavano il cielo, non per cercare di “leggere” negli astri il futuro, eventualmente per ricavarne un guadagno; erano piuttosto uomini “in ricerca” di qualcosa di più, in ricerca della vera luce, che sia in grado di indicare la strada da percorrere nella vita. Erano persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la “firma” di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare» (Benedetto XVI).

E Marco Polo, ne “Il Milione” (cap. 30), racconta che a Saba ha visto le tombe dei Magi, le cui reliquie giacciono oggi nel duomo di Colonia e, in parte, in S. Eustorgio, a Milano.

Se l’Epifania è la prima manifestazione ufficiale – attraverso i Magi – di Gesù alle genti, sarà con la Pasqua che si renderà manifesto al mondo intero il suo mistero di salvezza: ecco perché, nella celebrazione dell’Epifania – da una tradizione nata nel quarto secolo ad Alessandria, dov’era un’importate scuola di astrologia – di seguito al Vangelo, viene annunciato il giorno della Pasqua. L’Epifania ci ricorda di essere, come i Magi, cercatori di Dio, capaci di alzare gli occhi al cielo, attenti ai segni che il Signore ci offre lungo il cammino, capaci di interpellare chi riteniamo possa guidarci, ascoltando fino alla fine quello che la coscienza e la realtà vogliono dirci.

Reliquiario dei Magi – Cattedrale di Colonia

Da sempre l’Epifania –  compimento del Natale, come la Pentecoste è compimento della Pasqua –  ha sollecitato la creatività di artisti e poeti e si è lasciata arricchire da tradizioni antiche e moderne: la Befana vien… dalla notte dei tempi.

La Befana vien di notte…

La leggenda vuole che oltre Erode, i Magi abbiano chiesto informazioni a un’anziana la quale, nonostante le loro insistenze affinché li seguisse per accompagnarli dal Bambino, restò ferma. Ma, poi, pentitasi, partì alla ricerca dei re, e tuttavia non li ritrovò. A quel punto decise che si sarebbe fermata a ogni casa lungo il suo cammino, donando qualcosa ai bimbi, sperando che uno di essi fosse Gesù. Quella signora è diventata la “Befana”, corruzione del nome “Epifania”.

Altre credenze collegano la Befana a un’antica festa romana, che si svolgeva in inverno in onore di Giano e Strenia (da cui deriverebbe anche il termine “strenna”) e durante la quale ci si scambiavano doni. 

E già nella cultura precristiana si riteneva che nelle dodici notti dopo il solstizio di inverno delle figure femminili volassero sui campi coltivati, al fine di ingraziarsi la fertilità dei futuri raccolti.

Di sicuro la Befana è tornata in auge dal ‘700: il fiorentino Manni a quel tempo scrisse “L’Istorica notizia delle origini e del significato delle Befane” e Pascoli nella poesia “La Befana” (1896) parla di lei e dei suoi doni.

Dall’inizio del Novecento si attesta con certezza nei Sassi di Matera la tradizione della calza, magari appesa al camino, piena di dolciumi e caramelle, o di carbone (alle volte di cioccolato) e cenere se i bambini erano stati monelli. Sempre la vigilia dell’Epifania, nella vecchie case materane si consumava una cena abbondante: nove assaggi, augurio per un nuovo anno prosperoso. I genitori incutevano timore ai propri figli raccontando che “’U conzapiott”, i cuci-piatti, percorrevano vie e vicinati per riparare i piatti rotti degli abitanti dei rioni Sassi e cucivano le bocche dei bambini che mangiavano più di nove alimenti o non volevano andare a dormire nell’intento di sorprendere la Befana.

In particolare a Montescaglioso vi erano e ci sono i “cucibocca”, anime del Purgatorio che la sera del 5 gennaio facevano visita alle loro case per trovare un po’ di cibo e acqua, vestiti di scuro, con un cappellaccio, il viso coperto da folte barbe bianche e le catene ai piedi. In mano un canestro con una lucerna e un lungo ago con cui minacciano di cucire la bocca ai bambini che non si mettevano a letto per scoprire la Befana.

I cucibocca

Ancora nei Sassi di Matera, i fedeli più rigorosi, allo scoccare della mezzanotte, facevano una piccola processione con i pupi del presepe raffiguranti i Re Magi, magari per tutto il vicinato, prima di posizionarli nel presepio. Alcuni, lo stesso giorno “guastavano” il presepe, altri lo tenevano sino al 17 (S. Antonio Abate) o alla Candelora (2 febbraio): il rito prevedeva che si compisse prima una processione con Gesù Bambino tenuto in mano dal più piccolo della casa, in cui si cantavano motivetti natalizi in dialetto e il percorso era illuminato con candele e “lampari” dei traini.

