Solenni Quarantore

Le Quaranta ore, secondo il calcolo di S. Agostino, vanno dalle tre della “parasceve” alle sette del mattino dell’ottavo giorno, dal momento in cui Cristo “chinato il capo, spirò” all’annuncio della resurrezione.

Negli avvisi delle attività parrocchiali, in tempo di Quaresima, spesso leggiamo: “Solenni Quarantore” o “Sante Quarantore”: ci viene subito in mente che si tratti di una forma di adorazione eucaristica ma ci chiediamo: “Perché 40 ore?”, “Perché dobbiamo farle?”, “Cos’è di preciso l’adorazione eucaristica e come va fatta?”

Quaranta ore, secondo il calcolo di S. Agostino, dalle tre di quel giorno che gli Ebrei chiamavano “parasceve” alle sette del mattino dell’ottavo giorno, dal momento in cui Cristo “chinato il capo, spirò” all’annuncio della resurrezione.

Le Quarantore, una pratica che pare sia nata in Dalmazia nel 1214 e fu poi portata in Italia a inizio Cinquecento (dovrebbe essere stata praticata a Roma in occasione del “sacco” nel 1527, come preghiera di intercessione e liberazione, e poi in concomitanza di altre calamità naturali, sociali o sanitarie), lanciata dai Barnabiti e consolidata dai Gesuiti, per passare, poi, in Spagna, Francia, Germania e nel resto d’Europa e poi nell’Ottocento negli Stati Uniti, allorché il Vescovo Neuman le introdusse nella diocesi di Philadelphia.

Se le Quarantore sono nate come una modalità di adorazione prolungata legata al venerdì santo, dobbiamo ricordare che i Gesuiti le proposero in forma solenne e festosa in occasione di uno spettacolo licenzioso, a cui dovevano costituire un’alternativa. E ci riuscirono pienamente. Si diffuse pertanto l’idea di celebrarle a Carnevale, tempo di trasgressione, e poi quattro volte l’anno. Divennero poi una modalità di preghiera intensa in  occasione di grandi calamità naturali e ad esse fu associata l’elargizione di indulgenze. “La storia dice che, durante i giorni della solenne esposizione, le città cambiavano fisionomia: i negozi chiudevano; i lavori dei campi erano sospesi; le barriere sociali cadevano e la fede rifioriva nel cuore della gente che imparava a pregare e a meditare. L’adorazione coinvolgeva tutte le categorie di persone che, giorno e notte, si avvicendavano in preghiera, spesso in modo inventivo e spontaneo, per quaranta ore davanti a Gesù Eucaristia. Per tre giorni si stabiliva quasi una tregua Dei perché «i violenti diventavano mansueti; i ladri restituivano il maltolto; i falsari diventavano onesti; i nemici si riconciliavano; la gioventù si innamorava di Dio e i sacerdoti non si allontanavano dall’altare e dai confessionali»” (Egidio Picucci , “L’Osservatore Romano”, 2-3 maggio 2005). Una staffetta di adoratori che non lasciassero mai il Santissimo inadorato, che si alternava nelle ore diurne e notturne, era il panorama delle Quarantore prima nelle grandi città, poi nei piccoli centri.

È opportuno che riscopriamo il valore e il culto per l’Eucaristia: i padri spirituali sottolineano l’importanza dell’attenzione nel ringraziamento dopo-comunione come elemento basilare per crescere nella spiritualità eucaristica. Fare adorazione (dal latino “ad orem”, cioè ‘alla bocca’, dove si porta il dito indice in segno di richiesta di silenzio, per rispetto verso qualcosa che è più importante) è ritrovarsi come i discepoli che 2000 anni fa si radunavano attorno a Gesù e lo ascoltavano, dialogavano con lui, rileggevano la propria vita alla luce delle sue parole, si convertivano. L’adorazione eucaristica è momento di discernimento delle situazioni della propria vita davanti a Gesù sacramentato.

Scriveva Giovanni Paolo II nella Lettera Dominicae Cenae (1980): «La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo Sacramento d’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andarlo a incontrare nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione!». Anche il beato quindicenne Carlo Acutis sottolineava l’importanza dell’Eucaristia, sua “autostrada verso il Cielo” e dell’adorazione eucaristica, a cui dedicava del tempo giorno per giorno: “Mi aiuta a relazionarmi meglio con gli altri”, spiegava. E sottolineava come siamo tutti fortunati noi ad avere l’Eucaristia vicino casa, rispetto ai discepoli di Gesù che dovevano percorrere giornate di cammino per incontrare il Figlio di Dio. Siamo sollecitati a vivere in modo particolare il culto eucaristico in quest’anno che ci separa dal prossimo Congresso Eucaristico Nazionale che ospiterà proprio la nostra città di Matera.

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Giuseppe Longo

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