Il Magnificat, cantico di lode e liberazione

Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Mariella Laviola sul significato del Magnificat attualizzato alle problematiche di oggi.

C’è un cantico della tradizione cattolica che amo infinitamente: il Magnificat. Di una bellezza sublime, ma soprattutto, di un’attualità immortale. Sempre pregnante e calzante ai tempi. E più ancora, stringente per le coscienze di tutti, non solo dei credenti. Due sono i concetti che sono particolarmente significativi:

LIBERTÀ, ovvero, abbattere i potenti dai troni, innalzare gli umili. Elisabetta e Maria sono donne, povere, incinte, e in quel momento con due mariti scettici sulla venuta dei loro bimbi non previsti. Zaccaria diventa muto, afono per la sua poca fede; Giuseppe pensa di ripudiare Maria in segreto, entrambi sembrano incapaci di relazione, cura dell’altro e carità, come sono invece le due donne. Due “scartate” dalla società che cercano solidarietà l’una nell’altra. E il canto che esce dalla bocca di Maria è sì un canto di rivoluzione spirituale, ma anche sociale e politico. Non c’è ombra qui dei melensi e smielati accenti degli inni natalizi, è un canto duro, forte, inesorabile, di troni che crollano e di potenti umiliati.

Maria sa, già nella sua epoca, che nel mondo esistono potenti e oppressi, opulenti e affamati, e denuncia queste storture, mette a nudo gli antagonismi politici ed economici, dice la verità sociale, perché solo dalla verità, e non dalla sua omissione o edulcorazione, può nascere la libertà. Maria afferma chiaramente che un conflitto è necessario, dice che è impossibile innalzare gli umili senza abbattere i potenti. Dalle sue parole si deduce la necessità di una redistribuzione della ricchezza che si può realizzare togliendo a chi ha troppo per dare agli oppressi , cioè “a ognuno secondo i suoi bisogni”, come sostiene, con altre considerazioni e proiezioni,  un personaggio non certamente cristiano come Karl Marx.

– EGUAGLIANZA, ovvero, rimandare i ricchi a mani vuote, ricolmare di beni gli affamati. Davanti alle iniquità e alle sperequazioni, come si può essere così ciechi? Supini e ruffiani dinanzi all’arroganza dei pochissimi ricchi, indifferenti e cinici al cospetto degli indigenti. Sordi alle grida dei poveri, muti a bocca aperta davanti ai signori del lusso.

Ci riempiamo la bocca della parola “meritocrazia” (che in realtà già lo stesso autore, Michael Young, che la coniò in un suo libro del 1958, lo fece con un’accezione distopica), ignorando che è l’antitesi dell’eguaglianza. È lei, la famigerata “meritocrazia”- che è uno pseudo cambiamento migliorativo delle performance umane – rappresenta un vero livellamento, molto spesso riduzione dell’uomo e della società a uno standard produttivo, negazione di qualsiasi originalità e della genuina creatività delle capacità umane.

Ha più “merito” chi si piega meglio. Chi si adatta e si conforma, chi si omologa e si spersonalizza. Obey, è la parola d’ordine; ai criteri di “efficienza” e “produttività” che abbiamo ormai introiettato, riducendo noi stessi a un numero. E non a caso, Obey è anche un marchio di accessori e capi di moda giovanili, fra i più amati e indossati dai ragazzotti. Perché così bisogna crescerli, uniformati ai messaggi subliminali della pubblicità adeguandosi al marchio per ribellarsi al mondo, ridursi “all’obbedienza alle leggi del branco”, per perpetuare questo mondo di illusione e di apparenza.

Papa Francesco, in occasione della Solennità dell’Assunzione in Cielo della Madre di Dio il 15 agosto 2021: “È l’umiltà che ha attirato lo sguardo di Dio su di lei”. “L’occhio umano ricerca la grandezza e si lascia abbagliare da ciò che è appariscente. Dio, invece, non guarda l’apparenza, ma il cuore ed è incantato dall’umiltà”. 

Maria, dunque, profetizza con questo cantico: profetizza che a primeggiare non sono il potere, il successo e il denaro, ma a primeggiare c’è il servizio, l’umiltà l’amore. E guardando a lei nella gloria, capiamo che il vero potere è il servizio e che regnare significa amare. E che questa è la strada del Cielo.

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Mariella Laviola

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