Santo Stefano: primo diacono e primo martire. Diaconia e martirio nella Chiesa oggi. Il ministero del diaconato nella nostra Diocesi

Come la Pasquetta l’indomani della Pasqua, anche il giorno seguente il Natale dal 1947 in Italia è festivo. Un retaggio dei paesi di cultura anglosassone in cui, da un paio di secoli, oggi si celebra il “boxing day”, giorno dei regali per i più poveri (“box”, in inglese, scatola: quella dei regali o quelle per raccogliere gli avanzi dei giorni precedenti), nella tradizione cristiana frutto della colletta che veniva raccolta in chiesa in un’apposita cassetta (anch’essa “box”). E giorno di festa per il personale di servizio dell’alta borghesia britannica a cui era concesso libero il giorno successivo al Natale, per far visita alle proprie famiglie. Un giorno di festa civile che consente di valorizzare meglio Santo Stefano, primo diacono e primo martire. Mi chi era costui e chi sono i diaconi? Due ne sono stati ordinati nella nostra Chiesa negli ultimi due mesi.

È stata la Chiesa antica che ha istituito la celebrazione del Natale del Signore e, nei giorni immediatamente successivi, la festa dei comites Christi, i più vicini a lui nel suo percorso terreno, i primi a renderne testimonianza con il martirio. Il 26 dicembre c’è S. Stefano, primo martire della cristianità; segue, il 27, S. Giovanni Evangelista, il prediletto da Gesù, autore del Vangelo dell’amore; poi, il 28, i SS. Innocenti, bambini uccisi da Erode con la speranza di eliminare anche il Bambino di Betlemme. Un tempo, il 29 cadeva la celebrazione di S. Pietro e S. Paolo apostoli, venendo poi trasferita al 29 giugno.

Il diacono Stefano e il diacono oggi

Di Stefano parla S. Luca nei capp. 6 e 7 degli Atti degli Apostoli: uno dei sette diaconi della Chiesa di Gerusalemme, “uomo pieno di fede e di Spirito Santo” (At 6,5), destinatario del primo martirio della storia

In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense.  Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest’incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani. Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme.

Dagli Atti degli Apostoli (At 6,1-9)

Sebbene i diaconi in questo passo non siano esplicitamente nominati, nasce con S. Stefano l’ordine dei diaconi. Alla lettera “servi”, i diaconi erano coloro che con il loro servizio alle mense si conformavano a Cristo “venuto per servire e non per essere servito” (cf Mc 10,45), lasciando agli apostoli – di cui i successori sono oggi vescovi e sacerdoti – il servizio dell’annuncio della Parola.

Nella Chiesa di oggi, i diaconi, quindi, con un’istituzione ufficiale, che prevede – ancora come un tempo – l’imposizione delle mani, e con un sacramento che imprime in loro un sigillo indelebile (‘carattere’), hanno il compito di

assistere il Vescovo e i presbiteri nella celebrazione dei divini misteri, soprattutto dell’Eucaristia, distribuirla, assistere e benedire il Matrimonio, proclamare il Vangelo e predicare, presiedere ai funerali e dedicarsi ai vari servizi della carità

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC, n. 1570).

L’ordinazione diaconale di Pietro Oliva
Montescaglioso, Parrocchia S. Lucia, 26/10/2024

Sì, accanto ai “servizi di carità” già citati negli Atti degli Apostoli, con cui il diacono alle volte si “sporca” le mani e testimonia la spiritualità del lavoro che spesso manca ai laici, il diacono può predicare, cioè tenere l’omelia, battezzare, e presiedere i funerali e i matrimoni. Non può presiedere l’Eucaristia come un presbitero, è vero, ma certamente (compito, questo, già proprio dell’accolito) una Liturgia della Parola.

Un diacono, inoltre, non può assolvere dai peccati, ma può essere guida nella vita spirituale dei fratelli e delle sorelle che incontra sulla sua strada. Il diacono è un ministro ordinato, come i sacerdoti e i vescovi, ma il grado del “diaconato” è accessibile anche a chi è sposato (sebbene non sia possibile il contrario, cioè che un diacono si sposi).

