Omelia nella Santa Messa in occasione della Festa della Santa Famiglia – 27 dicembre 2020

Rivolta ai medici, OSS, infermieri e ammalati

Carissimi medici, infermieri, OSS, farmacisti, volontari, ministri straordinari della Comunione Eucaristica, voi tutti ammalati presenti negli ospedali, cliniche o a casa, in questo giorno solenne della santa Famiglia, d’accordo con il cappellano P. Gabriele Bitonti, ho pensato di celebrare l’Eucaristia in questa cappella, all’interno dell’ospedale Madonna delle Grazie, per essere più vicino a voi, soprattutto in questo tempo del Natale di Gesù.

La mia presenza assume un significato diverso quest’anno, in questo luogo dove la sofferenza viene curata con amore e professionalità, per strappare alla morte la vita.

Noi celebriamo esattamente Dio che si è fatto come noi: uomo tra gli uomini, per gioire e soffrire, fino alla morte e alla morte di croce. L’Emmanuele, cioè il Dio con noi, in questi giorni in cui lo adoriamo con la sua santa Famiglia, si presenta a noi come medico delle anime e dei corpi.

È giusto e sacrosanto desiderare la guarigione del corpo e curarlo, ma abbiamo bisogno anche di essere curati nell’anima. Giovenale nelle sue Satire, scritte nel I secolo d.C. ed unica opera del poeta latino giunta fino a noi diceva: “Orandum est ut sit mens sana in corpore sano” (Satire, X, 356) che significa “Bisogna pregare affinché ci sia una mente sana in un corpo sano”.

Nella solennità dell’Immacolata Concezione Papa Francesco ci ha consegnato una Lettera Apostolica Patris corde, in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale e ha aperto ufficialmente l’anno straordinario dedicato a S. Giuseppe.

In questa lettera il Papa paragona voi medici e infermieri, con il vostro lavoro silenzioso e senza clamori, a San Giuseppe e fa delle affermazioni molto profonde e attinenti al momento storico che stiamo vivendo: “stanno scrivendo la storia”. E ancora: ’’Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in ’’seconda linea’’ hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine’’.

Durante quest’anno, segnato dalla pandemia, tra medici e infermieri ci sono stati oltre 30.000 contagiati e centinaia di caduti per Covid19.

La Santa Famiglia di Nazareth, Gesù, Giuseppe e Maria, ci aiuta durante questa giornata così solenne, a cogliere alcuni aspetti da collegare all’opera che voi portate avanti ogni giorno, come una missione vera e propria. Loro hanno vissuto nell’ombra, nel silenzio ma uniti dalla presenza del Dio che si è fatto carne, entrando nella storia.

Una storia che ha visto Giuseppe e Maria, loro malgrado, protagonisti di un progetto di Dio superiore alle loro forze: “Nulla è impossibile a Dio”. Nessuno di noi davanti a Dio è un soggetto passivo, anzi esattamente il contrario. Giuseppe e Maria si sono fidati di Dio, nonostante le loro perplessità e dubbi e hanno agito forti di una certezza che man mano che andavano avanti diventava sempre più concreta: Dio era con loro.

Oggi per noi, per voi carissimi, è la stessa cosa: curate stando nell’ombra, con molta discrezione, accogliendo con responsabilità tutti coloro che soffrono. L’opinione pubblica, invece, alquanto manipolabile, passa facilmente dal proclamarvi eroi ad accusarvi di inadeguatezza.

Maria ascolta la voce di Dio attraverso l’Arcangelo Gabriele e con lui dialoga. Anche Giuseppe l’ascolta nel sonno agitato e preoccupato per quello che deve affrontare. Gesù, Parola vivente, passa in mezzo alla gente, guarda, tocca, cura ogni forma di sofferenza che incontra lungo le strade che percorre; entra nelle case dove incontra ammalati affetti da diverse patologie.

Vi penso spesso mentre siete intenti ad ascoltate la voce degli ammalati nella loro solitudine, a confortarli o metterli in contatto con i familiari.

Carissimi ammalati, ognuno di voi ha una storia personale e ognuno di voi va curato perchè persona da amare e da aiutare, possibilmente guarire. Voi, carissimi medici e infermieri, siete testimoni di storie che a noi sfuggono, di guarigioni che commuovono innanzitutto voi stessi, di testimonianze che lasciano senza parole.

In un momento così difficile, come ho già sottolineato in altri contesti, avverto l’urgenza di porre una particolare attenzione alle strutture sanitarie locali e regionali. Maria e Giuseppe non trovarono porte aperte per accoglierli. Maria, incinta e pronta a partorire, non ha avuto né un luogo adatto né l’assistenza sanitaria indispensabile per essere aiutata nel parto.

Ci auguriamo che nessun conterraneo trovi porte chiuse nei nostri ospedali e sia costretto a curarsi altrove. Ci sono potenzialità e strutture che hanno solo bisogno di essere valorizzate e messe al servizio dell’intero territorio.

La famiglia di Nazareth, unita, cammina insieme, percorre lunghi tratti della propria storia, tra gioie e dolori, feste e morte. Si pensi al dolore della Madonna dopo la morte di Giuseppe, anche se non abbiamo nessuna notizia, e del Figlio, Gesù. La morte è sempre un’ingiustizia, non è facile accettarla soprattutto se manca la certezza che Dio è sempre con noi.

Ogni giorno anche voi percorrete molte ore insieme ai pazienti, un tratto della loro esistenza che a volte culmina con l’ultimo atto, la morte. Immagino che per ognuno di voi perdere una vita rappresenti una sconfitta ed è sempre doloroso comunicare ai familiari la ferale notizia. Compito ingrato. Così come è una grande gioia ogni volta che un paziente guarisce e può tornare a casa e riabbracciare i propri cari.

Sono storie che solo voi conoscete, storie fatte di sguardi attenti, di gesti amorevoli, di poche parole. Tra la famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria si stabilisce comunione, sinergia tra di loro e con tutti gli altri che spesso sono persone sconosciute.

Anche voi siete una grande famiglia, con l’unico intento di stare accanto a persone vulnerabili che diventano parte della vostra vita. Raccogliete le loro speranze, la fiducia che ripongono in voi ma anche le loro paure che, soprattutto in questo tempo di pandemia, diventano anche vostre.

Grazie per quanto fate, per come lo fate, per l’amore che sapete seminare. Vi affido alla S. Famiglia e al vostro santo patrono S. Giuseppe Moscati e vi benedico.

Così sia.

Redazione

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