TORNARE …

Ci raduni, Signore, intorno alla tua mensa,

frutto della terra, segno del tuo amore,

ci doni di tornare al gusto del pane;

che diffonde il profumo del lavoro dell’uomo.

Dal fuoco dello Spirito è reso nutrimento

che di molti fa uno, Vita nuova per il mondo”.

(Ritornello Inno del XXVII Congresso Eucaristico Nazionale)

Nel pomeriggio di giovedì 10 marzo le note solenni di questo Inno hanno riempito in un attimo la sala della Casa di Spiritualità S. Anna e, come per incanto, abbiamo sussultato, gioito, danzato interiormente proiettandoci in quelli che saranno i giorni di settembre e facendo memoria della ricchezza enorme che la Chiesa ha saputo elargire a piene mani, nella storia, in ogni congresso eucaristico già preparato, atteso, celebrato, vissuto. Oltre 100 delegati, tra presbiteri, religiosi, diaconi e laici hanno partecipato a questo incontro, prima tappa importante e fondamentale che ci prepara in maniera sinodale, come pellegrini in cammino senza sosta verso i giorni, che oserei chiamare, della pienezza eucaristica, della sovrabbondanza del dono, della condivisione e moltiplicazione del pane.

Torniamo al gusto del pane.

Per una Chiesa Eucaristica e sinodale.

Questo è il tema del congresso e su questo i delegati hanno riflettuto per tre giorni in un clima di grande fraternità, accoglienza, come loro stessi hanno detto, di preghiera. Sulle pagine di Logos si è già scritto del programma delle giornate, così come sono stati pubblicati i vari interventi; vorrei invece dialogare attraverso le stesse parole che caratterizzano il titolo di quello che già stiamo vivendo. Perché noi il congresso eucaristico lo viviamo già da ora!

Torniamo… Nel vocabolario Treccani leggiamo che tornare è avviarsi, essere diretti al luogo da cui si era partiti o da cui ci si era allontanati, rientrare o rimettersi nel luogo da dove si era venuti… e leggiamo anche che è l’infinito presente del latino tornare, ossia lavorare al tornio, far girare sul tornio. È sempre una meraviglia, suscita grande stupore andare alla ricerca, scoprire la radice di una parola per poterne gustare, assaporare l’intensità e la pienezza del suo significato. Il tornio è uno strumento antichissimo, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Era utilizzato per modellare l’argilla, la creta o la terracotta e trasformarla in utensili preziosi per il lavoro o la cucina. Ci sembra di riascoltare le parole del profeta: “Questa parola fu rivolta dal Signore a Geremia: Àlzati e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola. Scesi nella bottega del vasaio, ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli riprovava di nuovo e ne faceva un altro, come ai suoi occhi pareva giusto” (Ger 18, 1-6).

In questo lungo tempo avverso che sembra non finire mai e che certamente non coincide col Kairos di Dio, pienezza dell’amore che Lui vuole riversare abbondantemente nel nostro cuore, abbiamo utilizzato spesso il termine emergenza. Parliamo di quella educativa, di quella legata alla pandemia ed ora anche al massacro indicibile e brutale della guerra. Il tornare al gusto del pane ci pone di fronte ad un’altra emergenza, meno visibile ma non per questo meno grave. È l’emergenza, l’urgenza di andare nuovamente verso Dio per farsi da Lui plasmare, modellare dal tornio della sua hesed, come la chiamano gli ebrei in un termine quasi intraducibile, ovvero amore, fedeltà, misericordia che parte dalle viscere. La Preghiera eucaristica II della Riconciliazione nella terza edizione del Messale romano così ci fa pregare: Quando ci siamo allontanati da te a causa del peccato, tu ci hai riconciliati per mezzo del tuo Figlio, consegnato alla morte per noi, perché, nuovamente rivolti a te, ci amassimo gli uni gli altri come lui ci ha amati. Il tornare che ci viene richiesto preparandoci al congresso eucaristico, non è un semplice movimento nostalgico ed emotivo, né un fare memoria. Il tornare è consapevolezza di essersi allontanati dalla Verità e prima ancora dalla profonda umanità, necessaria ed indispensabile per poter accogliere il bene ed elargirlo a piene mani consapevoli che non lo possediamo, non ci appartiene e solo se lo condividiamo lo potremo vedere moltiplicato. Proprio come leggiamo nel vangelo secondo Marco. Gesù vede le folle e ne ha compassione, le fa sedere e fa distribuire questi cinque pani d’orzo e due pesci che grazie a quel gesto diventano cibo abbondante per tutti! Tornare è accettare di ritrovare le proprie origini di cristiano.

