Un anno di guerra in Ucraina, verso dove andiamo?

La retorica "pro domo sua" di Putin, l'intransigenza occidentale e il ruolo enigmatico della Cina. Una rassegna su un devastante anno di guerra in Ucraina.

Un anno dopo l’invasione dell’Ucraina, il mondo a un passo dal baratro di Paolo Tritto

C’è una data storica nel disastroso conflitto dilagato in territorio ucraino. È quella della Conferenza sulla Sicurezza, tenuta a Monaco nei giorni 17 e 18 febbraio scorsi. Alla Conferenza, dove non sono stati ammessi i rappresentanti russi, hanno partecipato i leader di novantasei Stati del pianeta. Qui si è registrata la ferma volontà delle potenze occidentali a non trattare la pace con la Russia. Zelensky, che ha aperto i lavori, ha aggiunto anche che esito accettabile della guerra può essere soltanto la vittoria ucraina.

A Monaco si è vista purtroppo naufragare perfino la disponibilità del presidente Macron, unico leader occidentale a tenere aperto un canale con Putin, a proseguire nei suoi tentativi di dialogo. Facendo perfino autocritica, Macron nel corso della Conferenza ha definito la Russia, senza mezzi termini, uno stato mafioso, affermando inoltre che con la mafia per nessun motivo si deve trattare. È indubbiamente un’affermazione molto forte che il presidente francese ricava dalla presenza di una preponderante componente, tra le fila dell’esercito russo, di combattenti con pesanti storie criminali, combattenti arruolati dal gruppo Wagner anche tra ergastolani.

La prima preoccupante novità nel conflitto ucraino è dunque la radicalizzazione della posizione dei paesi occidentali, insieme a una grossa fetta del mondo, riguardo al conflitto ucraino e a quelle che sono le oggettive responsabilità della Russia. Qualche speranza era affiorata per l’annunciato piano di pace cinese. È un piano ancora non reso pubblico ma di cui evidentemente alcuni ambienti bene informati hanno elementi sufficienti a prevederne il contenuto. Tra questi, ovviamente, la Casa Bianca che riguardo all’obiettivo della pace ha invitato a non farsi molte illusioni. Per la vice presidente Kamala Harris, stando alle dichiarazioni rilasciate a Monaco, è un fatto che «la Cina sta approfondendo i rapporti con la Russia».

Per quanto riguarda il contenuti del piano cinese, gli analisti ritengono che con ogni probabilità ricalcherà i cinque punti formulati da Pechino all’inizio del conflitto: rispettare la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i Paesi, offrire garanzie in materia di sicurezza, esercitare la moderazione, incoraggiare gli sforzi diplomatici finalizzati alla pace.

Quello cinese sembrerebbe un documento frutto delle migliori intenzioni e si potrebbe ritenere che di fronte a dichiarazioni di questo genere, la Cina sia sinceramente animata dalla volontà di scrivere la parola pace sulla guerra in Ucraina. In realtà così non è. Innanzitutto perché la Cina mai ha parlato di guerra e tantomeno di invasione in Ucraina.

Nelle dichiarazioni ufficiali, da parte cinese si accenna soltanto a generiche preoccupazione per la crisi ucraina e per i problemi di sicurezza nei rapporti tra gli Stati. Nonostante il loro tono rassicurante, queste parole possono in realtà giustificare benissimo l’intervento militare di Putin, teso appunto a rimettere in sicurezza i territori contesi, secondo le pretestuose argomentazioni proprie della retorica “pro domo sua” del capo del Cremlino.

Tutto ciò ha portato gli osservatori a classificare la posizione della Cina, senza un po’ di ironia, come “neutralità filorussa”, una specie di “non belligeranza” di mussoliniana memoria con la quale si vuole più che altro mascherare una scelta di campo già decisa. Siamo evidentemente di fronte all’aggravarsi del “quadro clinico” delle relazioni tra i popoli e al rischio che tutto possa precipitare da un momento all’altro.

Una nota di speranza possiamo comunque aggiungerla, richiamando l’editoriale di Avvenire del 22 febbraio intitolato significativamente “Ma la svolta è possibile”. Fulvio Scaglione, che firma l’articolo, conclude ricordando che per Russia, Ucraina e Stati Uniti si avvicinano le scadenze elettorali e nessuno vuole arrivare alle elezioni con una guerra in corso. Possiamo aggiungere che si avvicinano le elezioni anche per la Turchia, un soggetto che non sarà secondario negli eventuali negoziati. Ma le regole della democrazia riusciranno a prevalere sulle ragioni della guerra?