Nella Chiesa oggi si distinguono i diaconi permanenti da quelli transeunti.

I primi sono istituiti come nella Chiesa delle origini, sebbene la loro figura nella storia della Chiesa cattolica sia andata scomparendo per tornare in vita con il Concilio Ecumenico Vaticano II.

Dopo 60 anni dal Concilio le nostre diocesi si ripopolano di questi ministri che sono parte del clero anche se ci sembrano così vicini – con famiglia e lavoro – ai laici. In tante diocesi d’Italia povere di presbiteri la loro figura è funzionale alla gestione delle parrocchie e allo svolgimento di tanti compiti pastorali che altrimenti rimarrebbero insoluti. Nella nostra Chiesa abbiamo cinque “uomini” (Giuseppe Centonze, Giuseppe Avena, Michelangelo Cifarelli, Terenzio Cucaro, dall’8 dicembre di quest’anno anche Giuseppe Fiorentinoqui il video integrale della celebrazione di ordinazione diaconale -), tutti sposati, a servizio delle loro comunità, delle attività pastorali della Diocesi, dell’Ospedale, dei centri dove si presta servizio ad anziani e poveri.

Verso la mèta del diaconato sono in cammino di formazione teologica e spirituale altri sei uomini: Paolo Chieco, Sergio Di Pede, Dino Gioia, Michele Quarato, Michele Viggiani ed Edoardo Veronesi.

Il diacono permanente vive nel mondo, solitamente lavora, e così può raggiungere quegli ambienti a cui mai e poi mai un presbitero potrebbe accedere. Per essere lievito e mostrare quello spirito di servizio che è l’essenza stessa, presente anche nell’etimologia, della “diaconia”. Tutti siamo chiamati a servire questo nostro mondo ma i diaconi sono chiamati ad essere testimoni particolarmente chiari della bellezza del servizio.

Di più, un diacono, con la preparazione teologica che gli offre il percorso almeno triennale richiesto prima dell’ordinazione, è dotato di quel bagaglio culturale adeguato per saper rispondere in modo competente alle curiosità, ai dubbi e alle provocazioni che le persone che incontra gli porgono.

I diaconi transeunti invece ricevono questo ministero transitoriamente in vista dell’ordine presbiterale. Ricordiamo, tra loro, Pietro Oliva, l’ultimo ordinato diacono, lo scorso 26 ottobre a Montescaglioso. A lui dedichiamo, a seguire, un prossimo articolo specifico.

“Allo stesso modo i diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio”

Dalla Prima lettera di S. Paolo Apostolo a Timoteo (1 Tm 3, 8-10)

questo il primo passo scritturistico che nomina la parola “diacono”.

Il martire Stefano. I testimoni nella Chiesa di tutti i tempi

Beato Angelico e aiuti, tra cui Benozzo Gozzoli;1447-1448;
Santo Stefano condotto al martirio e lapidazione di santo Stefano;
Cappella Niccolina decorata nel palazzo Apostolico, Vaticano, Affresco

La parola “martire” significa testimone. Sono martiri tutti coloro che non hanno rinnegato Cristo in situazioni difficili davanti a cui la vita gli ha posti. In modo cruento, come Stefano – proprio ieri, invece, il nostro arcivescovo, citando papa Ratzinger, esprimeva nell’omelia il rischio che il Natale possa diventare una “apostasia di Gesù Cristo” –, oppure incruento, in un “martirio bianco”.

Stefano, intanto, pieno di grazia e di fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. Allora, alcuni della sinagoga detta dei «liberti» sobillarono alcuni che dissero: «Lo abbiamo udito pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio». E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio. Presentarono, quindi, dei falsi testimoni, che dissero: «Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge».

E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo. […]

Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.

Dagli Atti degli Apostoli (At 6,8-15.8,55-60)

Leggiamo, inoltre, in uno dei «Discorsi» del vescovo san Fulgenzio di Ruspe a proposito di S. Stefano:

Per mezzo della carità non cedette ai Giudei che infierivano contro di lui; per la carità verso il prossimo pregò per quanti lo lapidavano. Con la carità confutava gli erranti perché si ravvedessero; con la carità pregava per i lapidatori perché non fossero puniti. La stessa carità santa e instancabile desiderava di conquistare con la preghiera coloro che non poté convertire con le parole.

