Scarti che diventano letteratura

“Schegge e trucioli”, il nuovo libro di Peppe Lomonaco

C’è chi scrive un libro per l’ambizione di vedere pubblicata una sua opera, c’è chi scrive seguendo un’ispirazione. Peppe Lomonaco, invece, si può dire che abbia scritto l’ultima raccolta di racconti, “Schegge e trucioli”, sotto il peso della memoria.

Normalmente un uomo libera la sua memoria dimenticando. Ma se questo nell’uomo comune può sembrare scontato, non lo è per Lomonaco. “Volevo dimenticare” dice l’autore riferendosi alle storie che ha raccolto, “Ma dimenticare è impossibile. Come si fa a dimenticare? A volte la memoria diventa una prigione”. E, c’è da aggiungere che la memoria-prigione di Lomonaco, al pari di tante prigioni, è certamente una prigione sovraffollata di ricordi.

Questo succede quando con i ricordi si stabilisce un legame tale da non potersene disfare. Questo succede quando nella memoria vanno a depositarsi fatti, eventi, esperienze, che non riguardano la propria vita ma che sono lasciati in custodia da altri. E spesso si tratta di momenti minimi o, come afferma l’autore, materiale di scarto.

Peppe Lomonaco cioè concepisce se stesso e la sua scrittura come custodi e memoria della vita, delle aspirazioni, delle delusioni, dei sentimenti di altri. O meglio, di un’intera comunità com’è quella del popolo meridionale. Di un popolo e del suo difficile rapporto con la storia. Il meridione italiano da un lato e la nazione dall’altro, sembrano vivere in due mondi diversi che non possono mai incontrarsi, sembrano trovarsi su lunghezze d’onda diverse.

In un brano della raccolta si racconta, per esempio, di due fratelli che mettono a coltura tre ettari di carciofi che producono la bellezza di trentamila cardi. Nel primo anno non ci furono problemi di mercato ma già nell’anno successivo la richiesta di carciofi fu nulla. I due fratelli cercarono acquirenti ai mercati generali di Taranto e Bari. Non avendone però trovati, si spostano sulla piazza di Milano ma “anche lì era la stessa musica. Eravamo disperati. Mi venne un’illuminazione: portare i nostri carciofi alla fabbrica del Cynar”. Fabbrica che si trova a Padova. Chi è avanti negli anni ricorderà la pubblicità del Cynar dove si esaltavano le virtù salutari del carciofo contenute nel digestivo in questione, una pubblicità che aveva come testimonial Ernesto Calindri. Nemmeno qui si mostrarono interessati tanto ai carciofi, nonostante la pubblicità lasciasse intendere il contrario.

Il popolo meridionale sembra troppo legato alla realtà, troppo determinato da essa per riuscire a inserirsi nel mondo illusorio della modernità. Anche gli stessi migranti che lasciano il sud alla ricerca di miglior fortuna, nelle pagine di Peppe Lomonaco finiscono spesso per tornare indietro, non avendo trovato la fortuna dove si erano illusi di trovarla.

Lomonaco, nonostante tutto, vede con simpatia l’uomo meridionale e la sua ostinazione a rimanere radicato nella realtà, rifuggendo da ogni tipo di narrazione, di evasione. Splendide finzioni che riducono la vita degli uomini a una rappresentazione nella quale ognuno cerca di attribuirsi dei ruoli nei quali sarà anche piacevole perdersi, ma che non appartengono alla realtà. La realtà, sembra suggerire Lomonaco con la sua pubblicazione, sarà meno piacevole delle narrazioni che si costruiscono, ma sono vere, riguardano veramente la vita.

In uno dei racconti di “Schegge e trucioli” c’è la vicenda di un pensionato che ha due figli emigrati a Milano. Questi hanno un lavoro ben retribuito nel quale vedono la loro piena realizzazione. Uno dei due è sposato ma senza figli. E questo è un cruccio per il povero pensionato. Finché Claudio, il figlio, gli annuncia un’importante novità. Si accende così la speranza della gravidanza della moglie di Claudio che invece si presenta dal vecchio genitore con un cane. Era l’arrivo del cane la novità. Dopo un po’ la nuora, scrive Lomonaco, “rivolta alla bestiola le impartì un invito: Chicca, vai, vai dal nonno. Anche lui ti vuole bene. Vai, fatti accarezzare dal nonno!” Il “nonno”, ferito nell’orgoglio e cercando di trattenere il risentimento, si limitò a dire di non sentirsi nonno di cani.

Ma quale convenienza c’è a rimanere ancorati alla realtà se pure nel mondo dorato dell’alta moda, nella quale per esempio lavora il figlio del pensionato, si può trovare soddisfazione? Il vantaggio di vivere nella realtà, sembra suggerire Lomonaco, è che sebbene questa vita sia determinata dal bisogno, dal dolore, dalla fame, dalla solitudine, dall’emarginazione, la vita reale è una vita vera. E la verità è per sua natura sovversiva. È capace di cambiare radicalmente la storia. È sempre in nome della verità che si fanno le rivoluzioni.

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Paolo Tritto

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