Il presidente Biden a Kiev, 20 febbraio 2023
Foto della Presidenza dell’Ucraina www.president.gov.ua/photos
I motivi della guerra in Ucraina di Domenico Infante

E’ noto che l’Ucraina, da almeno cent’anni, è il territorio più ricco dell’ex blocco sovietico, almeno fino ad un anno fa. Esistevano imprenditori molto intraprendenti ed imprese con buone prospettive di competere col mondo economico occidentale. L’Ucraina ha una storia millenaria tant’è che la cultura a Kiev fioriva mentre nel resto della Russia, tranne in qualche altro territorio, prevaleva uno stato culturale più popolare.

Con l’elezione nel 1985 di Michail Gorbaciov a presidente dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, iniziò la dissoluzione della ex URSS. Gorbaciov attuò una politica di “pulizia”, la perestrojka, assumendo una serie di misure che miravano a democratizzare lo stato, frenare la corruzione e introdurre elementi dell’economia di mercato utili a superare la stagnazione dell’economia pianificata sovietica.

Verso la fine del 1990 le riforme gorbacioviane avevano incominciato a produrre i primi effetti modificando la struttura economica dell’URSS ma peggiorando le condizioni dei suoi abitanti. Parallelamente le elezioni democratiche avevano fatto nascere una nuova politica fortemente caratterizzata da nazionalismo. Il primo effetto della dissoluzione dell’URSS fu quello della richiesta di indipendenza da parte delle repubbliche baltiche e dell’Ucraina stessa, come aveva fatto d’altra parte anche il parlamento della repubblica di Russia, presieduto da Boris Eltsin. Col primo dicembre del 1991, grossa parte della popolazione ucraina (circa l’80%) chiese l’indipendenza dall’URSS e l’8 dicembre 1991, con gli accordi di Belaveza, i capi di Stato di Russia, Ucraina e Bielorussia sancirono la fine dell’Unione Sovietica. A fine dicembre Gorbaciov rassegnò le dimissioni e il potere passò in mano a Boris Eltsin.

Nel 1991 riacquistarono la loro indipendenza i paesi baltici Estonia, Lettonia e Lituania che erano stati invasi dall’Unione Sovietica secondo i contenuti del patto Molotov-Ribbentrop del 1939.

Intanto, con la caduta del muro di Berlino nel 1990, la Repubblica democratica tedesca (DDR) si riunificò con la Repubblica federale tedesca (BRD). In quel periodo di vicende politiche convulse Mosca spesso faceva pressione affinché le ex repubbliche sovietiche cambiassero parere circa l’eventuale loro adesione alla UE; pressioni vennero esercitate in particolare sull’Armenia ed Ucraina essendo il territorio di questa ultima importante per le attività economiche.   

Cosa analoga avvenne nel 2014 quando la Russia fece pressione sul presidente ucraino filo-russo Viktor Janukovych affinché si rifiutasse di firmare lo European Union–Ukraine Association  Agreement. Ma questo rifiuto causò la ribellione del popolo contro il presidente provocando l’intervento russo nel febbraio del 2014 che annesse la Crimea e pose una pesante ipoteca sulle due repubbliche secessioniste del Donbass.

E siamo all’attuale aggressione russa contro l’Ucraina del 24 febbraio del 2022 a cui seguirono le sanzioni economiche e finanziarie di quasi tutto il mondo occidentale che decise di fornire  viveri, fondi e armi al solo scopo difensivo. Tuttavia, nonostante l’Occidente sia stato prudente a non concedere armi strategiche, che avrebbero potuto colpire direttamente postazioni civili e militari all’interno della Russia e allargare il conflitto, ciò non ha impedito l’invasore di aumentare la sua azione distruttiva. Conseguentemente l’Occidente è stato costretto ad aumentare la fornitura di armi per consentire all’Ucraina di difendersi ulteriormente cosa che non ha bloccato la Russia nella sua progressione fino a minacciare l’uso di armi sempre più potenti quali quelle termonucleari.

Ma qual é il vero motivo per cui la Russia ha invaso l’Ucraina nel 2022 e continua tutt’ora  strenuamente questa assurda guerra? Sono state fatte alcune ipotesi: quella di liberare l’Ucraina da presunti nazisti, di proteggere gli ucraini che parlano lingua russa, di avere l’ambizione di rimettere insieme l’URSS, di fermare l’espansione ad Est della NATO ed infine di impadronirsi delle risorse naturali ucraine.