Nel 1928 nacque la “Befana fascista”: l’allora Presidente del Consiglio Turati, offrì doni a 100.000 bimbi delle classi più povere, con lo sponsor di commercianti, industriali e agricoltori. Anche nei Sassi di Matera in quegli anni, assieme alla calza, arrivarono i primi semplici giocattoli: una palla di gomma per i maschietti o bamboline rudimentali per le ragazzine.

Ancora oggi c’è chi provvede alla Befana dei bambini poveri: la Parrocchia di S. Rocco di Matera raccoglie su un albero di Natale tanti foglietti con i desideri dei bambini che il sei gennaio ricevono ognuno il proprio dono acquistato da un benefattore; inoltre, la Cooperativa “Oltre l’arte” e l’Associazione “Virtus Matera” hanno donato calze ai piccoli ospiti della casa-famiglia “Tenda di Abram”…

Il sei gennaio per la Chiesa è anche la Giornata Missionaria dei Ragazzi: il pensiero va a bambini e ragazzi che non hanno il necessario per vivere, non hanno una vita serena o – non di meno – non conoscono Dio.

I Magi: costanti ispiratori d’arte

L’adorazione dei Magi, epilogo di un viaggio di oltre duemila chilometri alla luce di una stella, ha suggestionato artisti di ogni epoca di ogni latitudine.

Catacombe d Priscilla, Roma, II-III sec. – Adorazione dei magi (affresco)

Già nelle catacombe di Priscilla troviamo la prima testimonianza: il resto di un affresco (II-III sec.) di tre uomini recanti doni e diretti verso la Vergine con Bambino: forse un motivo orientale che, attraverso la cappella “greca” di queste catacombe, è giunto in Occidente.

Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova (1303-1305) – Adorazione dei Magi

Erano rappresentati i Magi sul frontone della chiesa della Natività di Betlemme e Giotto nel 1303-1305 li affresca per la Cappella degli Scrovegni (Padova), inserendo per la prima volta la cometa (nel racconto evangelico di Matteo si parla invece semplicemente di una stella) – ispirato forse dalla Cometa di Halley, apparsa nel 1301 – e i cammelli, tipici animali esotici. I Magi sono uomini di età diverse – in tutte le età della vita l’uomo è in cammino verso Dio – ma tutti e tre con scarpe rosse aristocratiche. E dietro la capanna della Natività si scorge una montagna: Betlemme sorge a quota 700 m tra i monti della Giudea.

Gentile da Fabriano, Galleria degli Uffizi, Firenze (1423) – Adorazione dei Magi

Invece, in stile gotico internazionale, è l’adorazione dei Magi della pala d’altare di Gentile da Fabriano commissionato da Palla Strozzi per la nuova cappella della basilica di Santa Trinita che Lorenzo Ghiberti stava terminando in quegli anni (1423). Nelle lunette in alto, le fasi del viaggio: l’avvistamento della cometa, il corteo di cammelli e dromedari che marciano verso Gerusalemme e l’entrata in Gerusalemme. Nel dipinto centrale: l’arrivo alla capanna. Non ci sono solo tre magi, ma un corteo: lo stuolo dei cammelli e dei dromedari di cui parla Isaia è la novità di Gentile, che da Giotto riprende la raffigurazione dei tre Magi di tre età diverse. Lo sfarzo è la caratteristica del dipinto, ottenuto con tempere e ori: i vestiti dei Magi recano broccati d’oro finemente arabescati, copricapi sfavillanti e cinture con borchie preziose. Tra l’altro il committente era il primo contribuente della Firenze di quegli anni. E lo ritroviamo tra la folla, dietro i magi col falcone in mano e il turbante blu-oro, con accanto il figlio di fronte a chi osserva l’opera. E tanti altri uomini dell’epoca sicuramente potevano riconoscersi nel dipinto.

Non poteva mancare una raffigurazione dei Magi nel Duomo di Colonia, dove giacciono le reliquie dei Magi, e rappresentazioni originali, come i Magi tra la neve (P. Brueghel il Giovane, 1600 circa), e ovviamente miniature, icone, arazzi, vetrate, mosaici, un’originale interpretazione impressionista (Previati) e finanche una ad opera di Dario Fo (2011).

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Giuseppe Longo

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