Dove Stefano, ucciso dalle pietre di Paolo, lo ha preceduto, là Paolo lo ha seguito per le preghiere di Stefano.

Giulio Romano, Lapidazione di Santo Stefano, 1521 circa, olio su tavola, Chiesa di Santo Stefano, Genova

Stefano è il capofila di una infinita schiera di testimoni dell’appartenenza a Cristo Crocifisso. “Famosi” i martiri della Grande Persecuzione Dioclezianea (301-304 d.C.), tra cui quelli di Abitene, alla vigilia della concessione della libertà di culto ai cristiani ad opera di Costantino. Oppure i martiri di Tibhirine, uccisi in Algeria tra il 1994 e il 1996, a cui si ispira il film “Uomini di Dio”.

I martiri hanno accompagnato in ogni epoca la vita della Chiesa e fioriscono come ‘frutti maturi ed eccellenti della vigna del Signore’ anche oggi. Sono più numerosi nel nostro tempo che nei primi secoli: vescovi, sacerdoti, consacrate e consacrati, laici e famiglie che nei diversi Paesi, con il dono della vita, hanno offerto la suprema prova di carità,

dice papa Francesco. 

“Sanguis Martyrum, semen Christianorum”, il sangue versato dai martiri è seme di nuovi cristiani, scriveva a ragione l’apologeta Tertulliano nel II sec. 

Nel Giubileo del 2000, S. Giovanni Paolo II ha istituito la Commissione “Nuovi martiri”, perché non cadesse nel dimenticatoio l’esperienza dei «militi ignoti della grande causa di Dio». 12 mila i testimoni della fede di Asia, Oceania e Medio Oriente, delle Americhe, le vittime dei regimi comunisti, dell’Africa, della Spagna e del Messico, del regime nazista che la commissione ha rilevato nell’arco di tutto il XX sec. a cui è stata dedicata la basilica San Bartolomeo sull’Isola Tiberina, “luogo memoriale dei testimoni della fede del XX secolo”.

Renata Sciachì, Icona dei “Nuovi Martiri” e Testimoni della fede del XX secolo,
Basilica di S. Bartolomeo

I cristiani continuano a mostrare, in contesti di grande rischio – dice Bergoglio – «la vitalità del Battesimo che ci accomuna. Non pochi sono coloro che, pur consapevoli dei pericoli che corrono, manifestano la loro fede o partecipano all’Eucaristia domenicale. Altri vengono uccisi nello sforzo di soccorrere nella carità la vita di chi è povero, nel prendersi cura degli scartati dalla società, nel custodire e nel promuovere il dono della pace e la forza del perdono. Altri ancora sono vittime silenziose, singoli o in gruppo, degli sconvolgimenti della storia. Verso tutti loro abbiamo un grande debito e non possiamo dimenticarli».

Due anni fa, il Pontefice ha reistituito la «Commissione dei nuovi martiri. Testimoni della fede» per “continuare l’iniziato rilevamento di quanti seguitano a essere uccisi solo perché cristiani. Si tratta di proseguire la ricognizione storica per raccogliere le testimonianze di vita, fino allo spargimento del sangue, di queste nostre sorelle e questi nostri fratelli, affinché la loro memoria spicchi come tesoro che la comunità custodisce. La ricerca riguarderà non solo la Chiesa cattolica, ma si estenderà a tutte le confessioni cristiane”.

Ogni anno tra i 20 e i 35 missionari sono uccisi nei cinque continenti.

Ma ad essi devono sommarsi coloro che, dicevamo all’inizio di questo paragrafo, offrono la vita in un martirio “bianco” fatto di coerenza con il nostro Battesimo, che ci rende profeti. Parliamo di tanti cristiani che pur di non rinunciare alla loro fedeltà a Cristo pagano il prezzo dell’emarginazione, della persecuzione – seppur non mortale – oppure offrono l’impegno invisibile di una vita casta per il Regno dei Cieli.

Stefano, lapidato, è patrono dei muratori e a lui sono intitolati in Italia 14 Comuni.

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Giuseppe Longo

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