Qualche esperto di politica internazionale sostiene, addirittura, che il vero motivo risalirebbe al febbraio 2014 al momento in cui il popolo ucraino avrebbe tradito Mosca rovesciando Janukovych per eleggere prima il presidente Poroshenko e poi Zelensky, entrambi favorevoli alla Unione Europea.

Ma, riflettendo bene, la causa più importante è quella delle risorse minerarie. Infatti, l’Ucraina (in particolare nel Donbass), secondo dati provenienti da più fonti internazionali, avrebbe grandi riserve di minerale di ferro, di uranio e di zirconio, oltre che di pietre preziose e semipreziose necessarie per l’industria elettronica. Infatti, già si estraggono uranio (tra i primi tre esportatori al mondo), titanio (decimo esportatore), minerali di ferro e manganese (secondo esportatore). Tutte materie prime, queste, fondamentali per produrre leghe leggere e acciai speciali indispensabili per lo sviluppo delle tecnologie avanzate per l’industria civile e militare. Infine, nel territorio ucraino si trovano giacimenti di litio, chiamato “oro bianco”, fondamentale per la produzione di batterie.

Quali sono allora le prospettive?

Un quadro politico internazionale, siffatto, è molto fosco e presenta delle strane somiglianze con quello che venne a crearsi nel mondo a fine ottocento che portò alla Prima Guerra mondiale. Scrive Hobsbawm (L’Età degli imperi 1875-1914, Bari: Laterza, 1987 [2005], p. 355) a proposito dello scoppio della Prima Guerra Mondiale:  “Il massimo che si può dire è che a un certo punto, nella lenta scivolata verso l’abisso, la guerra sembrò oramai così inevitabile, che alcuni governi decisero che forse era meglio scegliere il momento più favorevole, o meno sfavorevole, per cominciare le ostilità”.

Sentore analogo si prova oggi leggendo dalla stampa internazionale che la Russia, forse per l’anniversario dell’invasione, starebbe preparando una nuova offensiva su larga scala; l’ammassamento di circa 10mila soldati russi al confine ucraino ed una presenza più numerosa di navi nel Mar Nero lascerebbero pensare a tanto. 

Questa oscura prospettiva va fugata e, al fine di evitare un allargamento pericoloso del conflitto, occorre che le parti tornino assolutamente a dialogare per trovare una possibile soluzione positiva. E, senza esagerare, si potrebbe anche gettare le basi per una nuova rinascita dell’Europa orientale organizzando una Conferenza paneuropea per la pace e la prosperità riunendo intorno a un tavolo l’Ucraina, la Russia, la Bielorussia, la Moldavia, la UE, gli Stati Uniti e il Regno Unito, nonché il Canada, la Turchia, la Svizzera, la Santa Sede, l’Islanda, la Georgia, l’Armenia, l’Azerbaigian e la Norvegia.

L’Italia e la Santa Sede potrebbero svolgere un ruolo molto utile nell’organizzazione di questo grandissimo evento grazie ai rapporti culturali ed economici che l’Italia ha intrattenuto in passato con i russi ma anche per la grande esperienza che ha sempre avuto la Santa Sede nel trattare le questioni internazionali.

Un ruolo determinante per favorire un processo di pace potrà svolgerlo proficuamente la Cina non solo perché è uno stato che dialoga con la Russia ma soprattutto perché i suoi interessi economici di sviluppo per i prossimi anni presuppongono una clima di distensione e collaborazione col mondo occidentale. E in tal senso qualcosa si muove perché dopo l’auspicio del Ministro degli Affari Esteri italiano Antonio Tajani rivolto al capo della diplomazia cinese Wang Yi, il rappresentante cinese ha incontrato anche l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Sicurezza, Josep Borrell, poi il ministro degli Esteri ucraino Dmitry Kuleba ed infine, a Mosca, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Quale piano di pace ha proposto non si conosce ma da indiscrezioni di agenzia sembrerebbe un piano basato su undici punti di cui uno sembrerebbe certo cioè  il principio dell’integrità territoriale ucraina.

Ritornando alla similitudine con lo scoppio della prima guerra mondiale, oggi ci sono delle condizioni diverse che possono influenzare le decisioni che assumono i governi. Infatti, gli eventi internazionali, in particolare le crisi politiche, vengono vissuti più direttamente dai popoli in quanto, con l’uso dei social network,  l’informazione si è globalizzata e soggettivizzata per cui si è creata una sorta di democratizzazione delle scelte politiche. Tuttavia, poiché  essi diffondono opinioni fra loro polarizzate creano perciò una contrapposizione piuttosto che una mediazione provocando comunque con modalità più complesse un’influenza decisiva anche dove la democrazia latita o è addirittura assente.