L’Eucarestia è sigillo perché è Sacramento e, come tale, ci identifica quali figli e fratelli che nel loro vivere ed operare mostrano a tutti la loro appartenenza. A Matera, lo sanno bene i lettori, quando si incontra una persona le si chiede subito “a c’appart’n?”. E nella risposta si ricostruisce un mondo! A volte si rimane lì fermi per ore a ricordare intrecci vari di parentele. E allora, fermiamoci e torniamo a Dio per riscoprire la nostra appartenenza. Forse questo termine lo abbiamo spesso appesantito, trasformato e stravolto. Torniamo, come in un movimento di danza, come esigenza interiore di andare a cercare le nostre origini. Sappiamo bene quanto sia difficile parlare alle nuove generazioni, e non solo, di tutto questo. Non possiamo e non dobbiamo mollare. La storia di questi giorni, ci sta ancora una volta insegnando quanto sia pericoloso dimenticare, rinnegare, soffocare. Torniamo, per favore, a parlare di Dio con semplicità. Facciamolo con audacia, con coraggio, con perseveranza. Torniamo a casa!

Cosa c’è di più bello che tornare lì dove siamo nati?

Il Signore scriverà nel libro dei popoli:

«Là costui è nato».

E danzando canteranno:

«Sono in te tutte le mie sorgenti» (Salmo 86).

Si torna lì dove c’è qualcosa che attrae, che convince, che riscalda. Tornare a gustare il pane! In questi giorni mi sono resa conto di come si diano per scontate troppe cose. Come possiamo tornare a gustare il pane eucaristico se non riusciamo nemmeno a gustare il pane che si mette in tavola? Lo divoriamo, ma non lo gustiamo perché abbiamo sempre fretta, lo strappiamo e non lo spezziamo perché siamo spesso arrabbiati e delusi dalle brutture sempre più frequenti che ci riserva la vita, lo buttiamo perché siamo nell’abbondanza, senza renderci conto che calpestiamo qualcosa di veramente sacro, ovvero che Dio ha riservato per sé. E Lui ogni giorno decide di salvarci, di essere presente, di parlarci attraverso quel Pane. Pane spezzato, condiviso, custodito, donato e che riscalda il cuore e fa venir voglia di tornare a gustarlo. Perché mangiando e gustando quel Pane non si avverta l’amarezza del vuoto esistenziale, ma la pienezza di un amore donato senza riserve e che vorremmo tanto che tutti sperimentassero. E la chiave per tutto questo, o almeno una delle chiavi, ce l’hanno offerta i delegati quando partendo ci hanno ringraziato per tutto, ma in modo speciale e particolare per come si sono sentiti accolti! Questo è il nostro segreto. Questo è il potenziale di Matera per tornare a gustare la vita, il vicinato, il coraggio di farcela e di rialzarsi sempre.

Torniamo tra le mani del vasaio. Torniamo a casa. Torniamo a gustare lentamente senza la mania di consumare velocemente, senza assaporare, vittime di una ageusia continua. La sera di venerdì 11 marzo nella chiesa di Cristo Re che ha riservato una squisitissima accoglienza, al termine dell’adorazione eucaristica, il nostro vescovo don Pino ha consegnato a ciascun delegato un pane. I delegati, tornando a casa hanno portato Matera nel cuore e tra le mani! Dalla mensa eucaristica a quella fraterna di àgape. Il racconto del pane di Matera è mistagogia! Racchiude in sé vita, fatica, passione, fede, amore. Questo gesto meraviglioso di consegna è stato come dire a ciascuno di loro: andate, raccontate e gustate con le vostre comunità quello che qui avete gustato con semplicità. Tornate, torniamo, gustate, gustiamo perché il cuore ritorni ad ardere mentre vediamo spezzare il pane e condividerlo con tutti sulle strade del mondo.

Per una chiesa veramente sinodale ed eucaristica che cammina infangandosi le scarpe e riportando ferite ai piedi, per una chiesa che si fa risanare da un Pane vivo, donato, consumato, Fate questo … facciamo questo!

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Maria Pina Rizzi

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