Possiamo concludere riprendendo alcuni punti del discorso di Papa Francesco fatto durante l’udienza generale in Piazza San Pietro il 4 dicembre scorso: «La guerra in Ucraina, già alla vigilia del suo inizio, ha interrogato ciascuno di noi. Dopo gli anni drammatici della pandemia, quando, non senza grandi difficoltà e molte tragedie, stavamo finalmente uscendo dalla sua fase più acuta, perché è arrivato l’orrore di questo conflitto insensato e blasfemo, come lo è ogni guerra? Possiamo parlare con sicurezza di una guerra giusta? Possiamo parlare con sicurezza di una guerra santa? Noi, uomini di Dio che annunciamo il Vangelo del Risorto, abbiamo il dovere di gridare questa verità di fede. Dio è un Dio della pace, dell’amore e della speranza. Un Dio che ci vuole fratelli tutti, come ci ha insegnato il Suo Figlio Gesù Cristo»…«Tutti noi, in qualsiasi ruolo, abbiamo il dovere di essere uomini di pace»…«Alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale, il servo di Dio Pio XII ricordò al mondo che ‘nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo’».

Avviare subito un processo di Pace di Marino Trizio

Dopo due guerre mondiali e più di 70 anni di pace in Europa, la guerra in Ucraina, a causa dell’invasione russa, governi e popoli hanno bisogno di riprendere quanto prima una visione, un progetto e una strategia, per porre fine alla guerra e alle immani sofferenze che sta provocando.

Il 24 febbraio saremo ad un anno dall’inizio della guerra, anno in cui abbiamo assistito a violenze inaudite, a migliaia di morti di civili e di bambini, a città distrutte, ai danni del popolo ucraino che non meritava un continuo inasprirsi del conflitto e all’utilizzo di più armi per difendere la propria libertà.

Ribadendo la ferma condanna dell’invasione della Russia su un territorio sovrano, su un popolo che rivendica la sua autonomia, occorre che il governo ucraino insieme all’Europa e gli Stati Uniti, decidano sulle forme e gli atti per la conclusione del conflitto.

L’idea di voler sconfiggere sul terreno la Russia e costringerla al ritiro, sarebbe auspicabile ma difficile da realizzare, se non a costo dell’irreparabile, vista la continua minaccia russa delle armi tattiche nucleari. A tale proposito le attuali armi tattiche nucleari hanno una potenza maggiore di quelle di Hiroshima e Nagasaki.  

La domanda che ci si pone è: quale sarà il prossimo futuro del nostro Paese, dell’Europa e del mondo? Stiamo assistendo ad una escalation con ulteriori vittime, distruzioni e violenze inaudite sul popolo ucraino, sofferenze a cui occorre porre fine. E’ la preghiera che ogni giorno Papa Francesco eleva a Dio.  

La Russia, notizia di questi giorni, sta aumentando in maniera consistente il numero di militari (360mila uomini) e di armi sul territorio dell’Ucraina, e gli attacchi e i bombardamenti si sono intensificati. Aumentano di conseguenza i rifornimenti militari dell’Europa e degli Stati Uniti al governo dell’Ucraina.

Arriveranno carri armati di vario tipo e in più il governo dell’Ucraina, chiede con insistenza aerei F16. Già da tre settimane militari ucraini sono in Inghilterra e negli USA per essere addestrati a manovrare tali aerei. Un addestramento che non si esaurisce in pochi mesi. Auguriamoci che non ci sia bisogno del loro utilizzo perché, se giustamente così fosse, vorrà dire che la fine della guerra sarà sempre più lontana.

Il mio pensiero personale è che solo gli Stati Uniti sono in grado di imporre la fine del conflitto. Penso che prima o poi l’invio periodico di armi occidentali ai combattenti ucraini non basterà più. Bisognerà considerare l’invio di nostre truppe in Ucraina? A quel punto saremo di fronte alla scelta che abbiamo finora evitato di considerare: fare davvero e direttamente la guerra alla Russia oppure trovare una soluzione che assicuri le due parti per il futuro?

Tutto sembra volgere al peggio. Invece occorre fermare questa escalation e avviare seriamente dei negoziati, fermando come primo segnale gli scontri in atto.

Purtroppo bisogna anche constatare che da Israele all’Iran, dalla Siria ai territori palestinesi giungono notizie di una recrudescenza degli scontri.

Dove stiamo andando? Dove è finita la ragione e il dialogo? Vengono prima gli interessi e poi la vita dell’umanità? Come è accaduto per la prima e la seconda guerra mondiale, crescono a dismisura le spere militari, e nel nostro paese ne risente in modo particolare la sanità, l’istruzione e la precarietà del lavoro per i giovani.

Nei giorni dal 23 al 26 febbraio in molte città italiane, europee e negli Usa ci saranno manifestazioni per la pace. I governi europei, dovrebbero porre maggiore ascolto a queste richieste di pace. La maggioranza del popolo italiano e dei popoli europei, chiedono certamente che si fermi l’invio di armi, non perché si è contro l’Ucraina, ma perché finalmente si avvii un serio trattato di pace costringendo la Russia, con altre sanzioni, a trattare.

Dal 24 febbraio 2022 è aumentata l’inflazione ai livelli più alti, come in altri periodi di crisi che ha vissuto il nostro Paese. Il prezzo dell’energia ha provocato grosse difficoltà a famiglie ed imprese, peggiorando le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini europei e italiani. Un quadro drammatico a cui non si può rispondere né con la rassegnazione né sperando nella provvidenza di manzoniana memoria: bisogna prendere coscienza di questa tragica realtà e impegnarsi tutti, con ogni mezzo razionale, concreto e democratico per fermarla.

Come cattolici dobbiamo essere in prima linea e al fianco di Papa Francesco senza alcuna riserva, per sostenere il suo impegno e la sua azione per la cessazione del conflitto. E’ necessario l’impegno di tutte e di tutti, per fermare questa follia di morte che sembra inarrestabile. Fermiamo questa guerra! E per farlo dobbiamo chiedere il cessate il fuoco e che venga avviata ogni azione per ristabilire un ordine mondiale basato sul rispetto tra i popoli, le cui controversie siano affrontate attraverso il dialogo e non con l’uso delle armi. Come sancito dall’articolo 11 della nostra Costituzione.           

Occorrerà, purtroppo, vista la situazione attuale, trovare realistici punti di incontro fra le parti per porre fine alla distruzione di vite umane. 

Citando Papa Francesco: “Questa guerra è una follia”. Aiutiamoci tutti, l’uno con l’altro, a fermarla. Ne va del futuro dell’umanità. Lunedì 9 gennaio 2023, Papa Francesco nel consueto discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, nell’anno in cui ricorre il 60mo dell’enciclica Pacem in Terris di San Giovanni XXIII, ha sottolineato: “oggi è in corso la terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti”. L’esempio più vicino e recente è proprio la guerra in Ucraina, “con il suo strascico di morte e distruzione; con gli attacchi alle infrastrutture civili che portano le persone a perdere la vita non solo a causa degli ordigni e delle violenze, ma anche di fame e di freddo”.

Papa Francesco non ha citato la Russia ma ha ricordato quanto affermato nel paragrafo 80 della Costituzione conciliare Gaudium et spes: “ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione”. Di qui l’appello del Papa che si legge da Avvenire – Gianni Cardinale: “a far cessare immediatamente questo conflitto insensato, i cui effetti interessano intere regioni, anche fuori dall’Europa a causa delle ripercussioni che esso ha in campo energetico e nell’ambito della produzione alimentare, soprattutto in Africa ed in Medio Oriente”.

Diversi sono gli appelli lanciati da Francesco per fermare la guerra. Lo ha fatto e continuerà a farlo e noi cristiani dobbiamo essere con lui. Egli è la voce di noi cattolici, di quei valori cristiani fondati sulla pace e sulla fratellanza tra i popoli. Come cattolici, occorre dire no alla guerra e alla violenza, che le armi non sono la soluzione; ciò non vuol dire che il popolo ucraino non deve difendersi ed essere aiutato a farlo, ma occorre fermare l’immane disastro se la guerra non avrà fine.

Noi abbiamo il compito di batterci per garantire la pace in Europa e nel mondo per ricostruire, con tutta la perseveranza possibile, un clima di coesistenza pacifica e di collaborazione, altrimenti stiamo regalando ai nostri figli una guerra infinita e un futuro incerto.

Lo scoppio e la densa nuvola di fumo vicino a un parco nella foto diffusa dalla presidenza ucraina. Kiev, 24 febbraio 2022

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Contibuti di Paolo Tritto, Domenico Infante e Marino Trizio

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